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Tracciabilità e tinture vegetali: nuove frontiere partono dalla tradizione

Non c’è spazio per il sintetico – vicuña, scotano, guado: bacche e piante autoctone nella ricerca del lanificio Cariaggi. Si inizia dal pascolo, con lotti di terra selezionati da remoto e monitorati

La tintura vegetale per i tessuti

La tintura vegetale non può esaudire tutte le richieste del mercato. Il processo di colorazione naturale non può essere stabilito a priori. Lanificio Cariaggi è azienda specializzata nella produzione di filati come cashmere, vicuña e lane extra fini. «Abbiamo creato una linea di tinture naturali, con una cartella a sé e diverse colorazioni. Oggi siamo arrivati a utilizzare piante del territorio: dallo scotano al guado, che abbiamo avviato alla coltivazione in autonomia», spiega Cristiana Cariaggi, consigliere di amministrazione dell’azienda fondata nel 1958 a Cagli, in provincia di Pesaro e Urbino. «Quando applichiamo tinture ricavate da piante, non possiamo ottenere tutte le colorazioni del chimico. Si sa già che tipo di colorazione aspettarsi e la sfumatura avrà un’intensità che non si può correggere. Il mercato chiede una solidità di queste colorazioni che reggano alla luce e al lavaggio. Questo prodotto è per pochi, ma è apprezzato da tutti». I filati tinti con la polvere di guado hanno trovato acquirenti negli Stati Uniti e in Giappone, «con interesse culturale da parte dei brand, perché si tratta di storia del colore». Non costituiscono il cuore della produzione del lanificio: «Ciò non corrisponde ai tempi che richiede il mercato. Anche per questo i colori che noi sviluppiamo li lasciamo pronti in caso di interesse. Si tratta di ricerca, che forse ci porterà ad avere altre colorazioni. Occorre essere pazienti». 

Lanificio Cariaggi: il cachemire

Prima dell’avvento del colore chimico e dell’indaco in tintoria si usava il guado, una pianta presente nel centro Italia. Il lanificio ha attinto da questa tradizione. «Nel nostro territorio sono state ritrovate delle macine che servivano per macerare le radici di questa pianta. I commercianti vendevano questo prodotto in Toscana, utilizzato anche in pittura per dipingere le pareti e colorare e gli arazzi. Anche le casacche blu dell’esercito napoleonico erano tinte con la polvere di guado», spiega Cariaggi. L’azienda ha lavorato con l’Università di Pesaro e Urbino per riprendere la coltivazione della pianta, finalizzata alla produzione del blu per i filati. La ricerca ha coinvolto anche un botanico per la selezione e la raccolta di altre piante e bacche del territorio: «Insieme abbiamo applicato industrialmente questo tipo di tecnica. Abbiamo investito su macchinari per separare questo tipo di tintura da quella chimica». La collezione Primavera 2022 è stata presentata da poche settimane, con un filato di punta, il Number 8/88 100% cachemire ultra fine. La scelta del numero non è casuale: «Otto è il numero fortunato per la cultura cinese», prosegue Cariaggi. Colore rosa, sfumatura pastello. Nella collezione 2022 ci saranno colori legati alla tonalità della carta, e diverse tonalità di bianchi, dal beige al grigio fino ad arrivare a colori estivi, «come il rosa acceso e il rosso intenso. Non mancheranno le sfumature più scure senza tempo come il blu e il blu notte». La ricerca del colore conta quanto la scelta della materia prima. Cariaggi seleziona i colori in collaborazione con uno studio parigino, che si occupa della ricerca: «Ogni Paese ha la propria tonalità, ma le sfumature di colore devono sposarsi con i materiali». 

Vicuña: il tessuto

Tra le fibre lavorate dal lanificio c’è anche la vicuña, più sottile degli altri cashmere. È ricavata dal pelo dell’omonimo camelide delle Ande, in Perù e in Bolivia. Il sintetico non trova spazio. Le lane selezionate arrivano dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, il cashmere dalla Mongolia cinese, tramite una joint venture dell’azienda attiva sul territorio. Nel 2015 Cariaggi ha avviato il progetto cashmere organico, realizzato con una fattoria della Mongolia e limitato alle capre Hircus Laniger. Il pascolo è monitorato da un ente indipendente per assicurare la salvaguardia dell’animale e del territorio. Il procedimento permette la tracciabilità totale del prodotto, dal pascolo al prodotto finale, spiega Cristiana Cariaggi: «In che modo posso dire che quel filato ha quella fibra che proviene da quella capra che ha mangiato sano? Abbiamo individuato una terra, fatto nascere delle capre e aspettato tre o quattro anni perché fossero idonee al prelievo del pelo. Il lotto è certificato bio e c’è un organo di controllo locale, che periodicamente ogni sei mesi visiona gli animali e il terreno». La tracciabilità non si può applicare a tutta la materia prima importata, che comprende ampi territori e fornitori locali: «Una capra ti dà 250 g di cashmere all’anno, che poi va selezionato. Le aree, i pastori e i greggi sono non quantificabili: verificare su tutti gli animali è impossibile, si può fare solo per i lotti selezionati»

Tecniche di lavorazione

Il processo inizia sul luogo di allevamento e pascolo degli animali. Il lanificio ha una tintoria interna, con personale specializzato, macchinari e materiali chimici certificati Tessile Salute, che valuta il processo produttivo e le sostanze pericolose. Il ciclo di lavorazione del filato comprende la miscelatura, che rende le fibre omogenee, la cardatura (il processo che districa le fibre intrecciate), e la binatura che prepara il cardato alla ritorcitura. «Per questa operazione si utilizzano due fili messi assieme in un reparto composto da tre macchinari. Alla fine si vaporizzano le fibre, che riacquistano l’umidità e sono messe a riposo prima della confezione e della spedizione». Cariaggi esporta in 27 Paesi, con una prevalenza del mercato americano e asiatico, ma il 60% del filato è venduto sul mercato italiano. Il lanificio produce 800 mila chili di filato all’anno, impiega 277 operai specializzati che lavorano con 200 macchinari distribuiti su una superficie di 15 mila metri quadri. Il personale arriva dal territorio, l’azienda si incarica della sua formazione: «Ci sono specializzazioni per i diversi macchinari. L’azienda interviene laddove mancano scuole tecniche, che negli anni sono state abbandonate. Oggi ci ritroviamo con meno professionalità e con un maggior divario tra studente e azienda».

Cariaggi ha investito in un magazzino stock service, per semplificare il rapporto con i clienti e gestire al meglio la programmazione della produzione: «Studiamo a monte tutti i colori. Quello che proponiamo deriva da un nostro studio sia dal punto di vista del filato che del colore. Dobbiamo agire un anno prima per capire che magazzino tenere di materia prima e quale di filato». Dal 2006 il lanificio è impegnato nell’adeguamento dei macchinari e nella riconversione degli impianti, per privilegiare il risparmio energetico. «Abbiamo iniziato con la certificazione ambientale ed è stata una piccola rivoluzione perché un’azienda storica all’inizio di un processo di efficientamento ambientale ha bisogno di essere ripensata del tutto. Siamo riusciti ad avere recuperi di acqua, come quella piovana, facendo una vasca per la raccolta d’acqua da riutilizzare. Riprogettando macchinari già esistenti abbiamo ottenuto risparmi energetici – anche del 40% di energia e acqua».

Cariaggi Lanificio S.P.A.
Via Flaminia Nord, 48,
61043 Cagli PU

Emanuela Colaci

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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