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skyline di Dubai riprodotto nel Metaverso
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Architettura spoglia e personaggi come cloni: nel Metaverso non si vive, si genera profitto

Il Metaverso compie un anno ma graficamente, e non solo, è un flop: il creatore virtuale Giovanni Motta e l’architetto Massimiliano Spada spiegano perché

Le premesse e le promesse del Metaverso

Era il 2021 quando la corporate americana capitanata dal magnate dei social network Mark Zuckerberg, annunciava il cambio di nome e di mission dell’allora gruppo Facebook in uno nuovo denominato Meta, presentando al mondo il Metaverso. Un mondo parallelo che regala all’uomo una seconda vita, o forse una seconda chance, da cogliere per poter ritentare la fortuna in una nuova dimensione. Tutto è possibile e accessibile, se non esiste si può creare, e la posta in gioco è semplicemente il tempo che vi si spende all’interno. Dall’acquisto di abitazioni alla partecipazione a eventi esclusivi, nel Metaverso ogni cosa è studiata per emulare la realtà, coinvolgendo l’utente in un cyberspazio che ad oggi conta  trecentocinquanta milioni di iscritti. Una struttura, quella del Metaverso che si rivela tramite l’uso dei VR (appositi visori virtuali), ma che lentamente frana davanti a un occhio critico perché costruito con un’architettura minimale, nella quale ogni edificio è privo di dettagli, somigliante solo a una scatola colorata.

Una realtà incompiuta che monetizza sul mattone virtuale

Costruito per essere un abitacolo virtuale di migliaia di pixel, il Metaverso conta i suoi principali guadagni dalle collaborazioni con i brand esterni, le società di media-communication e dal cloud computing che permette l’accesso ai dati della community da parte di terzi. Ogni cliente di questa iper realtà necessità di uno spazio al quale appoggiarsi. Piattaforme come la spagnola Uttopion mettono in vendita terreni virtuali da usare come reali, per aprire negozi, organizzare concerti o eventi sportivi, a prezzi che vanno dai duemila ai ventimila euro. Il mattone al momento rappresenta il core business del Metaverso, e ha generato un guadagno di cinquecento milioni di euro nel primo anno. Dopo il debutto, si è registrato un boom delle land, ovvero una corsa all’oro edile che, nei mesi successivi all’annuncio del progetto, ha fatto salire del sessanta per cento il prezzo d’acquisto di ogni spazio virtuale. Sandbox, piattaforma edile-immobiliare metaversiana, è stata pioniera nell’investire sul mattone 3D, guadagnando nel primo semestre quasi duecento milioni di euro, ma che ultimamente sta registrando un calo di quaranta milioni per via di problemi con il caricamento della grafica che risulta quindi incompleta, spoglia e infantile. E dopo l’entusiasmo dei primi mesi, ora anche il Metaverso tutto inizia a raccogliere critiche sulla sua architettura, che ricorda quella del videogame Second Life, ormai obsoleto.

I limiti dell’architettura digitale. Lampoon intervista Giovanni Motta

«È la stessa grafica a rappresentare uno dei limiti del Metaverso», spiega Giovanni Motta, artista virtuale veronese  noto per le sue opere NFT e il suo personaggio 3D Jonny Boy. Lo stesso numero uno di Meta, Mark Zuckerberg, disse che tutto si può costruire da zero, a patto che si segua un modello di riferimento. Questo modello, anche nel virtuale, non può che essere il reale. «Anche se è possibile vivere uno spazio virtuale, non è detto che questo sia funzionale e bello» prosegue Motta. «Siamo abituati a osservare tutto nel minimo particolare, e per quanto siano evoluti i visori VR,  non colgono le sfumature». La società americana si giustifica spiegando che per vivere al meglio l’esperienza è necessario l’uso di appositi hardware ancora in fase di sperimentazione. Ma allora perché commercializzare un prodotto non finito? Perché il tempo a disposizione è scaduto, un tempo che è valso un investimento di 10 miliardi di dollari.

La tridimensionalità del Metaverso non esiste. Lampoon intervista Massimiliano Spada

Secondo l’architetto Massimiliano Spada, architetto torinese con all’attivo alcune progettazioni di spazi virtuali,  il problema è anche un altro: il 3D del Metaverso è in realtà bidimensionale. Oltre alla lunghezza e alla larghezza, che sono le due misure base per qualunque costruzione, sia reale che virtuale, mancherebbe la profondità. «La percezione che abbiamo è che tutto sia schiacciato e compresso» spiega Spada, «l’user si muove solamente verso l’alto ed il basso, non va a scavare nella profondità dell’immagine». Lo stesso Paul Tassi, giornalista di Forbes specializzato in hi-tech, in una diretta social sul canale del magazine  Forbes, disse che l’offerta di Meta è bassa, perché «non abbatte il muro sullo sfondo», cioè non permette all’utente di addentrarsi nel mondo ma solo di percorrerlo in superficie.

