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Édouard Louis: l’omosessualità, la violenza, l’archeologia della distruzione

«Hanno costruito la letteratura contro i corpi come quello di mia madre. Scrivere di lei è stato come scrivere contro la letteratura». Edouard Louis si racconta. Lotte e metamorfosi di una donna è l’ultimo romanzo, per La Nave di Teseo

Édouard Louis, Il caso Eddy Bellegueule 

Immaginate di essere nati e cresciuti in uno sperduto paesino della Piccardia, nella Francia del nord. Vigono regole non scritte, ma rispettate da tutti. Si celebra il culto del maschio e il disprezzo per la diversità – dal colore della pelle alla religione, ai gusti sessuali. Per essere dei duri – scriveva Édouard Louis ne Il caso Eddy Bellegueulebisogna trasmettere ai propri figli queste qualità, far crescere in loro poca voglia di studiare, spingendoli a lavorare il prima possibile nella vicina e unica fabbrica che produceva pezzi d’ottone. Era il suo primo romanzo autobiografico. Cambiò soltanto il nome del protagonista. Quando uscì, nel 2014, fu un bestseller in classifica per settimane.

Avete dieci anni e siete un ragazzino diverso dagli altri: non vi piacciono i videogiochi né il rap e il calcio vi disgusta. Per voi, l’unico ‘sport’ è la danza, ma vi è vietata: amate il teatro, andate pazzi per le cantanti del varietà e quando in casa non c’è nessuno prendete i vestiti di vostra sorella e li indossate, dando luogo a rappresentazioni di cui siete voi l’unico spettatore. La cosa vi rassicura. Siete così magri che i vostri genitori vi chiamano ‘scheletro’ e siete così timidi che non sempre riuscite a parlare davanti agli altri. Dovete farvi ogni mattina quindici chilometri con l’autobus per arrivare a scuola nella città vicina, ma lì vi aspetta l’inferno.

L’adolescenza di Édouard Louis

In famiglia siete in sette e sempre secondo quelle logiche maschiliste, lavora solo vostro padre portando a casa settecento euro al mese. I vostri genitori ritengono che in voi ci sia qualcosa di sbagliato e quelle rare volte che vi considerano vi dicono di non parlare facendo le arie, perché ogni volta che prendete parola agitate freneticamente le mani senza rendervene conto. Sono smarriti e davanti a comportamenti del genere pensano che abbiate scelto di essere effeminato come un’estetica personale seguita per far loro dispiacere. A scuola è diverso. Lì ci sono due compagni di classe che vi prendono di mira sin dal primo giorno. Vi accolgono con una domanda: Sei tu il frocio?, parole che pronunciano in pochi secondi senza sapere che in voi resteranno a lungo, per anni. Le incidono sul vostro corpo come uno stigma, come quei segni che i greci imprimevano con un ferro rovente o con un coltello sul corpo, perché siete dei devianti pericolosi per la comunità.

Édouard Louis al salone del libro di Torino

«Una frase che è stata il mio incubo – racconta Louis al salone del Libro di Torino – ma che negli anni ha fatto parte di me, un qualcosa a cui mi abituai assieme ai colpi, ai calci, ai pugni, agli sputi in faccia e sul corpo». Continuate a pensare, allora, a cosa possa significare svegliarsi ogni mattina con l’angoscia di dover andare nella scuola che tanto amate, di non aver paura di essere interrogati, ma solo un grande terrore che quei due teppisti possano riempirvi di botte e d’ingiurie. «Quelle due bestie – continua l’autore, oggi ventinovenne – mi aggredivano ogni giorno seguendo un rituale e la loro abilità consisteva nel farlo senza essere scoperti, altrimenti sarebbero stati sospesi. La cosa sconvolgente, se ci ripenso, erano le non reazioni degli altri compagni di scuola: tutti sapevano, tutti sentivano e in alcuni casi persino vedevano, ma mai nessuno mi ha prestato aiuto. Molti erano soddisfatti di quel modo di fare giustizia, me ne accorgevo dai loro sguardi che provavano piacere per i miei dolori». 

