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Anselmo Novarese
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Titanio, metalli, polveri atomizzate: la lavorazione dei materiali per l’alta gioielleria

Monili, fibbie, occhiali, scacchiere, moto telecomandate. Venti persone realizzano i desiderata dei clienti con lavorazioni a basso impatto, Anselmo Novarese racconta il lavoro con base a Valenza

Lavorazione del titanio

«Il titanio è una questione di fede». Anselmo Novarese riassume così il suo rapporto con il metallo che preferisce. «È imprevedibile, mutevole. Sembra quasi che sia irrispettoso nei confronti di chi lo lavora, perché possono crearsi dei difetti non visibili. Bisogna amarlo incondizionatamente». Titolare e amministratore unico di Difi S.a.s, da oltre vent’anni realizza gioielleria tradizionale e oggettistica di lusso. «Monili, gemelli, ma anche fibbie, occhiali, scacchiere. Fino ad arrivare alle macchine in oro e diamanti telecomandate. Gli unici limiti possono essere questioni di tempo o di budget». I suoi clienti sono marchi di gioielleria e orologeria. In gran parte stranieri: Costa Azzurra, Montecarlo, Parigi e Svizzera.

L’azienda ha sede a Valenza, centro italiano per la lavorazione dei materiali preziosi. In tutto una squadra di circa venti persone, fra sviluppo cad (Computer-aided design, progettazione assistita da calcolatore), orefici, incassatore, pulitrice, modellista. Lavorano con oro, argento, platino, per citare i materiali più conosciuti. Non sono i soli. «Sono appassionato dell’uso del titanio nella gioielleria. Anzitutto è l’unico a essere biocompatibile. Si utilizza nelle operazioni chirurgiche, per dilatare le arterie del cuore o nelle protesi metalliche. Se è puro e non contaminato non crea crisi di rigetto», prosegue Novarese. 

Il titanio è un metallo difficile da trattare

Se paragonato all’oro: «Se l’oro permette di sbagliare e di correggere, il titanio no. Basta un errore e lo si butta. Con il titanio posso lavorare spessori molto più bassi. Creo una rosa con petali sottili due decimi di millimetro, mentre con l’oro devo per forza raddoppiare, proprio per una questione di resistenza strutturale. A operazione finita una sembrerà una rosa vera, l’altra un gioiello». Anche il peso cambia, con un rapporto di 1 a 4: «Un paio di orecchini in oro pesa il quadruplo rispetto allo stesso in titanio». Il titanio permette una gamma più ampia di colori. Le leghe preziose a base oro possono essere lucidate più a specchio rispetto al titanio e risultano più facili da modellare. 

La lavorazione del titanio per la creazione di gioielli o oggetti preziosi segue due direzioni: la microfusione oppure la stampa con polveri atomizzate. In Difi, spiega Novarese, inizialmente utilizzano la microfusione, collaborando con aziende attive nella realizzazione di protesi dentarie. «Si crea prima di tutto il modello che si vuole ottenere con un polimero – per esempio una cera che si scioglie a una certa temperatura. A questo punto immaginiamo di creare un albero di Natale con fusto centrale e rami, alla base più grossi e in cima più fini. Alla fine di tutti questi rami ho gli elementi – o i micro elementi – da fondere: micro-fusione a cera persa, appunto. Questi elementi sono montati come fossero addobbi sull’albero di Natale, in basso quelli più grossi e a salire fino alla cima sempre più piccoli», spiega Novarese.

Si inserisce la struttura in un cilindro saturo di polvere di gesso o cemento, al quale aderisce con esattezza. «Tutto è inserito in una macchina del vuoto, si tolgono le particelle di aria e si mette in un forno di asciugatura. Si aspetta che il gesso si solidifichi. Una volta fatto, è necessario ricorrere a un altro forno: quest’ultimo fa fondere la cera, che cola al di fuori. Con macchine specifiche si fa colare il metallo fuso all’interno del cilindro, le cui cavità vengono così saturate». Il cilindro viene poi rotto e viene in questo modo recuperato l’albero con i rami, trasformato da cera in metallo. 

Anselmo Novarese, il laboratorio orafo

Con il passare del tempo, Novarese sceglie di ridurre questo processo e di preferirne un altro. Il titanio è un metallo sensibile, soggetto anche all’ossigeno. «Nell’oro, argento o platino possono verificarsi problemi di microporosità o di imperfezioni, nel caso del titanio è sufficiente una molecola di ossigeno o di aria presente all’interno della camera di fusione perché questo modifichi la propria cristallizzazione». Significa che la durezza del metallo aumenta in modo consistente e che al suo interno si creano delle crepe invisibili, chiamate ‘cricche’. Gli oggetti costruiti con questa formulazione potrebbero rompersi per uno shock termico o per uno stress meccanico, dice Novarese, e avere perciò bisogno di una riparazione.

