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Garage Traversi, fotografia @michbich
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Via Bagutta, il Garage Traversi e Louis Vuitton: siamo nomadi e siamo borghesi, qui a Milano

Dopo anni di restauro, il Garage Traversi di Via Bagutta riapre al pubblico durante il Salone del Mobile, con gli Objets Nomades di Louis Vuitton – il pretesto per ricordarsi un po’ chi siamo, noi, a Milano

Garage Traversi: il progetto di Giuseppe De Min e la storia

Il Garage Traversi fu progettato dall’architetto Giuseppe De Min nel 1938 fu il primo garage multipiano di Milano, ai tempi una questione di avanguardia, con i montacarichi che portavano su e giù da un livello all’altro le macchine. La sua facciata era un tempo color ocra, come la roccia sabbiosa del deserto, una sfinge addormentata per anni. Chiuse i battenti il 31 dicembre del 2003: la data è ben stampata nella mente di Zazzeron, il titolare di quel bar al confine tra via Bagutta e Corso Matteotti che con la chiusura salutò un buon numero di clienti quotidiani.

Dopo progetti di trasformazione in outlet durati poco e sogni mai realizzati – come quello di Vittorio Sgarbi, che propose di farne un museo di Arte moderna il Comune di Milano ha firmato la convenzione con Bnp Paribas che – a patto di non demolire la facciata razionalista e di seguire tutti i vincoli imposti dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici e Culturali – ha proceduto alla riqualifica. trovando oggi un accordo di affitto. Durante questi giorni del Salone del Mobile, il Garage Traversi riapre al pubblico con l’insegna di Louis Vuitton, per la presentazione della collezione degli Objets Nomades.

Objets Nomades a Milano: la collezione di Louis Vuitton al Garage Traversi

Gli Objets Nomades si fermano a Milano: oggetti e arredi utili al nomade, si intendono, pensati per chi arriva ma già riparte; un nomade digitale che potrebbe dormire su un’amaca tra i tigli di giugno a Milano, appendere un divisorio per schermarsi dalla luce delle luci dalle insegne, montare la casa di Charlotte Perriand in un cortile di Corso Venezia, o forse oggi sul terrazzo del novo Travesi, per poi comunque smontarla l’indomani. Gli uomini nomadi procedono in quella ricerca che sminuisce i due metri cubi con cui noi occupiamo lo spazio, e diventano immensi muovendosi avanti e indietro nel tempo (citazione non dovuta, perché ovvia). 

Via Bagutta, le due anime di Milano

Il Garage Traversi sta di guardia all’entrata di Via Bagutta: una strada lunga appena duecento metri in cui si condensano le due anime del centro di Milano – quella storica, con i palazzi ereditati dalla tradizione ottocentesca e le botteghe del Novecento, e quella contemporanea, con negozi che erodono realtà nate prima che si imponesse il Quadrilatero della Moda. Delimitata da San Babila e da via Sant’Andrea, via Bagutta corre parallela a via Montenapoleone. A sentire chi ci vive o lavora da decenni, è una strada di servizio, in cui i camion sostano per lo scarico merci, e dove, lamentano i residenti, il Comune ha sempre preferito investire poco, a partire dagli addobbi natalizi, mai pensati per questo micro-borgo.

Il centro di Milano resta un salotto per gente che vuole ancora tenere in mano la città – in un substrato più fluido e consistente dell’imprenditoria, dell’editoria, dell’immagine e della moda. Un tempo, si parlava di società  e ci si vestiva Doriani nei giardini nascosti dietro Portofino, si cresceva i figli al Bagno America – ci si regalava Johnny Lambs ironizzando su Gianni Agnelli. U tempo c’erano le sorelle Collini, Loro Piana, Koelliker – alcuni non ci sono più, Carlo Schapira, Hans Tiefenbacher – a casa di mio nonno in Via Bagutta. Il lunch era al Paper Moon.

Cova o Sant Ambroeus

Uno snobismo perfetto su un caffè da Cova o da Sant Ambroeus – per un circolo che Bastianello e Marchesi continueranno a non considerare. Lo snobismo vive nella decadenza, non potrebbe fare altrimenti – patisce ogni forma di cambiamento: ma noi sappiamo quanto né lo snobismo né la nostalgia siano poi così preziosi. Era la civiltà di Paolo Mieli, al Corriere della Sera – quando le pagine della cronaca di Milano davano spazio ai trafiletti di Lina Sotis, che tra la gentilezza di un complimento e la violenza di una stilettata, raccontava il correre del tempo, e il colore della città, di Milano – di chi restava e di chi se ne andava, nomade.

