Cerca
Close this search box.
  • EDITORIAL TEAM
    STOCKLIST
    NEWSLETTER

    FAQ
    Q&A
    LAVORA CON NOI

    CONTATTI
    INFORMAZIONI LEGALI – PRIVACY POLICY 

    lampoon magazine dot com

Antonio Ligabue Leopardo, 1955
TESTO
CRONACHE
TAG
SFOGLIA
Facebook
WhatsApp
Pinterest
LinkedIn
Email
twitter X

Finanza, arte, Milano, con Guido Maria Brera, scrittore e co-fondatore di Chora Media

«Serve una riforestazione: tra vent’anni ci stupiremo pensando che davanti alla Scala passavano le macchine – Il teatro si affaccerà su una piazza colma di alberi». Dialogo con Guido Maria Brera

Analizzare le crisi bancarie tra USA ed Europa con Guido Maria Brera

Guido Maria Brera è tra i protagonisti del dialogo economico e culturale di Milano – dalla finanza alla partecipazione in una casa editrice come La Nave di Teseo, co-fondata da Umberto Eco e diretta da Elisabetta Sgarbi. Il suo intervento su Lampoon si costella anche di alcune considerazioni sul capoluogo lombardo e i potenziali di questa città, che ha sempre più iniziato ad essere oggetto di un cosiddetto ‘Processo a Milano’. Negli Stati Uniti il fallimento di Silicon Valley Bank, in Europa la crisi di Credit Suisse e il crollo di Deutsche Bank in borsa. Il sistema bancario italiano le appare solido? 

«Il sistema italiano è diverso da quelli che stanno attraversando attualmente una crisi, in particolare la Silicon Valley Bank. Quest’ultima è una realtà che seguo da tempo, le ho anche dedicato un libro – La fine del tempo, quello a cui sono probabilmente più legato. È una banca atipica. Pochi clienti, tutti della stessa tipologia. Ha raccolto capitale con tassi di interesse a zero, investendoli però in titoli di stato a lungo termine. Qui sta l’errore. Avrebbero potuto rivolgersi al Federal Reserve System ma così non è stato. Le banche italiane sono invece realtà cresciute negli anni, con una clientela diversificata così come è la loro presenza sul territorio e godono di un’alta vigilanza. Il nostro è uno dei sistemi più solidi in Europa. Credit Suisse e Deutsche Bank sono sempre state fragili dato che hanno emulato il modello americano in un contesto che non gli è proprio». 

L’arte come investimento si conferma bene rifugio rispetto ad azioni e titoli

L’oro torna a essere il cosiddetto ‘bene rifugio’ per eccellenza insieme a Bond, Nasdaq e Bitcoin. Crede che l’investimento in arte sia ancora classificabile come un asset class lungimirante? 

«Alla base di tutto c’è l’assenza della politica che ha lasciato alla mano invisibile del mercato l’autogestione della ‘catena-di-montaggio-mondo’. Così le banche centrali sono intervenute con politiche monetarie. Sono stati stampati trilioni e trilioni di euro, franchi svizzeri, dollari e yen per uscire da una crisi e crearne una maggiore. Questa liquidità è stata investita nei cosiddetti trophy asset. Questo, da un lato, è stato un bene perché non ha portato a terra l’inflazione. L’arte, presentando sul mercato il pezzo unico, crea un circuito di scambio che si configura come un’alternativa all’investimento in azioni. È un dato di fatto, per chi può permetterselo». 

Ha ancora senso investire in criptovalute e NFT?

Negli ultimi anni, il sistema dell’arte si è trovato a doversi relazionare con gli NFT. Le banche contemplano questa forma di arte digitalizzata e favoriscono l’investimento nelle criptovalute creative. 

«L’NFT appare più come una democratizzazione dell’arte. Una sua cartolarizzazione. Questa tipologia di criptovaluta potrebbe beneficiare un ampio numero di persone. Si diventa investitori, non collezionisti». 

L’arte per Guido Maria Brera 

Che rapporto ha con l’arte, la colleziona?

«L’arte e la finanza condividono il compito di saper leggere il futuro, l’arte arriva prima nel fornire nuovi punti di vista sul domani. Come bene d’investimento mi interessa meno. Apprezzo artisti riguardo ai quali il mercato non ha un’idea univoca, come Antonio Ligabue o Mario Ceroli. Si tratta di puro godimento estetico, una modalità scevra da logiche economiche». 

L’Italia tra finanza buona e cattiva con Guido Maria Brera 

Se la finanza dovrebbe aiutare a realizzare le idee, è soddisfatto di come interviene nello scenario culturale nazionale? 

