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L’installazione Vivai Guagno con Co.Ge.V. presso Montichiari con lo scopo di ricreare un esempio di piantagione policiclica, 2019
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Vent’anni di piantagioni policicliche in Italia, benefici e difficoltà

Centinaia di ettari di impianti, dalla Toscana alla Lombardia, ricostruiscono boschi per la produzione di biomasse e legname. Specie diverse, cicli di crescita diversi: si differenzia la produzione e gli agricoltori rischiano meno

Piantagioni policicliche: intervista a Paolo Mori

Pioppi e querce che crescono per decenni, accanto ad arbusti più giovani, con uccelli, insetti e altri animali ad abitarli. È un bosco, ma artificiale: una piantagione policiclica. Lo spiega il direttore di Fondazione AlberItalia Paolo Mori, uno degli inventori di questo sistema di impianti. «In un bosco naturale ci sono alberi di varie specie, distribuiti in maniera non uniforme. Con le policicliche cerchiamo di fare qualcosa di molto simile: costruire un bosco in una piantagione, però gestendolo. Si mettono le piante in un certo ordine, la loro crescita va gestita con l’irrigazione, il terreno va lavorato per evitare che nel periodo di prima vita degli alberi crescano erbe infestanti». Le policicliche sono piantagioni miste, dove coesistono diverse specie. È questo a renderle simili ai boschi naturali. 

«Non arriviamo mai alla complessità di un bosco vero, ma rispetto alle piantagioni di una sola specie e con un solo ciclo produttivo, ci avviciniamo molto. Specie principali arboree, arbustive accessorie e azotofissatrici crescono insieme, secondo i loro tempi naturali. Si crea così un sistema caratterizzato da più cicli in contemporanea», spiega Mori. Le policicliche possono essere a termine o potenzialmente permanenti. Nel primo caso le piante principali ricoprono l’intera superficie del terreno con la loro chioma e, al momento dell’utilizzazione, la piantagione viene tagliata. In quelle potenzialmente permanenti gli alberi principali, che crescono più lentamente, non coprono tutta la superficie. Appezzamenti scoperti vengono destinati ad altri alberi, con ciclo colturale diverso. Il terreno, se si continua a gestire la piantagione in modo giusto, non sarà mai del tutto scoperto. 

Non esiste uno schema fisso nella progettazione di un impianto policiclico. Di solito, spiega Mori, almeno il 10% delle piante ha proprietà azotofissatrici, mentre il numero delle altre varia, «in genere sono cinque o sei specie, a volte sette o otto, contando anche le arbustive. In casi estremi se ne hanno solo due. Usiamo noci e togli, pioppi, ciliegi, aceri, frassini, sorbi e querce, come le farnie in pianura, perché resistono bene alle zone a rischio allagamento, oppure i roveri, più diffusi in luoghi asciutti, perché reggono bene la siccità ma meno l’umidità», dice Mori.

Piantagioni policicliche: sperimentazione in Italia

La varietà di specie e di ambienti in cui si può provare a creare questo tipo di piantagioni è stata esplorata solo in parte. Mori ha iniziato a lavorarci nel 1995, quando ha fondato Compagnia delle Foreste, società che punta a trovare modi per coniugare profitto e responsabilità d’impresa, promuovendo innovazione e buone pratiche nella gestione di alberi e foreste. Spiega: «È solo una ventina d’anni che è iniziata la sperimentazione. Il primo impianto, a termine, è stato fatto nel 2000, a San Matteo delle Chiaviche, in provincia di Mantova. Adesso si guarda sempre più alle potenzialmente permanenti. Va detto che non parliamo ancora di una diffusione molto importante, ma di alcune centinaia di ettari, in particolare al Nord Italia. Siamo partiti dalla Lombardia, ora lavoriamo anche in Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Emilia-Romagna». 

Piantagioni policicliche: benefici ambientali

I benefici delle piantagioni policicliche sono anzitutto ambientali. All’interno degli impianti, spiega Mori, «le piante azotofissatrici, che hanno una simbiosi radicale dove fissano nel terreno più azoto di quello che serve a loro, rendono superfluo utilizzare concimazione chimica». Gli impianti sono solitamente formati da un alto numeri di alberi. Ombreggiano il terreno, che – rispetto a quello su cui crescono impianti tradizionali – ha meno bisogno di essere lavorato con trattori: si risparmia gasolio, si emette meno anidride carbonica. Hanno poi un impatto positivo sulla biodiversità. La presenza di specie diverse favorisce la crescita di ambienti adatti ad ospitare molti animali – uccelli, insetti, piccoli e medi mammiferi –, tutelando la biodiversità locale. 

«Discorso da fare è anche quello delle malattie che, in una piantagione mista, si diffondono con più difficoltà. Se ho solo ciliegi e questi si ammalano, rischio di perdere tutto il potenziale di reddito della mia piantagione. Se ho diverse specie, questo non succede. Distanziando alberi e piante, funghi e patogeni si spostano meno facilmente dall’una all’altra e gli alberi subiscono meno stress. Faccio un esempio: nei pioppeti tradizionali, dopo circa sei anni, le chiome degli alberi arrivano a toccarsi. Se vengono piantati a una corretta distanza, questo non succede e le piante, non essendo in competizione l’una con l’altra, non si stressano e non si indeboliscono», spiega Mori. C’è poi la fissazione di anidride carbonica nel legno degli alberi, che rilasciano ossigeno nell’ambiente, rimpiegando il carbonio per costruire sostanze organiche: più alberi crescono, meno CO2 è nell’aria.

