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Blanco sul palco dell'Ariston 2023
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In mezzo all’ipocrisia di Sanremo, ode alla nota ruvida fuori dal coro

L’Ariston è la metafora di una società ipocrita che vede i giovani come Blanco un intermezzo, le donne come creature sacrificabili e il greenwashing come unica via di redenzione

Sul palco dell’Ariston il futile prevale sul rilevante, l’attenzione è nella direzione sbagliata

La famosa frase di Winston Churchill per cui gli italiani «perdono le guerre come fossero partite di calcio e le partite di calcio come fossero guerre» non solo rimane vera, ma si può estendere a diversi argomenti extra-calcistici. Uno su tutti: Sanremo. La 73esima edizione del Festival si accompagna a polemiche – prevedibili – capaci di aizzare gli italiani a una temperatura che supera anche le ultime elezioni politiche del 2022. Il gesto stizzito di Blanco che sporca il palco prendendo a calci le rose ha generato un’indignazione, fuori e dentro l’Ariston, che da quelle parti si era già vista in passato. Torna utile Churchill: le vere polemiche da sollevare non si sollevano. Il futile prevale sul rilevante, l’attenzione è tutta nella direzione sbagliata. 

Il casus belli Blanco: il ritorno in cuffia, i segnali ai fonici con nessuna risposta, le rose falciate, i fischi dalla platea del pubblico del festival di Sanremo

Blanco, che a Sanremo è ospite e non in gara, durante la performance del suo nuovo singolo fa cenno al fonico di palco indicandosi la cuffia in-ear. È evidente che stia segnalando un problema con l’ascolto. Nessuno lo considera. Decide allora di interrompere il cantato, dicendo letteralmente che non si sente in cuffia. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la musica dal vivo – chi scrive ha un diploma alla School of Audio Engineering di Milano – sa che è molto difficile cantare a tempo e in modo intonato se non si sente la propria voce. Perché c’è un grande frastuono nella sala e perché si hanno – letteralmente – delle cose infilate nelle orecchie. Da qui in poi tutti hanno visto: il ragazzo inizia a prendere a calci le rose portate apposta per la sua esibizione. Le falcia via a pedate, prende le basi su cui sono fissati i fiori e le scaraventa via mentre la band continua a suonare fino alla fine. I fischi e gli insulti dalla platea arrivano a fine performance. 

Riccardo Fabbriconi, in arte Blanco: se a vent’anni è giusto e legittimo uscire dai confini del ‘permesso’

Riccardo Fabbriconi, in arte Blanco, nasce a Brescia il 10 febbraio 2003 e cresce a Calvagese della Riviera, un paesino del bresciano a pochi passi dal Lago di Garda. Questo significa che il 7 febbraio 2023, la sera della tanto discussa performance del cantante a Sanremo, Riccardo deve ancora compiere 20 anni. È a tutti gli effetti ancora un teenager. Così come, fino al 2020, era ancora un teenager che pubblicava il suo primo EP, Quarantine Paranoid, su Soundcloud. Nel giro di due quasi anni, firma un contratto con Universal, macina milioni di streaming e almeno una dozzina di dischi di platino con un primo album e hit come Notti in bianco, La canzone nostra, Mi fai impazzire, e per finire nel 2022 vince il suddetto Sanremo cantando Brividi in coppia con Mahmood. Nonostante la notorietà istantanea, Blanco nel 2021 a Vanity Fair descrive così il modo con cui si sta vivendo il successo. «Nella maniera più leggera, veramente super easy. Continuo a vivere nel mio paese e a frequentare i miei quattro amici. Sto benissimo e va bene così. Mi rendo conto di tutto quello che sta succedendo dai miei profili social, ma la sto vivendo in maniera molto tranquilla, sul serio». 

Un gesto che non sapeva di essere iconoclasta, e non voleva esserlo; il bigottismo dei fischiatori dell’Ariston

Quando Amadeus chiede di spiegare il gesto, il ragazzo risponde che l’avrebbe fatto comunque, anche se fosse riuscito a finire il pezzo. Distruggendo quelle rose, Blanco non ha voluto distruggere l’icona del Festival dei Fiori, come la maggior parte dei fischiatori e insultatori in sala credeva. È stato il gesto – forse non del tutto all’oscuro degli autori del programma, ricordiamocelo – di una persona giovane che si è trovata alle prese con un imprevisto che non sapeva gestire. 

