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A Milano la 90 è l’unico mezzo che non si ferma mai

L’extrema ratio per chi vuole tornare la notte. Il Berchet, le notti al Plastic, la scena live controculturale da ricostruire. Federico Dragogna dei Ministri racconta Milano e le sue anime

Lampoon Interview: Federico Dragogna

Lo studio di registrazione di via Macchi sembra un covo, punto di ritrovo e santuario di chi si appassiona agli oggetti del passato. Tutto ricorda gli anni Novanta: la collezione di Dylan Dog, il pinball, la pianola e la pila di cd. Sul divano, davanti alla carta da parati a strisce giallo rosse, Federico Dragogna, autore e chitarrista de I Ministri, racconta la storia di una città sotterranea, rinata dalle sue ceneri dei primi anni Duemila. Gli stessi che hanno visto crescere I Ministri: «Milano deve ritrovare una sua identità, oggi bisogna capire cosa bisogna combattere. Fare controcultura cosa vuol dire? Se fossi un diciannovenne oggi tenterei di ripetere le esperienze sui collettivi degli anni Novanta».

I Ministri: lo studio di registrazione

«Questo era lo studio dei Casino Royale, noi perdemmo la sala prove in cui stavamo e loro ci dissero di trasferirci qui da loro». Si definisce parte di un «prodotto nato a Milano, a chilometro zero», controculturale: «oggi vuol dire sopravvivere e continuare a fare musica». Dragogna non usa la nostalgia per attaccare la trasformazione che ha vissuto – o subìto? – Milano negli ultimi venti anni. L’anno chiave è il 2011, quando una svolta politica – quella di Pisapia – ha dato un nuovo impulso culturale alla città, portando in superficie le forze che avevano agito fino a quel momento dal basso. «La Milano culturale di allora si unì nel movimento ‘Milano libera tutti’, che voleva voltare pagina. Facemmo un mega concerto in Centrale, ci mettemmo anche noi lo zampino. Da quel momento in poi Milano non ha più premiato la controcultura ma ha cercato di cambiare seguendo le leggi di mercato, però oggi la città funziona di più»

Clubbing a Milano, ieri e oggi

Il liceo Berchet, i primi anni Duemila e i concerti nei live club, le notti al Plastic a ballare gli Strokes. Sono pezzi di una città trasformata – che apparteneva ai ‘Ministro del tempo’, il primo nome del gruppo milanese. «In quel periodo quello che si ascoltava nelle discoteche più in voga flirtava molto con il rock. Il Plastic aveva una sala rock, noi eravamo sfacciati e riuscivamo a entrare. Era una Milano di resistenza, un punto di vista che mischiava la politica a una serie di valori. Era resistenza anche quella dei generi e dei mondi diversi, ma l’obiettivo di chi aveva in mano Milano in quel periodo era la creazione di una città dormitorio». Oggi quel mondo da conquistare della ‘rete dei licei’ ha esaurito la sua forza comunitaria e innovatrice nel mondo della musica. 

Nel 2021 i live club, complice la pandemia, hanno azzerato i loro appuntamenti. Nessuna autorità se ne occupa – nonostante Green Pass e vaccini funzionino – un quadro che contribuisce a peggiorare una situazione già precaria. «C’è una grande offerta di concerti, che costano. La scena musicale per me significa che chi ha pochi mezzi abbia dei posti dove farsi vedere. Il primo Rocket di via Pezzotti che ebbe il suo periodo di grandeur – un riferimento per chiunque suonasse a Milano in quel periodo – faceva una serata dove di solito c’erano due o tre gruppi emergenti, il posto era minuscolo, ci stavano settanta persone. Il fatto che fosse figo, il fatto che anche modelle e personaggi noti andassero a vedere artisti emergenti faceva la differenza».