Piantagioni policicliche, benefici per la produzione

Ragione per lavorare a una piantagione policiclica, oltre all’impatto ambientale, è il suo potenziale produttivo. «È un po’ come giocare in Borsa – dice Mori – nel senso che se compri le azioni solo di una società, e poi qualcosa va male, hai perso tutto. Se ne compri un po’ di società diverse, il rischio di perdita si riduce. Così è con il legno di diverse specie di alberi». Biomassa, pannelli da compensato, legna da bruciare, pasta per cellulosa. E ancora, materiale per sedie, mobili e porte. Crescendo in tempi diversi, gli alberi garantiscono una produzione di legno continua e permettono di recuperare, gradualmente, il costo dell’impianto. Al sesto anno si ottiene qualcosa, al decimo qualcos’altro, al ventesimo altro ancora, e nel mentre le piante tagliate in precedenza hanno ricominciato a crescere. 

A chiedere aiuto per la messa a dimora di una piantagione policiclica, dice Mori, «sono gli agricoltori. Spesso utilizzano i fondi europei per lo sviluppo rurale delle regioni, che ogni anno organizzano alcuni bandi, tra cui alcuni per le policicliche. Altri agricoltori ottengono in gestione le golene dei corsi d’acqua, con la condizione imposta dalle amministrazioni che parte di queste siano destinate a bosco». Più recentemente, l’interesse per le piantagioni policicliche si è acceso anche in alcune aziende, «non sempre per compensare le proprie emissioni, ma anche perché vogliono dare un messaggio a clienti e dipendenti, mostrando di essere attente all’ambiente». Prima di accettare una collaborazione con un’impresa, spiega Mori, «AlberItalia si accerta che abbia preso impegni per ridurre la propria impronta ambientale. Il nostro obiettivo è far capire agli agricoltori che piantare alberi è un bene. Per loro si genera reddito, nel mentre si agisce sull’impatto climatico. Per questo utilizziamo molto i pioppi. Sono un escamotage per ridurre il costo delle piantagioni. Sono facili da vendere e quando vengono tagliati liberano spazio che può essere rioccupato dai semi di altre piante».

Piantagioni policicliche: rischi e difficoltà

Rispetto alle piantagioni tradizionali, i rischi per chi decide di sperimentare con le policicliche «sono innanzitutto di carattere culturale», dice Mori. Occuparsi di una sola specie è più facile che gestirne sei o sette diverse. «Alberi diversi, quando crescono insieme, spesso entrano in competizione gli uni con gli altri. Prima o poi le loro chiome iniziano a toccarsi e allora bisogna intervenire per non sottoporli a stress. Se hai sei specie di piante diverse, devi conoscerle tutte. Quando lavoriamo agli impianti, pensiamo a una gerarchia di specie: sappiamo già quale andrà tolta dalla piantagione, nel caso entri in competizione con un’altra», spiega Mori. Molti agricoltori «sono abituati a lavorare in modo schematico. In questi casi è più difficile, servono più competenze. La coltivazione del mais, ad esempio, segue un calendario: semina, piantagione, irrigazione, trattamento. Qui non c’è. Quando prepariamo un impianto policiclico, proponiamo un questionario agli imprenditori agricoli. Vediamo che conoscenze hanno e sulla base dei risultati mettiamo a punto diverse piantagioni, più o meno semplici».

Piantagioni policicliche: progetti in Italia

Tra i progetti più interessanti che hanno scommesso sulle policicliche, dice Mori, c’è l’iniziativa promossa da Cartiere Carrara in provincia di Lucca, nella zona di Badia Pozzeveri: «centosettanta ettari tutti di impianti policiclici. È l’esperienza più grande fatta finora, di solito parliamo di dieci ettari o poco più». Lo scorso novembre sono stati realizzati progetti in collaborazione con due grandi aziende come Tezenis e Calzedonia. Già qualche anno fa, nell’ambito dell’iniziativa europea Life+InBioWood, in Veneto sono stati realizzati 25 ettari di impianti policiclici e 45 chilometri di filari lungo corsi d’acqua. Sempre nell’ambito dello stesso progetto, racconta Mori, Compagnia delle Foreste ha realizzato ‘Legno&Ambiente’, un’applicazione per cellulari Android che aiuta chi è interessato a progettare la sua piantagione policiclica. Sulla base delle risposte fornite a cinque domande, propone un tipo di piantagione e uno schema di impianto, «senza però guardare anche alle specie, che vanno scelte di volta in volta in base alla zona geografica», spiega Mori.

Compagnia delle Foreste

Impresa privata che si occupa di editoria, comunicazione, formazione e ricerca in tema di gestione delle piantagioni di alberi e foreste.

Fondazione AlberItalia

AlberItalia è una fondazione che si propone di aiutare persone, comunità e imprese a contrastare la crisi climatica, promuovendo una corretta gestione degli alberi attraverso attività di programmazione, piantagione, e difesa. Il motto di AlberItalia, spiega Paolo Mori, è «l’albero giusto nel posto giusto».

Giacomo Cadeddu

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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