La risposta agli insulti della sala: le scuse e la differenza con Brian Molko dei Placebo e Eminem al Sanremo 2001

Dopo averlo fatto, era in evidente imbarazzo e il giorno dopo si è scusato sui social. Davanti ai fischi non ha di certo risposto con un vaffanculo, come invece ha fatto Brian Molko dei Placebo dopo aver fracassato la sua Stratocaster contro un amplificatore a Sanremo 2001. La stessa edizione in cui Eminem sfidò la censura alzando il dito medio contro la platea. E giù fischi anche lì. Una volta stabilita la buona fede di Blanco, la questione ben più palese è quella che ormai contraddistingue la società italiana di questi anni; manicheismo tra giovani ‘cattivi’ e vecchi ‘buoni’ a Sanremo. Gianni Morandi che si presenta con la scopa sul palco dopo il pandemonio di Blanco, tra gli applausi che gli restituiscono, ancora una volta, l’immagine dell’eterno bravo ragazzo. Un ruolo che si è sempre cucito addosso in contrapposizione ai vari ‘urlatori’ poco raccomandabili come Celentano, Tony Dallara o Ricky Gianco. 

Sanremo come allegoria della società italiana e del manicheismo tra giovani ‘cattivi’ e vecchi ‘buoni’; il falso mito dello svecchiamento di Sanremo

Si è diffusa l’idea per cui Amadeus, rispetto al predecessore Baglioni, sia stato un innovatore. Idea che a ben vedere si fonda sul nulla, dato che questo rinnovato entusiasmo dei giovani per Sanremo si è concretizzato con l’edizione 2019, vinta da Mahmood con Soldi, quando il direttore artistico era Baglioni. La quota giovane ha sicuramente toccato il suo apice quest’anno, con Salmo che fa un concerto parallelo a bordo di una nave da crociera ormeggiata a poche miglia da Sanremo. Si butta pure in acqua in quello che sembra un live dello Spring Break di MTV. Al di là dei buoni maestri Benigni e dell’elogio al Presidente della Repubblica Mattarella, la 73esima edizione di Sanremo è girata attorno a un live di un’ora dei Pooh, un’esibizione dei Cugini di Campagna in zeppa e zampa di elefante, un unplugged di Morandi che rifà i suoi pezzi di quando recitava nei Musicarelli negli anni Sessanta addirittura in trio con Massimo Ranieri e Al Bano.

L’invenzione di Sanremo Giovani nel 1993; Anna Oxa aveva 16 anni nel 1978,  ha debuttato al Festival con Un’emozione da poco  

Sanremo non solo è ancorato a un impianto gerontocratico, ma rende anche i giovani un breve, sporadico intermezzo tra dinosauri dell’entertainment italico. Il fatto che dal 1993 esista Sanremo Giovani è la prova lampante di un sistema che mira alla conservazione più che al ricambio; che pensa di poter legittimare i giovani a sedersi a tavola con i ‘grandi’ solo a certe condizioni, decise, è ovvio, non dai più giovani. Anna Oxa aveva 16 anni quando, nel 1978, ha debuttato al Festival. Non ha dovuto passare per nessun Sanremo Giovani per cantare Un’emozione da poco all’Ariston. Oggi, invece, il paternalismo che irrora i giudizi riguardanti l’artista emergente impone un iter di approvazione da parte dei vecchi che può essere bypassato solo in rari casi, come appunto un successo devastante come quello di Blanco – che quindi merita di essere sfruttato, a patto che si comporti bene. 

Il vero elefante nella stanza: il maschilismo che sceglie le donne, da Ferragni a Egonu, che devono dimostrare di meritare quel palco; la superficialità dell’attivismo all’acqua di rose di Sanremo

Salendo la scala delle ipocrisie arriviamo al problema cardine, il cosiddetto elefante nella stanza, troppo grande per essere visto – o che è più comodo non vedere: l’attivismo ‘perbene’. Ad un’analisi attenta è facile rendersi conto che fin dalla scelta di pensare a quattro co-conduttrici – che tali non sono perché non conducono ma appaiono – ad accompagnare la diarchia maschile formata da Amadeus e Morandi, è la perfetta replica delle dinamiche sociali italiane: sono gli uomini a scegliere se e come le donne possono ‘accompagnare’, e queste devono giustificare la propria presenza con monologhi che le esporranno all’inevitabile gogna mediatica. Alle donne, da Ferragni a Egonu, e non agli uomini è demandato di trattare i temi percepiti come ‘divisivi’, in un’Italia in cui tutto viene considerato tale – sulla carbonara pancetta o guanciale? –, sono le donne che devono dare prova di meritarsi quel palco, agli uomini basta una scopa per spazzare le rose. Sempre che tu sia adulto, perché se sei giovane devi stare attento a non calpestare quelle rose.

