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Luigi Ghirri fotografa le opere di Aldo Rossi, Cimitero di Modena, 1983 lampoon
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Aldo Rossi: disegni e sperimentazioni di un architetto che resta attuale

‘Disegni fatti male’: i più espressivi, quelli eseguiti durante una telefonata, quando usciva dal modo della perfezione e dell’applicazione – Vittorio Savi su Aldo Rossi. L’eredità di Aldo Rossi, interviene Chiara Spangaro

Aldo Rossi. Design 1960-1997

L’universo di Aldo Rossi in nove sale: ciascuna rappresenta un mondo in cui emerge la relazione tra opere grafiche e prodotti artigianali e industriali. Aldo Rossi. Design 1960-1997, a cura di Chiara Spangaro, è in corso fino al 2 ottobre 2022 al Museo del Novecento di Milano La mostra, realizzata in collaborazione con la Fondazione Aldo Rossi e Silvana Editoriale, con un progetto di allestimento firmato da Morris Adjmi – MA Architects, collaboratore e poi associato di Rossi a New York, racconta l’universo di Aldo Rossi in nove sale: ciascuna rappresenta un mondo in cui emerge la relazione tra opere grafiche e prodotti artigianali e industriali, con riferimenti alle architetture e allo spazio privato di Rossi. Per la prima volta sono esposti, in un percorso spettacolare, oltre 350 tra arredi e oggetti d’uso, prototipi e modelli, dipinti, disegni e studi progettati e realizzati da Aldo Rossi dal 1960 al 1997.

L’architettura di Aldo Rossi

Dai primi anni Sessanta, Rossi si è approcciato criticamente a maestri – tra cui Karl Friederich Schinkel, ma è bene ricordare tra gli altri anche Peter Behrens, Adolf Loos e Andrea Palladio – e a differenti realtà urbanistiche – tra cui Berlino, senza dimenticare Milano, Mosca e New York. Schinkel e Berlino sono stati per lui le fondamenta del processo di integrazione del concetto di classico a quello di locus. Nell’Autobiografia scientifica Rossi scrive come alcuni critici abbiano spesso parlato delle mie opere come scenografiche, ed io rispondevo che erano scenografiche come scenografico era Palladio, Schinkel, Borromini, tutta l’architettura. […] Ma questo ha ora per me poca importanza; credo che sia chiaro che considero possibile ogni tecnica e al limite di poter chiamare questa tecnica come stile. Può essere utile pensare alla ricerca di Rossi come il tentativo di interpretare il presente anche attraverso la stratificazione del tempo e delle epoche nel tentativo di ‘costruire’ una contemporaneità coerente – come nell’isolato di Schützenstrasse a Berlino, ma non solo.

Rossi ha dichiarato che Loos e Mies van der Rohe sono gli architetti moderni che più hanno stabilito nel mondo una continuità con la loro storia e con la storia dell’essere umano: È certo – scrive – che è molto importante che Adolf Loos non si sia rappresentato solo nella sua architettura e che Ornamento e Delitto resti il titolo più bello di un trattato d’architettura perché ci parla solo lateralmente dell’architettura; d’altra parte Mies van der Rohe è l’unico che abbia saputo fare delle architetture e dei mobili indipendenti dal tempo e dalla funzione.

Il concetto di analogia è uno dei temi che torna in varie forme nel lavoro di questo architetto. Nei disegni rossiani, il processo analogico prevede l’accostamento di oggetti diversi appartenenti a una stessa famiglia e comincia in opere quali Città copernicana o Architetture nell’azzurro del cielo, 1973, per continuare con altre visioni urbane come la serie del 1979 dedicata alla Piramide di Cestio, o Yellow Pages, 1983, dove il monumento romano è accostato ai grattacieli di New York o ad altri frammenti progettuali rossiani, dalla Cabina dell’Elba al Monumento di Segrate e alla scuola di Fagnano Olona. Nel 1989 crea Sine titulo, che ridisegna e ridipinge a mano, in cui il metodo analogico è applicato a una sorta di autobiografia per immagini. Rossi, come diversi altri artisti prima e dopo di lui, ha anche sperimentato con la fotocopiatrice, duplicando e rinnovando la traccia originale con nuovi colori e segni. 

