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Canapa in Valtellina
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Tra vigne e meleti cresce anche la canapa valtellinese

Il progetto di riqualificazione dei terreni incolti e la filiera di Kanuf: dall’uso terapeutico alla birra ottenuta con il fiore. Gli investimenti frenati dal quadro legislativo

Canapa in Valtellina, al confine con la Svizzera

Si dice che la canapa sia stata parte integrante di un passato non molto lontano in Italia. Le conferme di questa tradizione si ritrovano in fotografie in bianco e nero, in vecchi attrezzi in legno o in corredi casalinghi ritrovati nei bauli di famiglia. In Valtellina, nel cuore delle Alpi al confine con la Svizzera, la pianta ha sempre avuto spazio nella quotidianità delle persone, almeno fino agli anni Quaranta del secolo scorso. Tanto forte la presenza della canapa da aver costituito un proprio linguaggio riferito, «A Ponte, Chiuro, Castionetto e Teglio (zone in provincia di Sondrio devote alla coltura di alberi da frutto e vigne ndr), ogni famiglia contadina riservava un piccolo campo, poco più di mezza pertica, alla coltivazione di questa pianta tessile: la canapa», scrive Tarcisio della Ferrera in Una Volta, volume dedicato alla storia della canapa nel valtellinese.

Così dopo la battitura con il mattarello degli steli (rüusca) macerati in campo per quindici giorni, si passava alla frantoia, l’attrezzo a forma di cavalletto che operando come una forbice eliminava i residui legnosi dalle fibre. Le donne erano addette a questo passaggio. Poi si passava alla spadolatura, un’ulteriore rifinitura e pulizia delle fibre da cui si otteneva la spadula: punto di partenza per la filatura e la tessitura e la confezione di tappeti rustici, i pelorsc, le tresche e i pezzotti. La materia prima è ul canef, la canapa appunto. 

Kanuf, azienda agricola dedicata alla canapa 

Nel 2018, a distanza di circa settant’anni da quando ancora questi termini rientravano nel gergo della normalità, tre amici decidono di ripartire con la coltivazione di canapa nei territori ormai quasi abbandonati dall’usura del tempo agricolo, della coltivazione intensiva di mele e il suo inquinamento. Con questo obiettivo nasce Kanuf, azienda agricola dedicata alla canapa – che riprende il nome dialettale della pianta e tutto il suo sapere autoctono. Inizialmente il gruppo è composto da Andrea Pelacchi (agricoltore già esperto nel settore dei grani antichi e dei seminativi), Manuel Anulli e Diego Scieghi. Oggi la realtà gestita dagli ultimi due continua insieme all’aiuto di tre dipendenti.

«Tutto è nato per la passione della canapa, che conoscevamo da sempre, grazie al racconto dei nostri nonni e degli anziani in Valtellina, e per la botanica in generale. Noi crediamo all’enorme potenzialità della pianta che va oltre il suo effetto psicoattivo, concentrandoci su quello terapeutico», spiega Scieghi. Lo stimolo a ripartire con la coltivazione è arrivato anche dall’esperienza fatta da uno dei soci (Manuel Anulli) in California, dove è stato per seguire la stagione del raccolto della canapa per alcuni anni vicino alla contea di Humboldt, regione del nord che oggi conta oltre cinquemila coltivazioni in outdoor. «Abbiamo percepito le potenzialità di un nuovo business nella nostra terra e abbiamo pensato di lanciarci nell’impresa, considerato che nel nostro territorio all’epoca non c’era nessuno ad occuparsene, nonostante la forte tradizione», sottolinea Scieghi.

Kanuf – sede a Chiuro, provincia di Sondrio

Primo passo trovare la terra. «Ci siamo impegnati: prima in un lavoro di ricerca sul territorio, poi in una missione d’immagine con le autorità locali e per trovare terreni incolti da poter lavorare in comodato d’uso». La caratteristica fisica dei terreni nella zona della Valtellina in cui si trova Kanuf (sede a Chiuro, provincia di Sondrio) è la diffusione di piccoli campi a terrazzamento, storicamente dedicati alla viticoltura e alla melicoltura (quest’ultima, aumentata sempre più negli anni, ha superato le trentamila tonnellate, pari a circa l’1,5 percento della produzione melicola nazionale su una superficie di circa milleduecento ettari). Un anfiteatro di muri a secco e pendenze verdi che richiedono cura e trattamenti manuali hanno causato l’abbandono di alcune aree, vista la complessità di manutenzione e la loro localizzazione. Kanuf, grazie all’appoggio delle istituzioni locali (tra cui il Sindaco, Coldiretti), del passaparola e delle famiglie dei fondatori è riuscita a recuperare terreni incolti e abbandonati e «soprattutto cercare di demonizzare la canapa a trecentosessanta gradi».

Inizialmente erano tre ettari, oggi sono cinque e diffusi su quindici campi. «Sono terreni frastagliati. Arriviamo fino a seicento, settecento metri di altitudine. Si trattava di aree con vecchie vigne e frutteti che non possono essere lavorati con i macchinari pensati per la canapa industriale, soprattutto per il seme. Vista la diversità e la varietà dei terreni coltivati è difficile raggiungere standard che si possono replicare su scala», spiega Scieghi. I primi anni in realtà il tentativo di coltivare canapa anche per il seme è stato portato avanti, poi sospeso per la difficoltà di trattamento, «ma abbiamo ancora scorta di semi che facciamo spremere a freddo a Torino per ottenere farina e olio, che poi trasformiamo in collaborazione con la Dolciaria Valtellinese (di Chiuro ndr) in prodotti da forno come grissini e biscotti». 

