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Blockchain: mai fidarsi degli esseri umani, né delle macchine

Sensori e tracciamento – strumenti oggettivi per seguire il prodotto dalla fonte al consumatore, provandone la qualità ed eliminando il concetto di fiducia. Christian Ferri spiega la blockchain

Blockchain: definizione

Con ‘Blockchain’ si indica un registro digitale immutabile e decentralizzato in grado di memorizzare record di dati. Questo registro digitale è condiviso su una rete composta da nodi, ovvero computer che usano lo stesso software per tenerlo sotto controllo – per verificare chi vi scrive e cosa. Nella definizione di Blockchain, le caratteristiche base sono la tracciabilità e la trasparenza. Lo spiega Christian Ferri CEO di Geer, azienda di informatica e servizi digitali nella Silicon Valley e autore per Mondadori di Blockchain & Made in Italy – Istruzioni per l’uso. Originario di Conegliano, in provincia di Treviso, dopo un Master in Business Administration alla Cornell University, Ferri ha prodotto una guida alla scoperta dalle basi delle DLT – Distributed Ledger Technologies, (di cui blockchain fa parte). Come possano essere applicate alla catena produttiva italiana. Ferri fornisce come esempio l’immagine delle scatole cinesi, ma di vetro, così che si possa vedere al loro interno. Ogni volta che si aggiunge un nuovo blocco, si può vedere e verificare cosa è stato fatto in precedenza, e chi lo ha fatto. 

Walmart collaborazione con IBM

La decisione di ricorrere a questo tipo di DTL può avvenire in due modi. «Uno scenario prevede che l’interesse sia a monte: un’azienda sceglie di certificare l’intera catena produttiva, e quindi richiede, in modo più o meno formale, a tutti i produttori della filiera di utilizzare questo sistema. L’azienda può decidere di fornire dei sostegni, come il computer, o il necessario per costruire i sensori ai produttori, oppure di imporre come prerequisito che solo i fornitori che posseggano questa tecnologia possano vendere i loro prodotti all’azienda. Un esempio è Walmart, che dal 2014 collaborando con IBM ha creato la propria blockchain, iniziando a certificare prima tutte le carni di provenienza cinese, poi frutta e verdura e poi tutto il resto dei prodotti, richiedendo a tutti i fornitori di collegarsi sul suo sistema. In un secondo scenario, la decisione di ricorrere alla blockchain avviene a valle: non dal compratore finale, ma dal singolo produttore. La decisione può essere presa per acquisire valore e farsi un nome a livello internazionale. In questo caso, sarà il piccolo produttore a creare il proprio sistema di tracciamento, costruire i propri sensori per garantire la qualità del prodotto e il suo valore. Questo panorama è meno probabile che si realizzi, perché il valore aggiunto di una certificazione sta nel poter risalire a tutta la catena e non solo a un singolo tassello».

Come funzione la blockchain

Nei parametri istituiti a monte, i produttori si adeguano per assicurare continuità nel tracciamento. «Blockchain parte dal presupposto che non esista fiducia per nessun motivo, né tra macchine né tra esseri umani. Usiamo un sistema tecnologico che permetta di stipulare un contratto senza che ce ne sia bisogno. Quello che si basa sulla fiducia è un sistema che abbiamo sviluppato da millenni come base per scambiare merci, commerciare. Col tempo ci siamo evoluti a livello sociale, siamo usciti dai villaggi e siamo diventati dei cittadini globali. Così abbiamo smesso di conoscerci di persona e la fiducia non funziona più. Fino alla creazione della DLT abbiamo sempre ipotizzato che il nostro interlocutore fosse sincero, cosa che costituiva un fattore di rischio». Grazie agli smart contracts il prodotto passa allo stadio di lavorazione successivo solo se vengono rispettati determinati criteri (come il luogo di produzione, specifiche temperature di lavorazione, il passare di uno specifico lasso temporale e via dicendo) – scrive Ferri all’interno del libro. In caso contrario, la transazione è nulla. Barare diventa praticamente impossibile, perché tutti gli altri membri della filiera e il consumatore finale ne vengono informati. Infatti, poiché la blockchain certifica i dati provenienti dai processi lavorativi del prodotto, basta darne accesso al cliente con una semplice app mobile per renderlo partecipe della filiera produttiva». 