Aldo Rossi: i primi lavori e il successo

Si è conclusa, nella galleria Antonia Jannone a Milano, la mostra Aldo Rossi-Santi Caleca. Monumental Memento, sempre con la collaborazione della Fondazione Aldo Rossi, che ha raccolto i disegni di Rossi realizzati nel 1989 per il numero 3 di Terrazzo, la rivista di arte, design e architettura fondata da Ettore Sottsass e Barbara Radice. I primi disegni e dipinti di Rossi risalgono a prima, ovvero alla metà degli anni quaranta. Oltre a studi e disegni dal vero collezionati in un quaderno di ritratti e nature morte e ancora oggi inediti, sono stati pubblicati diverse volte dipinti a tempera e olio su tela o tavola che rappresentano periferie, paesaggi di campagna e rare composizioni metafisiche in interno, memori delle lezioni dechirichiana e sironiana che si ritrovano anche in disegni rossiani successivi, progettuali o meno.

Negli anni del Politecnico, scrive l’architetto, il professor Sabbioni, che io stimavo, mi dissuadeva dal fare architettura dicendomi che i miei disegni sembravano quelli dei muratori o capomastri di campagna che tiravano un sasso per indicare all’incirca dove si doveva aprire una finestra. Questa osservazione, che faceva ridere i miei compagni, mi riempiva di gioia; e oggi cerco di ricuperare quella felicità del disegno, che si confondeva con la imperizia e la stupidità, che ha poi caratterizzato la mia opera.

La prima mostra di disegni delle sue architetture è dei primi anni Sessanta e la consacrazione arriva nel 1977 con le mostre alla Cooper Union (“Abraham Eisenman Hijduk Rossi”) e alla Leo Castelli Gallery di New York (“Architecture I. Raimund Abraham, Emilio Ambasz, Richard Meier, Walter Pichler, Aldo Rossi, James Stirling, Venturi and Rauch”). Rossi ha riempito fogli sciolti e pagine di sketchbooks di soggetti diversi, utilizzando acquerello e collage, penna e grafite, pennarello, matite colorate e pastelli. Oltre alle vedute architettoniche e urbane e agli studi per i suoi progetti, ha disegnato fantasie e capricci ispirati a Claude Lorrain o a Giovanni Battista Piranesi, autoritratti e scene di vita quotidiana o vissuta, oggetti di affezione o di design e perfino animali – dal toro al cane, dal leopardino azzurro al granchio, dal pesce al cavallo. 

Le mostre dedicate ad Aldo Rossi

Questo catalogo di opere, ispirate dall’architettura e dalla vita, dense di visioni sollevate dalla professione, dal viaggio e dalle sue passioni, non è mai completamente autonomo. Il corpus visivo si lega alle annotazioni personali e professionali scritte a mano e spesso anche illustrate nei Quaderni azzurri, si riallaccia alla quotidianità (un numero di telefono appuntato sull’angolo di un disegno, l’annotazione di una misura sul bordo di un altro…) e all’Autobiografia scientifica, dove si ritrovano precisi riferimenti al lago Maggiore, alla palma, al San Carlone e a tanti altri aspetti minuti della sua vita personale e professionale. Rossi ha detto che una delle critiche più lucide della sua architettura venne da Vittorio Savi, che in un suo scritto parlava dei suoi disegni fatti male e in particolare di come quelli più espressivi fossero eseguiti durante una telefonata o una conversazione – quando cioè usciva dal modo della perfezione e dell’applicazione. Era consapevole di quella ‘felicità del disegno’ e della qualità del suo tratto grafico, lavorava con diverse gallerie d’arte in Italia e all’estero – dalla Galleria Antonia Jannone a Max Protetch Gallery – e ha affidato diverse sue opere a importanti fondi internazionali – dal Centre Pompidou al DAM e al Getty Research Institute. Le mostre dedicate al suo lavoro sono un universo composito dove il disegno a mano completa lo studio progettuale e il modello amplifica la relazione scritta.

Aldo Rossi: il concetto di ‘Analogia’