«La finanza dovrebbe stare vicino alle imprese. Nasce come cinghia di trasmissione tra chi ha le idee e chi aiuta a concretizzarle. Questa è la finanza buona. Quella cattiva si caratterizza per il fare soldi con i soldi; non produce vera ricchezza e fagocita la componente reale delle cose. Come afferma Mario Draghi, si può parlare di debito buono o debito cattivo. Il sociologo Luciano Gallino declinava questa dicotomia opponendo la creazione di valore all’estrazione di valore. L’Italia, dopo la pandemia, ha visto una sorta di nuovo piano Marshall: il PNRR. Sono state create istituzioni ad hoc che possono aiutare nella raccolta di fondi. Un passo in avanti che la Francia, ad esempio, aveva fatto almeno dieci anni prima di noi». 

I giovani e la ricerca di un posto di lavoro 

Federico Caffè – figura che alberga nel suo Dimmi cosa vedi tu da lì. Un romanzo keynesiano – sul welfare non transigeva. Nella sua ultima pubblicazione, In difesa del Welfare State. Saggi di politica economica, si mostra sensibile verso la carenza assistenziale ai deboli e agli anziani. Rispetto ai giovani, asseriva che il loro mancato inserimento nel lavoro distrugge le risorse umane del futuro. Oggi, a distanza di più di trent’anni, la politica economica verso i giovani le sembra sufficientemente adeguata alle necessità contemporanee?

«Dopo tre decenni di sfrenato iperliberismo, ci siamo accorti di aver bisogno di uno Stato. Si ritorna al paradigma Caffè: senza equità e giustizia non dovrebbe esistere il progresso. Le nuove generazioni in Italia faticano a ritagliarsi un posto nel mondo del lavoro perché il sistema scolastico-universitario è stato tartassato da tagli troppo a lungo. Se l’educazione deve essere un ponte per il futuro, oggi appare labile ma credo anche che siamo alle soglie di un nuovo rinascimento. Non si parla più di austerity». 

Verso una nuova globalizzazione  

«A partire dagli anni Cinquanta, il business che è cresciuto di più è il turismo. Un turista su quattro visitava l’Italia, tuttavia non abbiamo colto appieno questo dato. Non abbiamo capito il nostro vero asset fatto di bellezze naturali e storico-artistiche di cui ancora oggi le persone desiderano fare esperienza. È la politica industriale che ha errato da tempo, non considerando questo ‘oro verde e mancando nell’offrire condizioni di lavoro per tutti. La risposta al problema non sta in un turismo lampo, affitti brevi e alberghi a sei stelle. Si deve favorire un’accoglienza diffusa e stabile che renda il Paese un ufficio a cielo aperto, dove si può lavorare, ricevere la migliore istruzione, le migliori cure e godere delle sue bellezze. Dobbiamo attrarre persone a lungo termine. La globalizzazione ha mosso merci, e noi abbiamo perso erodendo cieli, terre e acque. La nuova fase della globalizzazione la vincerà chi saprà muovere le persone».

Reddito di cittadinanza: tra presente e futuro

Il suo pensiero riguardo al reddito di cittadinanza italiano è sempre critico, non è dignitoso?

«Il reddito di cittadinanza in quanto tale è stato una delle forme più classiste su modello della Silicon Valley. Servirebbe innanzitutto un tipo di reddito risarcitorio del lavoro che facciamo dagli ultimi vent’anni per le grandi piattaforme social che mettono a profitto le nostre emozioni, i nostri desideri e dati. Si creerebbe un extra profitto – in primis destinato ai più deboli – a risarcimento del lavoro più o meno consapevole che chiunque di noi fa ogni giorno. È un tema che tutto l’Occidente dovrebbe prendere in considerazione. Un’altra forma di reddito deve poi garantire un futuro dignitoso. Lo Stato, invece del reddito di cittadinanza così come lo conosciamo, potrebbe assicurare, a chi ne beneficia, borse di studio nelle migliori università del mondo, mammografie nell’arco di ventiquattr’ore, un luogo in cui abitare. Questi sono esempi di diritti sociali che garantiscono una costruzione di futuro. Nel reddito di cittadinanza così com’è vedo un tampone temporaneo per far sopravvivere».

Guido Maria Brera e l’editoria 

In un’intervista ha definito l’editoria «fulcro di una società democratica». Crede che lo sia in potenza o già ricopra questo ruolo? 

«L’editoria è garante di una società democratica e viva. L’astensionismo, ad esempio, è frutto di una mancanza partecipativa che trova radice nella poca informazione. L’editoria ha sofferto di un cambio generazionale notevole e si è adattata all’arrivo di nuovi mezzi digitali. È un modello di business complicato che richiede sforzi per renderlo sostenibile». 

Guido Maria Brera: il tempo per scrivere 

Che valenza ha per lei la scrittura e quanto tempo le dedica? 

«Ci sono dei momenti in cui mi chiudo a scrivere. Al momento sto lavorando con il collettivo di Diavoli a un nuovo libro. Dopo due anni di ricerche, iniziamo a buttare giù le prime pagine. È un atto curativo. Non scrivo sempre: non solo perché ho altri lavori, ma perché a volte non ho proprio niente da dire. Posso permettermi il lusso di scrivere quando ne sento il bisogno». 