Federico Dragogna, tra Milano e Genova 

Dragogna è cresciuto a Città Studi, e proprio nel quartiere del Politecnico vive oggi. Definisce Milano una città ‘dove tornare’, anche se custodisce un piccolo rifugio a Genova, città ispiratrice di musica affine e storie. «Milano si sta trasformando per il terziario in una specie di terra promessa per chi riesce ad arrivare, e terra odiata per chi non ci arriva. C’è uno squilibrio che sarà sempre assurdo in Italia: Alessandria, Voghera, Piacenza oggi sono tutte città abbandonate». Il musicista definisce i suoi luoghi del cuore in città «piccole isolette in un campo minato». Di queste zone di salvataggio fanno parte il Parco Lambro – «Luogo di anarchia ma anche di robe techno, scambismo di notte, grigliate latinos», e poi lo Skanki oggi chiamato Birrificio Lambrate, l’Osteria del biliardo ad Affori, un locale gestito da un ragazzo albanese in un circolo di biliardo per ragazzi della zona. Milano è la città dei punti di vista, ogni quartiere ha una sua identità e anche i posti meno conosciuti – sfuggenti all’occhio dei turisti – raccontano storie. 

La circonvallazione della linea 90

Il racconto di Federico Dragogna parte dalla circonvallazione della linea 90. «Vorrei scriverci un libro. Mi fa sorridere perché la prendevo per tornare a casa da scuola. A Milano la 90 è l’unico mezzo che non si ferma mai, è l’extrema ratio per chi vuole tornare la notte. Girare da quel punto di vista Milano, vuol dire raccontare come è vissuto quel mezzo pubblico. Quella è un po’ l’other side di Milano». Per qualche anno, a partire dal 2003, Dragogna ha vissuto a Isola: «Dove ora vediamo il Bosco verticale, c’erano una serie di magazzini abbandonati, che si chiamavano ‘La stecca degli artigiani’. Al posto della Biblioteca degli alberi, fino al 2007 c’era un campo nomadi. Avevamo occupato un locale là con Divi (Davide Autelitano, voce e basso nda), letteralmente due stanze. C’era tutta questa via occupata, di magazzini, che accoglieva 2000 persone fisse». 

Peggio di niente – i Ministri

L’ultimo lavoro di Dragogna con i Ministri, dopo aver prodotto anche Vasco Brondi, è iI singolo Peggio di niente che anticipa l’uscita dell’EP Cronaca nera e musica leggera, pubblicato il 14 maggio 2021. Nel primo singolo si parla di Nina, una citazione di un pezzo di De Andrè Ho visto Nina volare. «Il pezzo è ispirato a una storia dell’infanzia di De Andrè, che vedeva volare Nina sull’altalena. Ho voluto esprimere il mio estremo dispiacere e la rabbia per come è stato come è stata affrontata la questione bambini e ragazzi e delle scuole durante l’ultimo anno e mezzo. Ho trovato questa maniera di scaricare le responsabilità durante la pandemia pavida fino all’indegno. Questo dimostra la mancanza di forza e progetto che ha la nostra società, in mano a gente vecchia e ricca. Peggio di niente è anche aver gestito questa crisi in modo da mettere gli uni contro gli altri. Una responsabilità che è in larga parte anche dei media in larga parte anche i media». 

Vivere a Milano, un desiderio di molti

Milano non è peggio di niente. Oltre la retorica della globalizzazione e la nuova ricchezza che ha avvelenato la città, Dragogna è convinto che se è un posto è bello, tante persone vorranno viverci. Lo racconta la storia di Isola, è la storia di tanti quartieri che sono stati rigenerati in questi anni. «E’ bello vivere a Milano perché c’è tanta gente ottimista, che arriva qua e spera in meglio», afferma Dragogna. «Tanta gente di ogni classe. Milano è un posto comunque sempre più tollerante rispetto al resto d’Italia e dove pian pianino inizia ad esserci un mix tra le comunità che funziona. È un posto dove puoi andare al Rainbow in porta Venezia, gestito da ragazzi eritrei ed essere contenti di essere tutti nello stesso posto. Di tutti i pericoli che si porta dietro la globalizzazione, Milano ne prende anche aspetti positivi».

Emanuela Colaci

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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