Édouard Louis: Lampoon intervista l’autore francese

«Ero e sono gay, ma non sapevo ancora nulla di me. Dentro di me non mi accettavo, non chiedevo soccorso né agli insegnanti né ai genitori, perché avevo paura che poi avrebbero dato ragione a lorose mi comportavo in quel modo, me lo meritavo. Li lasciavo fare e alle loro violenze reagivo con il silenzio. A volte, quando mi picchiavano, mi veniva persino da sorridere: pensavo fosse il modo per rendere la cosa più piacevole. In altri casi, mi scendevano le lacrime agli occhi, ma non stavo piangendo: era il senso di soffocamento che mi faceva lacrimare anche perché soffrivo d’asma, ma loro non potevano saperlo e godevano ancora di più»

Louis si paragona a un attore – a casa studiava la parte perché voleva cambiare: «cercavo di controllare i miei gesti quando parlavo, imparavo a rendere la voce più grave, assecondavo mio padre che mi voleva in una scuola di calcio, ma ci andai solo due volte, mi ingozzavo di schifezze fino a ingrassare di venti chili come se quell’aumento di peso potesse darmi la garanzia di una felicità imminente. Cercavo anche di guardare i film porno con i miei cugini e i nostri amici nel capanno a due passi da casa e accettavo, mio malgrado, anche di giocare a uomo e donna – immaginate chi era la donna – diventando così la pedina preferita dei loro giochi sessuali».

«Accettavo tutto questo perché desideravo assomigliare a quei ‘veri maschi’ che froci non erano, a ragazzini liberi che potevano giocare felicemente senza rischiare l’offesa. Mi feci persino piacere per forza una ragazza, la invitai a uscire, ma oltre il bacio non riuscii a spingermi. Cercai di uniformarmi agli altri, di prendermi per un altro per diventare un altro, ma recitare ogni giorno non è semplice. Quella maschera che indossavo con non poca difficoltà diventava una prigione che mi dava ancora più tormento e che a breve è destinata a cadere». In tutti questi casi, scrive in quel libro, il delitto non è fare, ma essere. E soprattutto sembrare. Non riuscendo a essere come loro, rifiutò quel mondo e la fuga diventò l’unica possibilità di salvarsi. 

Il movimento femminista in una protesta tra gli anni ‘60 e ‘70 per l’uguaglianza legale e professionale, immagine markmanson Lampoon
Il movimento femminista in una protesta tra gli anni ‘60 e ‘70 per l’uguaglianza legale e professionale, immagine markmanson

Édouard Louis: la formazione e il primo romanzo

Fu ammesso alla Scuola Nazionale Superiore di Parigi e si trasferì nella capitale francese, dove frequentò anche l’École des hautes études en sciences sociales. A seguire, la pubblicazione di quel primo romanzo a ventuno anni, finalista al Premio Goncourt Opera Prima. Da quel momento, è stato tutto un crescendo nella sua vita, ma la violenza – subìta fisicamente come a parole – è stata sempre al centro anche dei suoi libri successivi, come Storia della violenza, uscito nel 2016 – in cui racconta quella ricevuta una notte da uno sconosciuto, divenuto anche poi una pièce teatrale – e Chi ha ucciso mio padre, uscito due anni dopo, in cui ripercorre il turbolento rapporto con la figura paterna. 

La particolarità, nella sua scrittura, è che tutte le volte denuncia quello che gli è successo, senza mai giudicare. Piuttosto giustifica, ed è questo che fa essere un suo libro ancora più insolito senza mai trasformarsi nell’ennesima bandiera sventolata con orgoglio da un omosessuale incompreso. «Scriverli è stato per me terapeutico, la mia personale regolamentazione dei conti, una maniera per seppellire definitivamente quei ricordi dolorosi di un’infanzia di cui non ha alcun ricordo lieto. La sofferenza è totalitaria e ciò che rientra nel suo sistema, la fa scomparire. In mio padre non c’era niente di violento, perché la violenza non la chiamava ‘violenza’: la chiamava vita, non la chiamava, stava lì, c’era».