Nel privato, spesso coinvolgeva la figlia Vera in piccole gare di disegno dove si cimentavano su un soggetto – lo scheletro umano, la natura morta alla maniera di Giorgio Morandi, una finestra. ll concetto di analogia è poi uno dei temi che torna in varie forme nel lavoro di questo architetto. Nei disegni rossiani, il processo analogico prevede l’accostamento di oggetti diversi appartenenti a una stessa famiglia e comincia in opere quali Città copernicana o Architetture nell’azzurro del cielo, 1973, per continuare con altre visioni urbane come la serie del 1979 dedicata alla Piramide di Cestio, o Yellow Pages, 1983, dove il monumento romano è accostato ai grattacieli di New York o ad altri frammenti progettuali rossiani, dalla Cabina dell’Elba al Monumento di Segrate e alla scuola di Fagnano Olona. Nel 1989 crea Sine titulo, che ridisegna e ridipinge a mano, in cui il metodo analogico è applicato a una sorta di autobiografia per immagini. Rossi, come diversi altri artisti prima e dopo di lui, ha anche sperimentato con la fotocopiatrice, duplicando e rinnovando la traccia originale con nuovi colori e segni. In questo modo e con un’attitudine da progettista, ha ideato nuove composizioni e continuato a sviluppare l’immagine di partenza. 

Le fotografie di Santi Caleca

In mostra da Antonia Jannone erano presenti anche delle fotografie di Santi Caleca. Nella rappresentazione del lavoro di Rossi l’impiego del medium fotografico è un elemento da considerare. Ha lavorato con diversi altri fotografi di architettura, da Gabriele Basilico a Nacása and Partners, da Occhiomagico a Palladium Photodesign, ma soprattutto di Ghirri ha apprezzato l’autonomia di una visione che andava oltre la capacità di documentare. La relazione fra i due è stata descritta dall’architetto nella presentazione della mostra Luigi Ghirri – Aldo Rossi: Things Which are only Themselves alla Querini Stampalia, 1997, di cui rimane un filmato.

Rossi ricorda che una volta Ghirri disse che amava i miei disegni che erano un po’ come le sue fotografie, perché diceva ‘sai ci sono fotografie perfette, basta andare a Lugano a stamparle dove hanno dei sistemi meravigliosi e invece io devo sempre stamparli a Modena da un vecchio fotografo mio amico e vengono magari un po’ male’ … e questa per me è una frase da grande artista, come le foto che vedo qui riprodotte. In fondo aveva dimenticato la sua abilità per attenersi a un mondo diretto. E anche il rapporto con Luigi era abbastanza difficile, perché volendo fotografare un’architettura e indicandogli quanto per me era importante, finiva sempre e comunque che lui fotografava ciò che gli interessava. Nella mostra erano presentate fotografie di Ghirri delle architetture di Rossi e una selezione di polaroid dell’architetto che in qualche modo rispecchiavano la medesima indagine del fotografo – un’osservazione assidua, ossessiva, che avevano destato in Ghirri un grande interesse perché andavano al di là della tecnica fotografica con cui erano state fatte.

Aldo Rossi: la città 

Viviamo un momento in cui ci si sta allontanando dal tema della densificazione urbana, per spingersi verso il mondo rurale. Rossi ha lavorato molto sul tema dell’equilibrio tra città e territorio (periferico e suburbano), nei suoi scritti. In La città e la periferia Rossi contrappone un sistema in cui esistono indubbiamente le città, ma più propriamente esistono parti di città e parti di città e territorio, e parti di territorio, e noi sosteniamo che la città e il territorio si costruiscono per fatti definiti: una casa, un ponte, una strada, un bosco. L’insieme di questi fatti costituisce la città e il territorio ed esiste il disegno di questi fatti, il disegno integrato di una serie di questi fatti, al caso, ma la progettazione urbana ha in gran parte vanificato una ricerca più impegnata nel campo dell’architettura e dell’urbanistica. E aggiunge che vincolandoci all’impegno di non confondere la richiesta della civiltà dei consumi per prodotti sempre più deperibili e sempre più consumabili con un’esigenza della società, possiamo affinare nel nostro campo elementi di un linguaggio e di una conoscenza non completamente alienati.

Dal 1972 all’oggi le logiche socio-economiche sono cambiate e di conseguenza sono variate le motivazioni di una pianificazione territoriale che andrebbe aggiornata se non invertita a favore di un migliore bilanciamento tra conservazione e sfruttamento, a favore della prima naturalmente.

Aldo Rossi

L’implemento degli studi rossiani in una prospettiva globale, contemporanea e aggiornata è tra le missioni della Fondazione Aldo Rossi, creata dai figli dell’architetto Fausto e Vera insieme a Germano Celant nel 2005. La felice complessità del lavoro di Rossi, unita alla sua volontà di analisi teorica in relazione al contesto, possano suscitare grandi interessi sulle giovani generazioni, libere dalla necessità di una scelta ‘di campo’ tra una scuola e un’altra e proiettate verso nuove sfide progettuali.

Alessandro Fusco

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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