Bulbo, Campana Brothers; Bell Lamp Barber & Osgerby
Louis Vuitton Objets Nomades – Bulbo, Campana Brothers; Bell Lamp, Barber & Osgerby

Palazzo Reina in via Bagutta, 12

Palazzo Reina fu acquistato nel 2014 dal Gruppo L.S.G.I. immobiliare e sottoposto a un restauro che ne rispettasse la struttura antica e gli affreschi ai soffitti. Oggi al piano terra il primo negozio italiano di Issey Miyake. All’interno del cortile, nei locali che affacciano sul prato e sugli alberi retrostanti, c’è Paper Moon Giardino, mentre il Paper Moon è chiuso: era stato aperto nel 1977, prima che nascessi, da Pio Galligani insieme con la moglie Enrica. La Trattoria Bagutta, fondata nel 1924, ha chiuso i battenti nel 2016. Il gestore, Marco Pepori, dichirò l’attività in fallimento senza sorprese, considerando mal gestione.

La Trattoria Bagutta, con i suoi affreschi e fumetti, i quadri alle pareti, gli autografi di tutta la letteratura del secolo scorso, non solo rappresentava la supremazia culturale di questa via rispetto alle altre del centro, ma codificava quell’intellettualità meneghina che in pochi conoscono e riconoscono, e che è stata lungo il Novecento la linfa celebrale dello sviluppo industriale di Milano e di tutto il Nord Italia. Al posto del Bagutta, oggi c’è la sartoria napoletana Cesare Attolini – che hanno permesso alla proprietà di restaurare gli immobili, salvando alcuni affreschi.

La Signorina Francia, l’Old America

La Signorina Francia non c’è più – gestiva l’Old America, aperto nel 1954 insieme alla sorella e rimasto fermo nel tempo: un negozio dove si trovano mobili e piccoli oggetti d’arredo. Una scala a chiocciola si avvitava verso l’alto, ma non portava più da nessuna parte: con l’aumento degli affitti, Old America doveva rinunciare al piano superiore. La signorina Francia era riconosciuta dai vicini come la memoria storica della via in cui una volta, c’erano un fruttivendolo, un prestinaio, un rigattiere, un benzinaio, un droghiere, un parrucchiere. La chiusura del Bagutta fu per la signorina Francia un dispiacere pesante.

MI raccontava che Ogni tanto ci portava le signore dall’Inghilterra. Una volta arrivò in visita Sandro Pertini – si ricordava le sartine che applaudivano e salutavano dalle finestre dei piani superiori. Via Bagutta è sempre stata più defilata rispetto alla ‘Montenapo’, dove già negli anni Cinquanta si andava a far la vasca e bisognava stare attenti al portafogli. I ladri li sfilavano e poi li abbandonavano vuoti in Bagutta. Il garzone dell’epoca li raccoglieva per restituirli e esser retribuito con una mancia. 

Milano, città borghese fondata sull’imprenditoria e sull’editoria

Siamo nomadi che ci muoviamo tra passato e futuro: questi sono i codici borghesi che restano. Il contrario di Nomade è appunto borghese – ma uno non esisterebbe mai e non sarebbe mai esistito, senza l’essenza dell’altro. Pensateci, se riuscite a fermarvi e a prendere fiato. I codici borghesi propri della città di Milano, di quella signora disegnata da Tullio Pericoli con una penna di piuma più grande di lei. Il Corriere della Sera era più autorevole del rotocalco che leggiamo oggi. Milano è una città borghese, fondata sull’imprenditoria e sull’editoria – dalla Scala alla sua cattedrale che appunto resta una Fabbrica.

La borghesia, fare squadra e sistema, con serietà e sobrietà. I codici borghesi non producono più reazione, ma consolazione e sicurezza in se stessi – permettono di riaccendere il motore per muoversi e vivere a nomadi. Usiamo parole più semplici – parole di una signora che ha fatto di un suo atteggiamento borghese la migliore cronaca di moda: «La traccia più bella la lasci con i figli, ma se tu la lasci indipendentemente da quella che è la tua famiglia, crei una storia» – e ci resta nelle orecchie, la voce di Franca Sozzani.

La borghesia italiana – definizioni

In Italia siamo abituati ad avere «una non disprezzabile educazione civica, una discreta consuetudine alle regole della convivenza e della libera discussione» – scrive Galli della Loggia, definendo la classe borghese e laboriosa italiana della seconda metà del Secolo Breve che ha avuto la fortuna di avere quattro scuole, quattro cardini, quattro fondamenti: la Chiesa, la leva militare, la scuola e la televisione pubblica. Andrea Carandini è l’ultimo della classe borghese. Il Grande Borghese si usa scrivere per riferirsi a Carandini: «Siamo sommersi dalle immagini, ci si fotografa anche nei momenti più intimi, privati, perfino — almeno un tempo — imbarazzanti. La scrittura e la lettura, l’apprendimento e lo studio, sembrano non avere più senso. Nel Medioevo si era ricchi di immagini proprio perché erano tutti analfabeti»

Carlo Mazzoni

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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