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Dallo scarto degli allevamenti di ovini a filati naturali, Lana Italia

I limiti e le prospettive di una filiera antica: la collaborazione con i pastori, il nodo del lavaggio e della pettinatura, il valore sociale della lavorazione di fibre – una tradizione italiana

La lana in Italia

Nel 2019, secondo dati Istat, sono stati prodotti 43 milioni 721 mila 383 kg di cardati o pettinati, inclusi i nastri, in fibre di lana. In Italia la lana non manca. Paese dalle origini artigianali e pastorizie, la manifattura laniera è storicamente uno dei settori industriali che per secoli – prima della crisi – ha trainato l’economia italiana. Ne è un esempio il distretto manufatturiero di Biella, da sempre accostato nella sua descrizione alla lavorazione di prodotti in lana.

Prima ancora di Stato tessile, l’Italia è per tradizione dedita all’allevamento, specie di ovini, da cui arriva la materia prima da lavorare per i filati: lo ricorda l’Abruzzo. Le condizioni per essere leader nella filiera della lana ci sono, facilitate da una riscoperta degli acquirenti del valore aggiunto di fibre dalle origini tracciabili. Non mancano ostacoli di natura logistica che impediscono il pieno sviluppo di un circuito economico, dal pastore al prodotto, senza che sia necessario rivolgersi a Paesi esteri per qualche fase della lavorazione della lana.

Lana Italia: recupero della materia prima

Negli ultimi anni l’attenzione di imprenditori, sarti e case di moda verso i filati naturali è cresciuta di pari passo con il desiderio di recuperare tradizioni locali e di offrire prodotti a basso impatto ambientale. Michele Vencato, marketing manager e rappresentante commerciale di Lana Italia Calore Italiano, racconta la genesi del marchio vicentino: «Lana Italia nasce nel 2018. Siamo in tre alla conduzione: io, mio padre – Gianni Vencato – e Paolo Appodio. Tutti provenienti da storie di tradizione tessile, eravamo a conoscenza di un problema dei pastori locali. La lana è spesso considerata come scarto agricolo da smaltire perché in Italia l’industria ovina ha ancora oggi come sbocchi principali la vendita di carne e di latte. Le pecore hanno bisogno di essere tosate, se non due almeno una volta l’anno. Cosa fare della materia prima senza che venga sprecata? Abbiamo iniziato a ritirarla, avevamo già a disposizione un magazzino veterinario in cui poterlo fare. Inizialmente ci occupavamo della sua trasformazione in tops – nastri di lana pettinata in fili paralleli – che poi vendevamo a filature e lanifici. Stringendo sempre più rapporti con gli operatori del settore abbiamo poi iniziato la nostra produzione: plaid, guanciali, materassi, trapunte e coperte per animali».

Lana Italia crea prodotti al 100% in lana di pecora, senza mescolarla ad altre fibre. È raccolta da pastori, società e cooperative agricole. Il 90% proviene da allevamenti di Regioni del Nord, Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Vencato: «Il primo passaggio è la selezione delle fibre sulla base del colore. Fondamentale, perché non usiamo alcun tipo di coloranti o trattamenti chimici. Si separa il vello dalle parti più sporche, quelle vicine alle zampe e ai genitali. Sono le più difficili da lavorare, ma non si buttano. Cerchiamo di trasformare il poco scarto che rimane e di indirizzarlo sempre a lavorazioni tessili che creano però prodotti diversi come tessuti per l’isolamento termico, per cui la finezza della materia è meno importante che per articoli da casa come quelli che produciamo noi. Infine tentiamo una selezione per finezza». 

Come si misura la finezza della lana

La finezza della lana si misura in micron, millesimi di millimetro che identificano il diametro della fibra. «Le nostre lane arrivano da greggi di diverse razze, come la vissana e la pugliese. Anche questo dipende dal fatto che i pastori guadagnano di più con la vendita di carne e di latte che da quella di lana. Così – spiega Vencato – in Italia la lana più diffusa è grezza, dalle fibre grosse: 32-33-34 micron. Si trovano lane anche più fini, come la merinos italiana, intorno ai 25 micron di diametro, ma sono più rare. Altri Paesi hanno puntato molto sullo sviluppo di allevamenti di ovini con lo scopo principale di raccogliere lana. L’Australia, ad esempio, che è prima per produzione di lana merinos, pregiatissima, da 11-13 micron».

