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SG Gallery, Sharon Goldreich: la sessualità del design italiano

L’eterna ricerca di pezzi inediti, gli artigiani in difficoltà, i punti forti di Milano e dell’Italia. Innamorarsi di un oggetto di design è come guardare un bell’uomo o una bella donna

Sharon Goldreich: intervista per Lampoon

Nasce in Svizzera, cresce in Israele. Studia a Milano, poi a Londra, torna in Svizzera e di nuovo a Milano. Dove oggi, tra capannoni e hangar che testimoniano la vocazione industriale della città, Sharon Goldreich gestisce la sua galleria di design del Novecento, la SG Gallery, al 14 di via Lisiade Pedroni. Un gruppo di edifici intorno a un ampio cortile interno che ospitano oggetti di Gio Ponti, Fontana, Venini, Sottsass, Ginori, Bonacina. Ma anche di nomi meno conosciuti, trovati un po’ ovunque, nei decenni che Goldreich ha dedicato alla sua passione, il design e la decorazione -soprattutto italiani- del Ventesimo secolo. «Il bello del design italiano è che c’è così tanto di dimenticato, di cui nessuno ha scritto. È un’eterna ricerca, si continuano a trovare cose nuove. A differenza di quello francese o di quello svizzero, con il classico ‘caos all’italiana’ anche nel design sbuca sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che non è nemmeno più in mercato», racconta Goldreich, che per l’anagrafe è tutto tranne che italiano, ma che qui si sente a casa, e non sceglierebbe «nessun altro posto»

Da Decò XX Secolo a SG Gallery

Il gusto per l’arredamento è parte della famiglia Goldreich. «Mia madre ha aperto un piccolo negozio di antiquariato a Lugano, che poi insieme abbiamo allargato», poi è arrivata Decò XX Secolo, una delle prime gallerie ad aver lanciato un sito online alla fine degli anni Novanta. Ma al di là della madre, l’attrazione per il design è sempre stata dentro Goldreich. Precisa: «La passione è nata in me. A Londra studiavo moda, alla St. Martins School of Art, ma ogni sabato e domenica andavo ai mercatini vintage di Brick Lane. La moda mi ha insegnato molto sui colori, ma non era abbastanza. Questa per me è una vera passione, non sento il peso di alzarmi la mattina. Non è un lavoro: ‘It’s a way of life’». Dopo aver girovagato dopo gli studi e dopo Lugano, Milano -dove da adolescente ha frequentato la britannica Sir James Henderson School- lo ha riattratto a sé. «Sono stato qui dagli anni 11 ai 18 anni, l’ho sempre sentita un po’ come casa mia. Avendo vissuto in molte città, avevo capito che Milano, con la sua storia e il suo patrimonio, poteva diventare un polo per il design. Nessuno ci credeva, le persone negli anni Novanta se ne andavano, avevano perso la fiducia nella città». Goldreich invece ci è tornato, e ha deciso di spostarsi dall’ordinatissima Lugano al quartiere della Bovisa, dove oggi gli spazi della SG Gallery – «un tempo, ho scoperto dopo essere arrivato, nella falegnameria si costruivano i mobili di Renzo Mongiardino» – coesistono con i vicini edifici del Politecnico e vari working hub, e dove è in cantiere l’apertura di un centro per l’artigianato. 

SG Gallery: design italiano del Novecento

Il successo di SG Gallery, secondo il proprietario, sta nel suo essere lontana dal classico concetto di galleria: «Cerchiamo di distinguerci, è chiaro che compriamo Ponti e Borsani, ma vogliamo quello che non si trova da nessuna parte: decoratori meno conosciuti, pezzi vergini. Raramente acquistiamo in asta. Penso che sia per questo che andiamo bene. Negli anni abbiamo trovato pezzi fantastici in posti impensabili. Lampadari bellissimi nelle cantine di un macellaio, acquistate in asta negli anni Sessanta. In Svizzera, in un sacco della spazzatura, avevamo trovato tre fotografie in bianco e nero di Gertrude Stein che sono poi state comprate da Christie’s. Il punto che è un tempo quello a cui adesso diamo importanza era considerato solo arredamento. Sono oggetti che hanno viaggiato, sono stati usati, buttati, ritrovati e restaurati». Per la selezione, Goldreich si affida all’emozione nascosta in un angolo, in una curvatura, in un dettaglio: «Guardare un bel pezzo è come guardare un bell’uomo o una bella donna. C’è un punto che ti attira ed emoziona. Il design italiano ha una sensualità così ovvia, quasi una sessualità alla Fellini. Ci sono forme che non trovi nel design francese o svedese»