Oltre ai campi si è aggiunto un vivaio con coltivazione protetta indoor
Oltre ai campi si è aggiunto un vivaio con coltivazione protetta indoor

Lampoon: Tarcisio della Ferrera

Raccolto e semina sono condotti a mano: non sono usati pesticidi, erbicidi, fitofarmaci o sostanze chimiche rispettando i valori della coltura biologica. L’essicazione è naturale (può durare fino a dieci giorni, in base alle temperature e al meteo successivo al raccolto) e anche la pulizia del fiore è fatta in parte a mano e a macchina. Questo richiede tempi lunghi e pazienza, a cui deve essere aggiunto il rischio di calamità naturali o fenomeni avversi (costanti nel mondo agricolo).

Oltre ai campi si è aggiunto un vivaio con coltivazione protetta indoor di duecento mq, che garantisce una produzione annuale di supporto a quella esterna. «Il nostro obiettivo è espanderci creando una filiera con i coltivatori locali, ampliando le coltivazioni di canapa nel territorio proponendola come valida alternativa all’abbandono dei terreni. Abbiamo cercato di coinvolgere anche le scuole per gli stage dei ragazzi mentre continuiamo a partecipare a eventi e fiere organizzate dalle associazioni di settore». Le varietà cartellinate utilizzate sono la Finola 31, la Jubileum, l’Eletta Campana, la Futura 75. «Da anni selezioniamo fenotipi diversi, abbiamo provato quasi tutte le varietà dioiche e monoiche, dobbiamo capire quale meglio si adatta al territorio».

Kanuf: i principi terapeutici della canapa

Il fiore, la parte della pianta da cui Kanuf ottiene i suoi principali prodotti dal valore terapeutico e non solo. Come i ‘Trinciati del Lele’, così chiamati in onore, «del papà di un nostro amico (e dipendente) che ci ha lasciato lo scorso anno a settantadue. Un uomo che ci ha aiutato nella creazione di Kanuf perché ha sempre lavorato nei campi, si impegnava, ed è stato un grande stimolo. Per trinciare la canapa usava la gramola, un attrezzo che si usa per l’uva. Da qui il nome al trinciato per tisana», spiega Scieghi. Tisane, decotti e oli sublinguali a base di cbd estratti nel laboratorio (Giantec srl) sono utilizzati per diverse patologie.

«Essendo un’area con una buona percentuale di popolazione anziana lavoriamo molto con una rete di erboristerie della zona. Chi prendeva farmaci ansiolitici o sonniferi e antidepressivi è riuscita a trovare benessere nell’utilizzo degli olii terapeutici a base di cbd. Ora abbiamo iniziato anche a lavorare con i veterinari», sottolinea Scieghi. A questo si aggiunge anche la creazione di un marchio proprio sulla canapa light: «abbiamo creato un’etichetta perché inizialmente non avevamo accordi con grossisti nel settore e non sapevamo le quantità del raccolto, ci siamo imposti sul dettaglio nella produzione a chilometro zero, siamo stati i primi in Valtellina». 

Il desiderio di Kanuf, oltre a creare una rete e una filiera locale per la canapa terapeutica, quello di poter utilizzare ogni parte della pianta. «Mi hanno contattato per le radici in campo cosmetico, il recupero degli scarti e dei fusti è un altro grande tema», continua Scieghi, «si potrebbero usare come combustibile per il teleriscaldamento o per l’edilizia. In alternativa come cippato per le lettiere dei cavalli». Una parte del residuo del raccolto è stata ritirata da un’azienda vicina che aveva un inceneritore, «così è quasi sprecata. Mi piacerebbe far ripartire la tradizione tessile della canapa in Valtellina con i pezzotti».

I tappeti (o arazzi) patrimonio della Valle prendono forma su telai a mano e raccontano il passato del territorio. «Si potrebbero realizzare molti oggetti, dai sottobicchieri a pannelli decorativi per la casa, un designer saprebbe metterli nei posti giusti». Quello che manca è l’investimento, non le idee. «Abbiamo fatto errori, lavorato come dei somari per lanciare l’azienda agricola con soddisfazione, ma abbiamo avuto anche dei fermi durante il nostro percorso di crescita. Finché non c’è chiarezza a livello legislativo è complicato fare progettualità sul lungo periodo, anche se ci sono le potenzialità. La banca sarebbe pronta ad aiutarci ma se cambiano ancora le leggi?»

La birra ottenuta con il fiore di canapa

Un prodotto premiato al Canapamundi, il Festival Internazionale della Canapa di Roma, come migliore e da Unionbirrai. «Tutte le birre in circolazione sono fatte con oli essenziali o foglie, noi utilizziamo il fiore trimmato a mano. Ogni cotta da duemila litri contiene circa quindici chili di fiori. Noi la realizziamo in collaborazione con il Birrificio Legnone, realtà artigianale valtellinese». Oltre alla birra il fiore di Kanuf passa negli alambicchi e diventa anche un liquore, questa volta insieme al know how della Distilleria Schenatti& Della Morte, realtà storica in Valtellina operativa dal 1923.

Mariavittoria Zaglio

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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