La filiera della lana

Dalla tosatura al confezionamento del prodotto finito, il viaggio della lana è lungo. Vencato, parlando della sua esperienza, racconta che «Non sempre è possibile svolgere tutto sul territorio. Abbiamo provato a costruire una filiera del tutto italiana, ma per le fasi di lavaggio e di pettinatura della lana spesso ci si affida a strutture estere. Alcune europee, ad esempio in Polonia. Altre fuori dall’Unione, come in Egitto. Lavata e pettinata, la lana rientra poi in Italia per la filatura, la tessitura e la confezione».

La crisi economica degli ultimi anni e la conseguente delocalizzazione di impianti per la lavorazione tessile in Stati esteri, per molti specialisti del lavaggio e della pettinatura delle fibre ha significato la chiusura. Non significa che poli del genere siano del tutto scomparsi dai confini italiani: ce lo ricordano Prato, Biella e piccole realtà a conduzione familiare sparse sul territorio. Anche consapevoli della loro esistenza, affidare il prodotto a loro non sempre è possibile. «Le strutture nel biellese tendono a lavorare fibre più pregiate di quelle in media disponibili dalla raccolta delle tosature dei pastori. Non ospitano lane grossolane nei loro impianti. Non è una critica. È un dato di fatto», spiega Vencato. 

Lana Italia: i prodotti

I prodotti del marchio Lana Italia sono venduti quasi interamente online. «Fondamentale è garantire la tracciabilità Made in Italy delle nostre creazioni. Arrivano a casa con un certificato e il nome dell’acquirente. È difficile che un negoziante di bottega accetti queste condizioni per mettere in vendita un prodotto. Abbiamo iniziato una collaborazione con un negozio in provincia dell’Aquila e ne nasceranno di nuove a Venezia e Torino. Stiamo aspettando una ripresa del mercato che, con le complicazioni legate alla pandemia, si è raffreddato», dice Vencato. Complice di una futura ripartenza è la maggior consapevolezza del pubblico della provenienza e della sostenibilità di quello che è acquistato.

«Intorno al concetto di ‘prodotto sostenibile’ ruotano diversi aspetti. Per il mondo dei vegetariani e dei vegani è difficile tollerare una fibra animale. Per gli altri è invece più facile. Rispetto a qualche anno fa è meno complicato certificare la filiera e l’origine di un prodotto senza cadere nella trappola del ‘green- washing’, grazie a istituti internazionali nati per questo come il Textile Exchange e i suoi standard GRS- Global Recycle Standard. La fibra naturale è un valore aggiunto. Lo diventerà ancora di più nel momento in cui tutti i livelli della filiera remeranno nella stessa direzione. Produrre tessile con scarso impatto ambientale è giusto, serve però che sia accompagnato da un’adeguata retribuzione di chi lavora i materiali e con le esigenze del brand che mette in commercio i prodotti. Bisogna riconoscere che alcuni processi di recupero di materie prime hanno un costo superiore ad altri».

Lavorare con la lana, quali possibilità

Continua Vencato: «La lana, il lino e il cotone -soprattutto se lavorati in un certo modo- hanno un’armonia con la pelle che fibre sintetiche non possono avere. Serve promuovere meglio le qualità dei tessuti. Se guardiamo vecchie foto dei nostri nonni, indossavano giacche o pantaloni diverse gli uni dagli altri. La capacità di riconoscere le peculiarità di un materiale era più alta. Perché un capo in lana rossa è più costoso di un polyestere rosso? Senza demonizzare il sintetico, è necessario che gli acquirenti capiscano queste differenze». Guardando nello specifico alla filiera della lana, per Vencato -che sottolinea di non essere statalista di natura- una spinta potrebbe provenire dalla collaborazione con le istituzioni.

«Questo è un mondo che impiega i giovani. Per nostra esperienza ha anche un risvolto sociale: ragazzi in difficoltà trovano uno sbocco e un riscatto nella pastorizia. È un’economia che può continuare a crescere. Potenziare le fasi di lavaggio e pettinatura sul territorio darebbe valore aggiunto alla filiera, così come abbassare i micronaggi e le finezze della lana italiana per potersi presentare sul mercato internazionale ancora più forti e uscire dal concetto di ‘nicchia’ dell’industria di fibre e filati naturali. Lo abbiamo fatto presente da poco anche al presidente della Repubblica: gli abbiamo inviato un nostro capo, con una lettera in cui spiegavamo tutti i motivi per cui la filiera della lana è un contesto interessante che andrebbe valorizzato di più».

Il lavaggio della lana è il processo di pulizia e sgrassatura del vello, effettuato in vasche con appositi detergenti. La pettinatura è un tipo di finissaggio tessile che consiste nell’ordinare le fibre dopo che sono state cardate, ossia liberate dalle impurità e rese parallele

Giacomo Cadeddu

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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