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Ema Stokholma: il dolore, la rinascita, la radio, la pittura, Roma

Nella storia di Ema Stokholma c’è una bambina di cinque anni che ha paura di un mostro che chiama ‘mamma’. Morween Moguerou si racconta nel libro Per il mio bene vincitore del Premio Bancarella 2021 

Ema Stokholma vive ‘a Torpigna’ – come dice lei – Torpignattara, quartiere sud-est della Capitale

«Sono rimasta a Roma fino a 21 anni, poi scappai per andare a Londra, scegliendo la vita più difficile: quella della strada», racconta. «Non avevo paura, perché da bambina avevo vissuto l’inferno e niente poteva essere peggio di quello. Iniziai a imbruttire il mio corpo e a tagliarmi i capelli lasciando solo un lungo dread. Mi feci tanti tatuaggi e diversi piecing, dormivo negli squat. Ho rubato cibo, ero pronta a tutto.

«Ho continuato così per due anni. Poi iniziai a lavorare nella moda, a fare la modella per grandi marchi tipo Fendi e da lì le serate nei locali, ma non è stato facile. Quello è il mio passato. Il mio presente è qui a Roma. Ci vivo male. Lavoro in centro, è diventata una città difficile. Mi incazzo troppo spesso. La bellezza fa tanto, assieme alla storia e alla sua cultura, ma non bastano. Però dalla mia finestra vedo dei colori che solo qui e in pochi altri posti al mondo si possono avere».

Per il mio bene (Harper Collins) – Premio Bancarella 2021

Facciamo fatica a metterci nei panni degli altri. Soltanto ascoltando alcune storie, ci rendiamo conto di quello che succede attorno a noi. «Il male c’è e accade», dice Ema Stokholma. Nata a Marsiglia nel 1983 da madre francese e padre italiano, Morween Moguerou – questo è il suo vero nome – ha fatto la modella e la deejay prima di diventare la conduttrice radiofonica di Back2Back su Radio 2. Ha scritto un libro – Per il mio bene (Harper Collins) vincitore del Premio Bancarella 2021 – «nato dall’esigenza di raccontare quello che di terribile può accadere in alcune famiglie».

«La storia di qualche hanno fa del piccolo Giuseppe che nel napoletano è stato preso a botte e ucciso dal patrigno – racconta – mi ha sconvolta. Leggendo i commenti delle persone sui social, notai che c’era un gap tra le storie di questi bambini e quelli con un’infanzia normale e stabile. Storie come quella accadono. Lo so perché è successo anche a me. Se ne può uscire, ma non è facile e si ha bisogno di aiuto».

«Dovevo raccontare la mia storia – prosegue – ma per metabolizzare il tutto e farlo, ho impiegato 36 anni. Mi è stata di aiuto la mia amica Andrea Delogu, che aveva già scritto La collina, il racconto di una bambina nata nella comunità di San Patrignano – che è poi la sua storia. Dietro queste storie di violenza, ci sono dei genitori che non stanno bene, dei vicini che stanno zitti e delle maestre che non fanno niente».

Ema Stokholma: la sua storia nel libro Per il mio bene

Nella storia di Ema Stokholma c’è una bambina di cinque anni che ha paura di un mostro che chiama ‘mamma’. Quella che dovrebbe essere per lei – e per suo fratello Gwendal, di pochi anni più grande (è con lei nella foto sulla copertina del libro) – la persona più vicina e sicura, sa dare solo violenza e odio. La insulta e la picchia. Morween ha cercato di fuggire tante volte, «ma una società non permette che una bambina così piccola possa allontanarsi da sua madre. Davanti alle scenate e alle grida, tutti sembrano voltarsi dall’altra parte».

