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Tracciabilità dei filati: Naturalis fibra dall’Australia all’Italia

Energie rinnovabili, materia prima selezionata e rapporto diretto con le fattorie: il lanificio Botto Giuseppe e la tracciabilità nei filati Naturalis fibra

Naturalis fibra, Lanificio Botto Giuseppe

Silvio Botto Paola, CEO del lanificio Botto Giuseppe, ha lanciato la linea Naturalis fibra, con l’obiettivo produrre in modo sostenibile entro il 2025. «La selezione delle materie prime avviene in base alla finezza e al micronaggio del prodotto di cui abbiamo bisogno. Negli ultimi anni, oltre a valutare la qualità della lana, consideriamo cosa avviene nella fase di produzione. Instauriamo rapporti diretti con fattorie di livello, che abbiano una filosofia simile alla nostra, e attente al benessere di animali e territorio». L’azienda di Biella ha ottenuto la certificazione RWS (Responsible Wool Standard) per tutti i prodotti: filati, tessuti e jersey. Si tratta della certificazione di qualità per la provenienza della lana da fattorie controllate che privilegiano il benessere degli animali, il risanamento della terra e la gestione responsabile del territorio.

Congi Station NSW

Il lanificio ha firmato accordi con l’australiana Congi Station, una fattoria a conduzione familiare del New South Wales, a due ore da Sydney, che esporta in tutto il mondo lane super fini. Oltre al monitoraggio della certificazione RSW, le 90 mila pecore degli allevamenti sono controllate e certificate mulesing-free, una pratica che impegna a non nuocere all’animale con la tosatura. Gli incendi del dicembre 2019 in Australia hanno distrutto più di 8 milioni di ettari di foresta, ucciso 1 miliardo di animali, tra cui la strage di koala, e provocato la morte di 33 civili. La siccità e le alte temperature hanno favorito la diffusione di questi incendi, che rischiano di moltiplicarsi in futuro a causa del cambiamento climatico.

«Se il produttore di lana lascia le pecore negli stessi posti, il terreno si inaridisce. Le nostre fattorie partner hanno diviso i territori in diversi paddock e ogni giorno le pecore sono spostate da un paddock all’altro», spiega Botto Paola. Congi Station segue l’alternanza dei pascoli tra diversi allevamenti: «Ciò consente di rigenerare il territorio». Gli stessi standard sono stati applicati nella selezione delle materie prime in Cina, dove vicino al deserto del Gobi vivono le capre dal cashmere più fine al mondo.

Cradle to cradle – economia circolare

Un’altra certificazione per la linea Naturalis fibra è Cradle to cradle, che misura la performance ambientale e sociale dell’azienda attraverso 5 categorie di sostenibilità: l’impronta della materia prima, il riutilizzo e il riciclo della stessa, l’utilizzo di energia rinnovabile, la gestione idrica e l’equità sociale. La materia prima al centro dell’attività di Botto Giuseppe è lana:

«La lana è un materiale che ogni anno ricresce – la tosatura è una pratica necessaria. Dopo la tosatura si applica uno spray che tiene lontane le mosche infestanti, che ucciderebbero le pecore. Abbiamo anche aumentato l’utilizzo di energie rinnovabili nelle varie fasi di produzione, riducendo così il consumo di Co2. Il terzo punto sono i coloranti: nocivi sia nella tintura, che per le sostanze liberate nell’acqua. Attraverso la analisi della certificazione abbiamo ridotto del 70% i coloranti utilizzati». L’azienda non ha introdotto la sperimentazione sui coloranti vegetali: «Distruggere piante per utilizzarne la tintura è una pratica che va contro l’ambiente. Il livello di produzione non sarebbe poi replicabile e a livello di standard non raggiungeremmo dei livelli vendibili», afferma l’amministratore delegato.

Lanificio Botto Giuseppe & Figli Spa

Botto Giuseppe è un lanificio alla quarta generazione, nato nel 1876 a Biella, che ha conservato il nome del suo fondatore. «All’inizio l’azienda produceva tessuti e cardati pesanti soprattutto per uomo. Negli anni abbiamo cambiato il prodotto. Dagli anni Cinquanta in poi è nato anche il prodotto donna, con gli effetti più mossi e tridimensionali». L’80% della produzione si concentra sui tessuti e i filati per donna, sulla maglieria di cashmere, lana e seta e su una parte di jersey. «Abbiamo anche l’aguglieria, cioè i gomitoli che si vendono sui mercati per essere smacchinati in casa. È un prodotto che in un anno come il 2020 compensa il fatturato – anche se solo per il 5%», spiega Botto Paola. Il filato è lavorato in due stabilimenti, uno in Piemonte a Vallemosso e l’altro in Friuli, che riuniscono insieme 320 addetti.

La sede di Tarcento, vicino a Udine, è attivata al 70% con l’energia idroelettrica prodotta dalla diga vicina allo stabilimento che produce 8 milioni di kWh. Il tetto dello stabilimento è ricoperto da superfici di pannelli fotovoltaici. Grazie all’energia solare sono prodotti un milione di kWh pari a un risparmio di circa 420 tonnellate all’anno di CO2 in meno. «La centrale idroelettrica produce energia idroelettrica rinnovabile usata per il funzionamento dello stabilimento».

Pettinare la lana appena tosata

«Il resto della produzione è interno, e comprende la filatura, la tintura e la tessitura». Il lanificio è organizzato in modo verticale, cioè parte dall’acquisto delle lane sucide, acquistate in Australia, Nuova Zelanda, sud Africa che sono poi trattate nello stabilimento di pettinatura di Romagnano Sesia, a mezz’ora da Vallemosso (una delle poche aziende italiane ancora attive per questa fase del trattamento della materia prima). «Una volta che la lana è tosata, è spedita in container e arrivano a destinazione per la pettinatura. Questo passaggio consta di varie fasi: anzitutto quella del lavaggio, perché la lana è piena di grassi. Una parte dei grassi, la lanolina, si recupera ed è venduta per cosmesi. La parte lavata è lavorata da grossi pettini che parallelizzano la fibra e creano una bobina che sarà utilizzata per la filatura».

La filatura della seta, che avviene interamente nello stabilimento friulano, utilizza gli stessi sistemi del cardato normale, «solo che la seta è poi trattata per eliminare la peluria residua, per renderla più lucida, pulita e prepararla per fare i tessuti», spiega Botto Paola. Si tratta dell’ultima fase di trattamento della seta, che richiede un trattamento chiamato trattura, per il quale i bozzoli sono immersi nell’acqua calda per dipanare il filamento. Con il torcitoio si imprime una torsione al filo di seta greggia, che ne aumenta la tenacità e impedisce la separazione dei vari fili cioè dei filamenti ricavati dal bozzolo. Dopo questa lavorazione, il filato di seta è pronto per essere trasformato in tessuto.

La pandemia ha ridotto la produzione del lanificio – nel 2019 un milione di metri di tessuto e 800 mila chili di filato per la maglieria e la tessitura. «C’è stato un rallentamento in quasi tutti i mercati. Il classico prodotto uomo versa nella situazione più di disagio: i rivenditori hanno ancora stock invenduti che proveranno a vendere quest’anno. La situazione meno grave è per i prodotti sportivi. Il business delle cerimonie si è fermato del tutto. Ha tenuto il lusso, soprattutto in Cina, dove si è registrata una ripresa rispetto all’Europa e agli Stati Uniti».

Lanificio Botto Giuseppe & Figli Spa

Via B. Sella, 166,
13835 Valdilana BI

Emanuela Colaci

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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