Édouard Louis, Lotte e metamorfosi di una donna, La Nave di Teseo

C’è il racconto di una violenza anche nel suo ultimo libro, Lotte e metamorfosi di una donna, appena pubblicato da La Nave di Teseo nella traduzione di Annalisa Romani, in cui ripercorre la vita di sua madre prima e dopo il matrimonio. «Per troppo tempo ha vissuto nella povertà e nel bisogno, isolata da tutto, schiacciata e umiliata dalla violenza maschile», continua Louis. «La sua esistenza sembrava limitata per sempre da questo doppio dominio: quello della classe e quello legato alla sua condizione di donna. Nonostante ciò, un giorno, a quarantacinque anni, decide di ribellarsi a questa vita e di fuggire conquistando così la sua libertà». Come suo figlio, che qui, in poco più di cento pagine, ne racconta la metamorfosi. 

Tutto è iniziato con il ritrovamento, da parte sua, di una foto che qualcuno le scattò quando aveva vent’anni.
Chinava la testa di lato e sorrideva appena – scrive – i capelli ordinati e lisci sulla fronte, impeccabili, quei capelli biondi intorno agli occhi verdi, come se cercasse di sedurre. Una donna completamente diversa da quella conosciuta anni dopo, «sempre scontenta e oscura nel volto – ricorda – sempre a casa, sempre da sola, con l’unico obiettivo di cucinare a noi ragazzi e a suo marito, che tornava sempre la sera tardi senza dare spiegazioni e quando lei le cercava, arrivavano le ingiurie e le botte». Nel vedere quell’immagine – che troverete alla fine del libro – ha ricordato a Louis che in quei vent’anni di vita distrutti, non c’era niente di naturale. Anni prodotti da forza esterne come la società, la mascolinità e mio padre, e che tutto avrebbe potuto essere altrimenti. 

«La vista della felicità – aggiunge – mi ha fatto sentire l’ingiustizia della sua distruzione. Piansi davanti a quella foto, perché mio malgrado ero io, o meglio, io insieme a lei e a volte contro di lei, un attore tra gli altri di quella distruzione». Ecco, quindi, la sua voglia di indagare e di raccontare quella che è stata una vera e propria archeologia della distruzione, la storia di una metamorfosi: la sua, la loro. La letteratura ha aiutato? «Mi hanno detto che la letteratura non deve mai cercare di spiegare, ma solo di illustrare la realtà, e io ho scritto per spiegare e capire la sua vita»

Il prossimo libro di Édouard Louis per La Nave di Teseo

«Mi hanno detto che la letteratura non deve mai ripetersi e io ho voluto scrivere solo la stessa storia, ancora e ancora, ritornarci finché non lascia intravedere frammenti della sua verità, scavarci dentro un buco dopo l’altro – come scrivo nel libro – finché ciò che è nascosto dietro non comincerà a strillare. Mi hanno detto che la letteratura non deve mai somigliare a un’esibizione di sentimenti, ma io scrivo solo per far sprizzare quei sentimenti che il corpo non sa esprimere. Dicono che la letteratura non deve mai somigliare a un manifesto politico, ma io in realtà affilo ogni frase come se fosse la lama di un coltello. Ormai lo so – conclude prima di anticipare l’uscita del suo prossimo romanzo che pubblicherà sempre La Nave di Teseo e in cui racconterà la sua personale metamorfosi («sarà molto più lungo di tutti gli altri, perché ho decisamente più elementi») – hanno costruito quella che chiamano letteratura contro le vite e i corpi come quello di mia mia madre. Scrivere di lei e della sua vita, è stato come scrivere contro la letteratura»

Lotte e metamorfosi di una donna

Di Édouard Louis, pubblicato da La Nave di Teseo nella traduzione di Annalisa Romani.
Il libro Ripercorre la vita di sua madre prima e dopo il matrimonio.

Giuseppe Fantasia

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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