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Campione di microplastiche prelevato dal Great Pacific Garbage Patch a 34 ° 42’210 N - 142 ° 21’004 W. Ph Samuel Bollendorff - Tara Expeditions Foundation
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Durante ogni lavaggio produciamo microplastiche che finiscono nel mare

Il 35% delle microplastiche primarie presenti nell’ambiente deriva dal settore tessile: non disponendo di sistemi di trattenimento delle acque reflue, le microfibre si riversano negli ecosistemi

Microplastiche: una definizione

Con il termine microplastiche si fa riferimento ai frammenti di materiale plastico di dimensione inferiore ai 5 millimetri, fino a raggiungere dimensioni nanometriche. Si definiscono microplastiche primarie quei frammenti che entrano nell’ambiente marino direttamente in dimensioni micrometriche, come quelli provenienti dal tessile, dall’usura degli pneumatici e dall’industria cosmetica; per microplastiche secondarie si intendono invece i frammenti derivati dalla degradazione di oggetti di dimensioni più grandi nell’ambiente marino, ad opera dell’azione del sole, della temperatura, delle correnti e del moto ondoso. Una ricerca pubblicata nel 2018 dall’International Union for Conservation of Nature ha identificato le principali fonti di microplastiche: al primo posto si colloca il settore tessile, considerato responsabile del 35% del rilascio di microplastiche primarie ogni anno; seguito dall’usura degli pneumatici, dalla manutenzione stradale, dalla perdita di pellet e altri.

L’Istituto dei Polimeri, Compositi e Biomateriali

L’Istituto dei Polimeri, Compositi e Biomateriali (IPCB) del Consiglio Nazionale delle Ricerche ha iniziato ad operare nel settore nel 2014, su spinta del progetto MERMAIDS, promosso dall’Unione Europea allo scopo di mitigare l’impatto delle microplastiche prodotte dai processi di lavaggio dei tessuti. Durante una ricerca precedentemente condotta, nei sedimenti marini erano state rinvenute fibre con una composizione simile a quella di tessuti sintetici. Mariacristina Cocca, Ricercatrice presso L’Istituto dei Polimeri, Compositi e Biomateriali: «Durante le fasi di manutenzione dei capi sono liberati microplastiche nell’ambiente. Abbiamo eseguito prove di lavaggio su scala reale su abiti commerciali utilizzando una lavatrice domestica al fine di ottenere dati sul rilascio di microplastiche e di identificare le possibili influenze delle caratteristiche tessili. L’acqua di scarico è stata raccolta e filtrata attraverso una serie di filtri successivi a porosità decrescente, e sono state determinate la quantità e le dimensioni delle microfibre. Il rilascio di microfibre è stato analizzato in relazione alla natura e alle caratteristiche dei vestiti lavati».

Microplastiche dal lavaggio dei tessuti

Analizzando ciò che avviene in uno strumento reale è emerso che le microfibre sprigionate durante un lavaggio vanno da 124 a 308 mg per kg di tessuto lavato a seconda del tipo di indumento lavato, che corrisponde a un numero di microfibre compreso tra le 640.000 e le 1.500.000. Le dimensioni delle microfibre liberate durante un ciclo di lavaggio sono di diverse dimensioni, tuttavia durante i test svolti dall’Istituto la maggior parte di esse è stata trattenuta da filtri con dimensioni dei pori di 60 µm, presentando una lunghezza media di 360-660 μm e un diametro medio di 12-16 μm. Le dimensioni micrometriche delle fibre fanno sì che i normali impianti di filtraggio delle acque reflue non siano in grado di trattenerle – rappresentano una minaccia per gli ecosistemi marini. Microfibre tessili sano state ritrovate all’interno di organismi marini come pesci e meduse. Al momento non esistono normative che regolano la valutazione delle microplastiche rilasciate dai tessuti né l’impiego di sistemi di filtrazione al fine di trattenerle. 