Anche il corpo è architettura digitale

E se non è possibile addentrarsi, non è forse perché l’user non è abilitato a farlo? No, secondo Giovanni Motta il corpo dell’user è dipendente dall’architettura circostante. Come si legge nei commenti sotto i post social della società, le ultime critiche riguardano proprio il corpo dei character virtuali. «Sembrano sospesi, ma è voluto – afferma Motta – così che non si debba andare a creare un’idea di corpo in movimento.» Rimanendo statici, giustificano l’assenza di profondità. Il paradosso è che, per ora, questa grafica in via di sviluppo è ottimale per gli utenti: le stilizzazioni dei personaggi e degli scenari garantiscono una maggior fluidità nei movimenti e una maggiore possibilità di interazione. Ma nell’anatomia del corpo nel Metaverso anche i tratti somatici sono ridotti al minimo, ed è difficile caratterizzare i personaggi. Gli utenti così non hanno nemmeno la possibilità di rivedersi nei loro alter ego virtuali e si ritrovano a vivere in un mondo abitato da cloni. 

Costruire con i mattoni vs assemblare con i pixel

Lo spazio virtuale non è altro che un insieme di tasselli che compongono un mosaico dalle dimensioni immense. Questi tasselli sono i pixel, corrispondenti digitali dei mattoni. Massimiliano Spada sottolinea questo parallelismo, ma al contempo ne evidenzia una differenza: «con il mattone si costruisce, con il pixel si assembla.» Se nel reale, costruire vuol dire edificare dal nulla, dall’altra assemblare significa unire e comporre partendo da una base già esistente. Così un edificio reale risulta curato nei particolari perché «la scelta delle materie prime ne permette la definizione.», ma un palazzo virtuale risulterà generico perché «il pixel non può essere scelto, solo modificato.». E aggiunge: «risulterà curato solo se visto nel suo insieme, a distanza.» Ma sarà un’illusione.

Esperienze che vanno oltre il reale 

Sandbox e Decentraland sono due dei mondi più noti presenti nel Metaverso. Nel primo si possono acquistare ville hollywoodiane, nel secondo visitare monumenti come la Torre Eiffel e La Sagrada Familia. Ma questo secondo Giovanni Motta non basta: «Una volta che il virtuale ha emulato il reale dal punto di vista visivo, deve per forza essere capace di copiarlo anche nelle emozioni che trasmette.» Con in più la capacità di offrire esperienze inimmaginabili fino ad ora, come ritornare indietro nel tempo per vivere in un preciso periodo storico, poter seguire la lezione universitaria persa, o mettersi alla prova in un intervento chirurgico. Tutte situazioni nelle quali non importa l’accuratezza dello spazio visivo nel quale si svolgono, ma l’emozione che si prova. 

Abitare non significa vivere lo spazio, ma possederlo. (comm. Massimiliano Spada)

L’esperienza sulla quale si fonda il Metaverso ha dunque un significato diverso da quella vissuta nel mondo reale. «Lo stesso atto dell’abitare uno spazio non corrisponde con viverlo» puntualizza Spada «Se nella realtà abitare significa interagire con uno luogo e passarci del tempo, nel Metaverso corrisponde a possederlo, perché tutto è monetizzato». Matthew Ball, autore del libro The Metaverse, definisce la casa nel cyberspazio come un marketplace, dove lo scopo è incontrare e instaurare rapporti con altri utenti, non un luogo dove vivere: l’user è mosso da un desiderio di scoperta che non lo fa soffermare a lungo in nessun lungo.

Come ricorda Massimiliano Spada, «l’intero progetto Meta nasce con l’obiettivo di guadagnare e acquisire informazioni, tutto il resto è secondario». Al momento non importa quindi se l’architettura sia accurata, ciò che conta è che quello spazio esista. È lo stesso Zuckerberg a dire che ci vorranno sei anni per poter aggiornare la struttura grafica e conseguentemente quella architettonica. Conclude Spada: «a Meta non interessa creare uno spazio curato e piacevole alla vista, ora l’importante è possederlo e venderlo in fretta, per poi investire il guadagno nel progresso grafico e renderlo in tutto e per tutto simile al reale». E allora forse sì, dovremo preoccuparci davvero.

Giovanni Motta

Giovanni Motta è nato a Verona il 15 luglio 1971. Spazia tra diversi medium artistici: pittura, scultura e arte digitale. Dopo gli studi di ragioneria inizia nel mondo della comunicazione come creativo e pubblicitario. Insieme alla Galleria Forni partecipata a numerose fiere d’arte contemporanea italiane e internazionali, Art Verona, St-Art Strasbourg, Art Helsinki e Roma Contemporary. Ha esposto in Colombia, Cina, Svizzera, Belgio e Germania. In corso una personale a Shanghai dove sono presenti 25 opere.

Massimiliano Spada

Massimiliano Spada è nato a Torino il 30 maggio 1964. Architetto e appassionato digitale opera nella sua città natale, ma si sposta tra Italia e Regno Unito dove segue progetti di rivalutazione ambientale e urbanistica. Collabora con le principali società culturali istituzionali, come la Rai, con la quale ha lavorato per la realizzazione dell’esposizione a Roma The Nemesis: una mostra su Nft e cinema nel Metaverso.

Luca Cioffi

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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