La Blockchain per la tracciabilità del Made in Italy

Facendo riferimento al caso italiano, Ferri parla dello studio per il Made in Italy effettuato nel 2019 dal ministero dello Sviluppo Economico (MISE) e la società di consulenza IT americana IBM, intitolato La Blockchain per la tracciabilità del Made in Italy: Origine, Qualità, Sostenibilità. Una sorta di esperimento che ha coinvolto alcuni dei principali attori del settore tessile. Le aziende hanno partecipato direttamente al design della rete blockchain per la propria filiera produttiva e sono state coinvolte al momento della Proof of Concept (PoC), ovvero la parziale realizzazione del progetto per verificarne l’effettiva fattibilità. «È stata implementata una blockchain per la filiera delle camicie di lino biologico in cui sono stati inseriti i coltivatori della materia prima, l’autorità certificatrice, l’azienda manifatturiera, il marchio e il consumatore finale. Grazie al sistema distribuito, quest’ultimo ha avuto a disposizione una panoramica certificata delle informazioni sul prodotto, ed è aumentata la trasparenza interna alla filiera produttiva, dato che ogni azienda poteva accedere ai dati inseriti sulla lavorazione del prodotto da altre aziende partecipanti alla filiera. Ogni nodo ha dovuto dichiarare la conformità del proprio prodotto e del processo produttivo a determinati standard che, anziché essere legati a certificazioni volontarie e controllo statale, sono stati programmati all’interno di smart contracts. Il caso però ha anche evidenziato che nelle aziende c’è una conoscenza delle tecnologie emergenti molto limitata: esse non sono state in grado di comprendere e implementare le nuove strutture IT in autonomia».

Blockchain e  trasparenza

«Il concetto di trasparenza consente di trasferire informazioni fra sistemi che non si parlano tra di loro – spiega Ferri – oppure tra soggetti di sistemi in cui non c’è fiducia. Penso che per l’Italia la trasparenza valga sia dal punto di vista produttivo delle aziende (soprattutto del cibo), sia in termini di trasparenza monetaria: in Italia l’evasione fiscale è un problema serio». Il risultato dell’applicazione di questo metodo avrà implicazioni nella semplificazione dei rapporti all’interno delle grandi, medie e piccole imprese della filiera produttiva, nella protezione dei prodotti dalla contraffazione, nella garanzia di maggiore trasparenza per il consumatore e in un aiuto per le altre aziende italiane a fare leva sui propri marchi per trovare nuove fonti di guadagno nel mondo digitale. L’assenza di fiducia è una condizione necessaria perché il meccanismo sia ben oliato e funzioni senza intoppi. Non c’è bisogno di fidarsi dell’interlocutore o dei partner per essere certi che dicano la verità o che le qualità della merce, si tratti di cibo, capi di bestiame o tessuti, rispettino le caratteristiche concordate. Sarà tutto certificato dalla catena e da quelli che vengono chiamati smart contracts: micro contratti intelligenti che devono essere conclusi perché si possa ‘sbloccare’ il passaggio successivo. «Gli smart contracts sono delle applicazioni software costruite su un sistema distribuito che funziona con delle ‘if tenses’. È come un contratto che agisce su un input. Questo può essere inserito da una persona umana, che è il caso in cui si presenta il maggiore livello di rischio, perché nessuno assicura che dica il vero. Oppure si utilizzano dei sensori – temperatura, umidità, posizione, peso». Blockchain non valida l’informazione che viene inserita al suo interno, ma si limita a registrarla e a tenerne traccia. 

Le tecnologie DLT

È pensabile un futuro in cui le tecnologie DLT vengano applicate alla maggior parte dei settori della vita quotidiana? «È come chiedersi se useremo tutti internet», spiega Ferri. «Lo usiamo tutti, ma non tutti usano il browser. Abbiamo delle app, il meteo, il pagamento tramite Paypal. È un framework sul quale tassello dopo tassello si costruirà qualcosa. Potrebbero esserci dating app o certificati di studi basati su questa tecnologia. In Italia la stanno usando in tante aziende o consorzi, come Coldiretti, che sta sperimentando alcuni strumenti. O ancora luxochain per garantire l’originalità dei prodotti di lusso». In Italia, l’utilizzo delle DLT non è ancora molto diffuso. «Ci sono dei produttori che stanno iniziando a implementare queste tecnologie, ma non è ancora fatto su larga scala. Non sono a conoscenza della loro esistenza, non ne conoscono i benefici, non sanno da che parte cominciare – o culturalmente sono scettici. C’è l’interesse a capirne di più».

Christian Ferri

A chi volesse capire come iniziare ad avvicinarsi a questa tecnologia, Ferri propone di «affiancarsi a persone che ne sappiano o chiedere consulenza a un’azienda esterna. Si ha realmente la necessità di ricorrervi? Come dico più volte all’interno del libro, non è la panacea di tutti i mali. Se l’azienda a cui ci si appoggia salta questo primo step, è il caso di cambiare specialista». Christian Ferri, Blockchain & Made in Italy. Istruzioni per l’uso, di Christian Ferri,  Mondadori Electa.

Valeria Sforzini

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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