Sanremo: da una struttura patriarcale e ipocrita nascono i fiori del male

Da questa struttura contaminata nascono poi tutte le inevitabili polemiche e discussioni legate alle varie serate del festival, senza le quali questo non vivrebbe. Dalle accuse all’attivismo da Instagram star di Chiara Ferragni, al vestito con il suo corpo nudo disegnato a quello con sopra le scritte degli hater, fino ad arrivare alle accuse di un monologo in cui fa passare per difficile la vita privilegiata in un contesto apertamente upper class. Il festival intermezza pochi secondi di silenzio per il terremoto in Turchia e Siria a doscorsi su un attivismo selettivo ben concentrato su argomenti populisti che del pensiero femminista hanno davvero poco o nulla e che mercificano l’attenzione e i follower che ne derivano. Ragionando a fondo, anche tutto lo scorcio ‘giovane’ della nave da crociera da cui si esibiscono Fedez e Salmo è in realtà giustificato dalla partnership con Costa Crociere, non dalla voglia di svecchiare. Senza addentrarci nel tema riguardante il fatto che lo sponsor di un festival che si svolge in uno dei golfi, quello ligure, con l’ecosistema più a rischio sia un brand di grandi navi che riguardo all’inquinamento avrebbe molto da farsi perdonare. 

La lezione di Naomi Klein nel suo saggio Una rivoluzione ci salverà: Perché il capitalismo non è più sostenibile; il mostro finale: il greenwashing a Sanremo e una sostenibilità impossibile

«Non abbiamo intrapreso le azioni necessarie a ridurre le emissioni perché questo sarebbe sostanzialmente in conflitto con il capitalismo deregolamentato, ossia con l’ideologia imperante nel periodo in cui cercavamo di trovare una via d’uscita alla crisi» scrive Naomi Klein nel suo saggio Una rivoluzione ci salverà: Perché il capitalismo non è più sostenibile. «Siamo bloccati perché le azioni che garantirebbero ottime chance di evitare la catastrofe – e di cui beneficerebbe la stragrande maggioranza delle persone – rappresentano una minaccia estrema per quell’élite che tiene le redini della nostra economia, del nostro sistema politico e di molti dei nostri media». Chissà se Dardust pensava anche a questo, mentre con dei sensori creava suoni e musiche a partire dalle piante. Il progetto, mandato in onda durante un intermezzo pubblicitario del Festival, è finanziato da uno dei principali sponsor di Sanremo: Eni. Mentre lo spot mostrava quanto rinnovabile e verde può essere il mondo, la stessa Eni, come riporta Altreconomia, rimane un colosso petrolifero ancorato ai combustibili fossili. «Nel 2021 – si legge sul sito di Altreconomia gli utili del settore ‘Exploration and Production’ dell’azienda pesano per 9,3 miliardi di euro sui 9,7 complessivi (s’intende sempre l’operativo adjusted). Per Antonio Tricarico, campaigner finanza pubblica e multinazionali di ReCommon, è l’ennesima prova di come Eni sia nel pieno dell’economia fossile, contrariamente a quel che racconta».

L’unica via possibile è smettere di mentire a noi stessi: Sanremo è metafora di una società che vede il suo tempo ormai scaduto

Per citare Mark Fisher nel suo Realismo Capitalista: «La relazione tra capitalismo e catastrofe ecologica non è casuale né accidentale: il bisogno costante del capitale di espandere il mercato, il suo feticcio di crescita, impone che il capitalismo sia per sua vera natura contrapposto a ogni nozione di sostenibilità». Mentre il pianeta sta andando a fuoco, la scorsa settimana la Shell ha dichiarato che nel 2022 ha raddoppiato i profitti rispetto all’anno prima, grazie soprattutto all’invasione dell’Ucraina. 40 miliardi di dollari di utili, che è anche il bilancio più alto nella storia della compagnia dall’anno della sua fondazione, il 1907. Se non altro, alla prossima polemica sterile su un ragazzino che prende a calci due fiori su un palco, cerchiamo di elevare il discorso. Parafrasando Gramsci, la vera rivoluzione sta nel dire la verità. 

Claudio Biazzetti

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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