Chora Media, una podcast company italiana, tra i fondatori Guido Maria Brera

Fondata nel 2020 da Guido Maria Brera, Mario Gianani, Roberto Zanco e Mario Calabresi, che la dirige, Chora vuole dare voce a una vasta gamma di narrative, attraverso un’unione non convenzionale di formati. Uno spostamento dell’informazione dal visivo all’uditivo. Perché, tra tutti, il medium del podcast? 

«A partire da un pranzo a Fregene ci siamo trovati concordi rispetto all’idea di tornare all’oralità. L’esercizio di ascolto ha radici millenarie. Sul piano produttivo, il podcast ha la capacità di fornire una lettura del presente più rapida rispetto a un film, una serie o un libro, senza rinunciare alla coinvolgente cifra emotiva. Abbiamo acquisito Will Media e stiamo lavorando molto sulla testata giornalistica Chora News. Si vuole garantire l’immediatezza informativa che tiene conto delle esigenze attuali». 

Processo a Milano, interviene Guido Maria Brera 

Oltre a Roma, lei vive anche a Milano che è un centro finanziario. La città è imputata in un variegato ‘processo a Milano’ sul quale si sta scrivendo e disquisendo da settimane: Milano sta implodendo tra senza tetto sotto i portici del centro, affitti per studenti improponibili, l’umiliante inquinamento, misure irrisorie sul piano della sostenibilità – come i chilometri di piste ciclabili senza alberi. Milano le appare sempre più una città contenitore problematica e, al tempo stesso, esclusiva? 

«L’inquinamento di Milano è un tema che mi tocca personalmente e su cui lavoro dal 2008. È una tra le città più inquinate al mondo. Non trattandosi di un inquinamento importato, si potrebbe però aspirare a farla diventare un’oasi all’interno della Pianura Padana. È stato fatto poco e ormai non si possono che adottare soluzioni radicali. È una città concentrica, non grande e piana: potrebbe essere un laboratorio per nuove tecnologie che blocchino l’inquinamento, almeno nel centro. Ci sono le risorse economiche per farlo e l’investimento avrebbe un impatto positivo sulla spesa sanitaria. Abbraccio il concetto di ecologia profonda del filosofo norvegese Arne Næss: l’uomo e gli altri organi vegetali e animali sono tutti sullo stesso piano. Privilegiare l’eco-centrismo in sostituzione all’antropocentrismo. La natura deve riconquistare Milano. Aiuole e alcuni palazzi con pareti verdi rappresentano un’ecologia superficiale». 

Processo a Milano: Riforestare Milano le problematiche con Guido Maria Brera

«È tardi per piantare alberi in qualche zona della città. Serve una riforestazione vera e propria. Tra vent’anni ci stupiremo pensando che davanti alla Scala passavano le macchine. Il teatro si affaccerà su una piazza colma di alberi, dove nessuno, tranne chi per serie ragioni non può farne a meno, sognerà l’automobile. Si camminerà. Milano dovrebbe dotarsi anche di una reale edilizia convenzionata, a scapito di ghetti animati da violenze e droghe. Si andrebbe a scardinare pure il sistema di affitti brevi che svuotano la città. Una città è bella se ha cittadini stabili che creano una solida coesione comunitaria». 

Per una finanza socialmente sostenibile

La finanza può condizionare la vita quotidiana delle persone. A oggi, quanto agisce realmente nel loro interesse? 

«La finanza è come l’acqua. Servono degli argini per contenerla. Chi può guidare su tutti i piani questo flusso di capitale è la politica: dal progresso scientifico, alla sostenibilità ambientale, alla sanità, alla ricerca e oltre. La finanza altrimenti diventa anarchica, algoritmica e fa danni».

Guido Maria Brera 

Imprenditore, manager e scrittore. Nel 1994 è gestore di fondi nel Gruppo Fineco e successivamente responsabile del proprietary trading di UBS Warburg dove sarà tra i più giovani dirigenti al mondo. Studioso delle teorie economiche di Federico Caffè, nel 1999 diviene co-fondatore e amministratore del Gruppo Kairos che opera nel settore del private banking e dell’asset management, dove attualmente ricopre la carica di Direttore Investimenti. Come scrittore nel 2014 pubblica I Diavoli, prodotto come serie televisiva da Sky Italia e Lux Vide. Nel 2015 è tra i promotori, insieme a Elisabetta Sgarbi e Umberto Eco, della fondazione della casa editrice La nave di Teseo. Nel 2017 scrive con Edoardo Nesi Tutto è in frantumi e danza. Nel 2020 torna con il thriller La fine del tempo, cui segue Dimmi cosa vedi tu da lì. Un romanzo keynesiano (2022). È co-fondatore di Chora Media assieme a Mario Gianani, Roberto Zanco e Mario Calabresi.

Federico Jonathan Cusin

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

SFOGLIA
CONDIVIDI
Facebook
LinkedIn
Pinterest
Email
WhatsApp
twitter X