«Ci siamo spostati sulle polveri atomizzate, una tecnologia nata a fini aerospaziali», continua. Comincia tutto da un ago, al cui interno si fa correre metallo fuso: «Quando fuoriesce incontra un flusso di azoto liquido. Il materiale in fusione – che ha una temperatura tra i 600 gradi fino a oltre 1900 – è perciò sottoposto a uno shock termico, ed esplode. Si crea una polvere metallica più fine del borotalco». Si setaccia e inserisce in una stampante 3D, poi chiusa. A questo punto si toglie aria e si inserisce argon, gas inerte e non tossico, necessario per evitare l’ossidazione nel processo di lavorazione.

«Ora immaginiamo di tagliare un monile a fette dal basso verso l’alto, con strati di uno spessore pari a due centesimi di millimetro. La macchina funziona così: crea l’oggetto strato dopo strato, partendo dalla polvere. In questo processo ci sono due vantaggi. Prima di tutto uso solo il 5% in più del metallo che mi serve, e ho così pochissimo scarto. Con la microfusione ho una sproporzione maggiore. Per esempio, se fondo 5kg di oro ne uso 1kg. Poi, devo comunque raffinare il metallo che non ho usato per poterlo riutilizzare», prosegue Novarese. «Questa lavorazione mi permette di ottenere una superficie più dura e più resistente ai graffi. Data la riduzione di scarto, si può intuire come il processo sia verde e a ridotto impatto ambientale».

Difi usa questo processo per stampare tutti gli ori da18 carati – bianco giallo e rosso –, il platino e il titanio. In questo caso si effettua una tomografia assiale per verificare l’assenza delle crepe che rischiano di formarsi. «Oltre all’utilizzo di questa tecnica di stampa, che possiamo chiamare anche stampa additiva, cerchiamo di ridurre l’inquinamento con altri materiali. Per esempio: i tessuti stabilizzati. Alcuni nostri clienti ce ne danno di riciclati, che non possono essere messi in vendita perché non hanno i requisiti necessari. Noi li usiamo per creare dei monili», spiega Novarese. O ancora, l’impiego di materiali derivanti dalla cellulosa per la creazione di montature per occhiali. Si occupano inoltre dell’acciaio damascato:

«Lo lavoriamo con base inossidabile (inox) usando gli scarti di produzione dei bisturi per chirurgia. Così facendo recuperiamo materiale che andrebbe altrimenti perso. Lo utilizziamo per fare anelli, gioielli, ma anche oggettistica – dadi da gioco, ora esposti al museo del gioco di Las Vegas. Altro capitolo, il corno: ne uso una quantità minima, e solo da animali trovati già morti a terra. Utile in origine per coltelli costosi, anche per le spade dei samurai. Noi lo impieghiamo per occhiali, manici di coltelli, dettagli di porta sigarette». 

Quanto al rifornimento Difi compra metallo puro in piccole verghe o lastre nei banchi certificati. Per accedere è necessaria una licenza non assegnabile ai privati. Il recupero dei materiali: «per il titanio non c’è questo problema, appunto perché si produce il necessario e ne resta inutilizzato pochissimo. Quanto alle leghe preziose, ci avvaliamo di centri specializzati che recuperano l’oro puro dalle polveri, filtrandole». Difi lavora su commissione.

Il cliente esprime i suoi desideri e da lì si procede alla realizzazione

«Un cliente ci ha commissionato un paio di gemelli a forma di flauto traverso. Con un microscopio ne abbiamo quindi riprodotti due, compresi i fili che legano i tasti fra loro, del diametro di circa cinque o sette centesimi di millimetro. Per farne un paio abbiamo impiegato 380 – 400 ore di lavoro». Oppure, un set da ping pong con racchette omologate e impugnatura in oro e diamanti.

La riproduzione della moto di un campione di motocross. Il manico di una pistola rifatto in titanio, oro, e diamanti: «Solo per scegliere le pietre ci sono volute due settimane di lavoro». O ancora, un auricolare bluetooth: «Una cornetta degli anni Sessanta, tutta in oro bianco. Portata al collo come fosse un ciondolo: al centro c’è un sistema di micro auricolari. All’esterno c’è un micro pulsante, che serve per rispondere alle chiamate. Sembra una collana, ma funziona. Se lo si sente vibrare si può rispondere tenendo il telefono in borsa». 

Anselmo Novarese – Difi

L’azienda si trova in Piazza Benedetto Croce, 39, 15048 Valenza, provincia di Alessandria (Piemonte). Novarese ha anche fatto cenno alla formazione, a volte un capitolo difficile per loro: data la complessità delle commissioni, faticano a trovare maestranze preparate in modo adeguato. Fra le due tecniche di lavoro (microfusione e polveri atomizzate) usano in grande prevalenza la seconda, ma talvolta capita utilizzino anche la prima.

Elisa Cornegliani

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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