A livello globale sono utilizzate più di 840 milioni di lavatrici domestiche, che consumano annualmente circa 20 km3 di acqua e 100 TWh di energia

Un test svolto dall’IPCB e i cui risultati sono stati pubblicati su Elsevier dimostra che il numero di microfibre rilasciate da un carico di 5kg di capi in poliestere ammontano a oltre 6.000.000 unità. Vi sono diversi fattori che influenzano questo fenomeno: «Tutte le condizioni di lavaggio come l’incremento della temperatura, dell’azione meccanica durante un ciclo di lavaggio o del tempo di lavaggio portano a un trend in aumento delle microfibre sprigionate. Anche se i fattori principali sono legati alla struttura tessile e anche al carico di lavaggio. È preferibile avere un carico di lavaggio più alto, altrimenti l’azione meccanica della lavatrice impatta negativamente. Per quanto riguarda la struttura tessile del capo, abbiamo dimostrato che tessuti costituiti da filati con fibre corte rilasciano di più rispetto a tessuti costituiti da fibre lunghe e continue. Abbiamo evidenziato che strutture tessili compatte, con filati arrotolati lungo la loro asse (twist) liberano meno materiale dei tessuti con un basso grado di twist». Il detersivo in polvere aumenta il rilascio di microplastiche. Esso contiene composti inorganici insolubili in acqua, come la zeolite, che potrebbero causare attrito con i tessuti. Anche il pH più alto proprio di questo tipo di detersivo inficia. L’impiego di ammorbidente, al contrario, riduce il rilascio di microfibre del 35%, in virtù della sua capacità di ridurre l’attrito. 

Quali tessuti rilasciano microplastiche

Non solo i tessuti sintetici rilasciano microfibre – anche i tessuti misti o di derivazione naturali. Durante i processi di finissaggio del tessuto si applicano sostanze che hanno lo scopo di fornire al materiale tessile caratteristiche come ritardo alla fiamma e idrorepellenza. «Nel cercare di sviluppare un metodo per mitigare il problema abbiamo lavorato anche sulla realizzazione di finissaggi di tessuti ad opera di polimeri naturali o polimeri biodegradabili»., prosegue Cocca. Test svolti dall’IPCB mostrano che mentre i capi 100% poliestere raggiungono l’apice del rilascio dopo 4-5 cicli di lavaggio, il rilascio di microfibre dai capi con una composizione mista di poliestere/cotone è ancora rilevante dopo 10 cicli di lavaggio, ed è composto principalmente da microfibre cellulosiche. «Nei nostri studi abbiamo analizzato anche tessuti misti (quindi costituiti non solo da fibre sintetiche ma miscele) e tessuti artificiali (come la viscosa). Abbiamo identificato dei prodotti che contenevano una parte in cotone che rilasciavano una quantità elevata di fibre di natura cellulosica riconducibile al cotone stesso – non possiamo considerarle microplastiche, ma si ipotizza che anche le microfibre di origine naturale e artificiale possano costituire una problematica ambientale (in funzione dei loro tempi di residenza negli ecosistemi) in quanto possono trasportare i trattamenti chimici che hanno subito».

Indicazioni sul corretto lavaggio

Le ricerche condotte dall’Istituto dei Polimeri, Compositi e Biomateriali ha prodotto linee guida sia per utenze domestiche sia per pubblico industriale in cui si danno indicazioni sui processi di lavaggio. Collaborano con aziende che operano nel settore tessile per far fronte al problema del rilascio di microplastiche e svolgono test di laboratorio per mettere a punto agenti di finissaggio ecocompatibile. L’IPCB si sta muovendo anche verso l’implementazione di sistemi di filtrazione lavatrici: con l’azienda Planetcare ha sviluppato un sistema di filtraggio delle acque reflue da applicare esternamente al tubo di scarico, in grado di trattenere il 70% delle microfibre. Maurizio Avella, Dirigente di Ricerca: «Lavoriamo con l’istituzione olandese Plastic Soup Foundation, attiva nel campo. Vorremmo creare un’alleanza (Wear Of Microfibers Alliance – Woma) che comprenderà università, startup, centri di ricerca come il nostro, che si muoveranno nell’uniformare la metodologia di misurazione del rilascio in mare e in aria e nel limitarne i numeri». 

IPCB-CNR Istituto per i Polimeri, Compositi e Biomateriali (IPCB) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)

La missione dell’IPCB è sviluppare ricerca nel settore dei Materiali Polimerici , dei Compositi e Biomateriali al fine di rendere applicabili le innovazioni proposte e successivamente industrializzabili presso aziende e distretti. Le attività di ricerca confluiscono in tre grandi aree: materiali innovativi, salute e nanomedicina, sostenibilità. Le attività sono frutto del patrimonio di conoscenze dei ricercatori, maturate in quasi 50 anni di attività con collaborazioni nazionali ed internazionali, con finanziamenti industriali e con la partecipazione a progetti europei, molte volte con compiti di direzione.

llaria Aceto

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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