«Mia madre oggi non c’è più». Si ferma e aggiunge subito: «Non avrei mai immaginato di chiamarla ‘mamma’, ma in questo è stato fondamentale il lavoro di analisi che ho fatto. Avevo un certo distacco, poi sono riuscita a comprenderla e a volerle bene. A capire che in realtà lei me ne voleva, ma non sapeva dimostralo. Ho capito che non aveva un altro linguaggio – è successo anche a me di avere difficoltà a dimostrare l’amore. Se non hai avuto un esempio, fai maggior fatica. L’amore era per me uguale a violenza. Probabilmente è accaduto anche a lei, visto che fuggì di casa quando aveva 18 anni. Quando ero piccola, nella mia testa la consideravo un mostro. Le dava fastidio qualsiasi cosa di me, persino il mio respiro, il rumore che facevo, come la guardavo, i miei silenzi».

Ema Stokholma: l’infanzia in Francia e il trasferimento in Italia

Ema Stokholma viveva nel sud della Francia, in campagna. «Quando avevo dodici anni, ci siamo trasferiti in Bretagna. Abbiamo dormito in un campeggio fino a quando mia madre non ha trovato lavoro. Lì ci sono stata per tre anni, poi sono scappata in Italia». Non si è al sicuro in nessun posto: inizia così il suo libro. «Il libro l’ho scritto prima del lockdown. In quel periodo nessuno è stato sicuro, neanche in casa. Ora ho trovato il mio posto sicuro che è casa mia. Durante il lockdown, ho pensato che se mi fosse capitata una storia come quella che ho subito da piccola, sarebbe stato l’inferno».

«Non ci picchiava mai insieme. Sceglieva il suo bersaglio di volta in volta. Tra me e mio fratello, il dolore, anziché unirci, ci divideva. Quando ce l’aveva con lui, tiravo un respiro di sollievo, perché, finalmente, non toccava a me. Tra di noi, ne abbiamo parlato tardi, quando io avevo 15 anni e siamo andati a vivere in campeggio. Odiavo mia madre, volevo ucciderla, non provavo mai amore, anche perché non lo ricevevo».

Nessuno si è accorto di nulla, a cominciare da suo padre, assente. «Era andato via di casa. Quando scappai di casa a 15 anni, arrivai in Italia e fu proprio lui ad ospitarmi e ad aiutarmi. Iniziai a vedere il sole e a sperare che quella vita che avevo immaginato, potevo finalmente averla. Anche mio padre ha le sue colpe – all’inizio, nonostante mi aiutasse, è stata dura vivere anche con lui». Prima che morisse ha rivisto sua madre solo due volte in 20 anni. «Una di queste, l’ho vista solo perché volevo aiutare mio fratello che si occupava di lei, abitando nella sua stessa città».

I riferimenti artistici di Ema Stokholma pittrice

«Dipingere è stato terapeutico, anche se non lo sapevo. Dipingo da quando ero giovanissima. La pittura è sempre stata una passione e uno sfogo. Un piacere da condividere solo con me stessa nel momento in cui realizzo un quadro e poi con altre persone una volta portato a termine. Nel 2016 ho deciso di trasformare il mio account Instagram in una galleria d’arte 2.0 dove condivido quelle tele, incorniciando così i momenti più significativi della mia vita». I suoi sono quadri fanno pensare alla pop art, l’immagine di partenza è una fotografia, ma la realizzazione del quadro poi si compie a mano libera. Posta una fotografia scattata da lei cui fa seguire un time-lapse della realizzazione dell’opera, concludendo il trittico con uno scatto del dipinto. Osservando quelle opere, è evidente – come conferma – il suo amore per pittori come Edward Hopper e David Hockney (le opere con lei in piscina sono sold out), la pittura figurativa del Novecento e l’urban art. Quando non dipinge, lavora e negli ultimi anni è esplosa alla radio. 

Ema Stokholma – Sanremo su Radio 2 insieme a Gino Castlado

Nel 2020 la sua notorietà arriva grazie a Sanremo. Conduce il Prima Festival della 70esima edizione del Festival della canzone italiana. Poco dopo, presenta su Rai 4 Stranger Tape in Town, un programma tv che fotografa i nuovi artisti del panorama musicale italiano, trapper e rapper, proprio nel cuore dei luoghi simbolo della nuova scena musicale: la strada e i quartieri popolari. Segue e commenta con Gino Castaldo il Festival di Sanremo su Radio 2 – la radio ufficiale della competizione canora.

Giuseppe Fantasia

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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