Sharon Goldreich: e-commerce e gallerie

Lo sviluppo dell’e-commerce ha creato «una concorrenza pazzesca», dice Goldreich. «Internet ha liberalizzato il mercato. Oggi un gallerista compete con il ragazzo che mette in vendita i suoi pezzi in un garage. Una poltrona di Bellini o una Camaleonda le pubblichi su Instagram e le vendi, le vogliono tutti. Per resistere, cerchiamo di regalare un’esperienza a chi entra in galleria. Ho un letto a molle? Lo faccio provare ai clienti. Facciamo ricerca, in biblioteca e nelle riviste storiche proviamo a scovare pezzi inediti. Abbiamo trovato così un letto da bambino di Lina Bo Bardi del 1942, per cui mi hanno chiamato dal Brasile. Penso che Internet prenderà una parte sempre più grande di mercato, ma la maggior parte rimarrà in galleria, che è come un mondo fatto di sogni. Il grande collezionista non può mettersi a comprare online. Devi vedere, devi toccare, altrimenti si rischia una truffa».

SG Gallery: vintage e design 

Nel settore ormai da anni, a Goldreich non piace parlare del ‘ritorno al vintage’ che in molti indicano come una delle tendenze attuali nel mercato. Così come è cauto nel parlare in senso ampio di ‘design’. «Sono due parole di cui abbiamo talmente abusato che non hanno più significato. Siamo andati spudoratamente oltre. Fanno bene al marketing ma cos’è il design davvero? Per me è ‘form and function’, è quando non riesci a separare la forma dalla funzionalità. Una volta una sedia era una sedia. Adesso su alcune sedie non sai come sederti. Sono bellissime, ma secondo me si tratta più di arte che di design», spiega. Non chiude però alla possibilità di ampliare il suo catalogo, pensando a un’incursione nel contemporaneo, sempre guardando però all’artigianato. «Ora abbiamo solo pezzi del Novecento, ma è un po’ di tempo che pensiamo di estendere la galleria al design contemporaneo, in linea con i nostri pezzi. Per fare un esempio: non penso acquisteremo qualcosa di fatto in 3d, guarderemo alle ceramiche. È interessante vedere come molte gallerie di contemporaneo abbiano iniziato a cercare pezzi da noi. Vogliono lo Stil Novo, le lampade PBR».

SG Gallery 

Una tendenza che invece Goldreich ha accolto con favore è quella dell’ampliamento del target di clienti che il mercato del design del ventesimo secolo sta attraversando. Sia per quanto riguarda l’età che la provenienza geografica di chi acquista. «Il Novecento fa ormai parte dell’abitare, per chiunque si interessi di casa e decorazione. Prima i collezionisti avevano dai 50 ai 70 anni, oggi ci sono anche i 30enni. Guardano al recupero, al riciclo di oggetti con un passato», dice Goldreich. I clienti arrivano da tutta Europa e dagli Stati Uniti – «al momento non li batte nessuno» – ma si guarda anche all’Oriente: «Alla Cina a lungo è piaciuto il nuovo, il brillante. Ora si sta aprendo al design di una volta. Popolo dalla lunga storia artigiana, hanno messo gli occhi anche su quella di altri Paesi».

Design italiano e artigianato

Culla e madre di una secolare tradizione di design, secondo Goldreich l’Italia potrebbe fare di più per valorizzare il suo patrimonio. «Il mercato è creato dagli stranieri. È a New York che si fanno le mostre sull’abitare italiano, è il Regno Unito che ha tirato su Fornasetti», dice Goldreich. Forse, quello che manca è la struttura che le istituzioni di altri Paesi hanno messo in campo: «Qui ognuno di noi è una mina vagante, spingiamo il design da soli. In Francia per un periodo venivano pagati gli stand all’Art Basel di Miami, negli Stati Uniti i grandi gruppi aziendali che comprano pezzi storici e li donano ai musei hanno sconti sulle tasse». Il punto principale su cui agire, però, è a monte della filiera. «Non è automatico che se si organizzano grandi eventi come il Salone del Mobile, tutto il resto funzioni. È pieno di artigiani, bronzisti e tessitori che faticano. Li incontro e mi dicono che pensano di chiudere, perché le tasse sono troppo alte. Se queste realtà spariscono, dove pensiamo di andare? Hanno bisogno di interventi in fretta, molti artigiani sono anziani, i loro figli hanno preso altre strade. Poi guardo al successo di app come Vinted, delle grandi case che hanno rimesso in produzione modelli di cento anni fa, e penso che i piccoli artigiani non stiano godendo minimamente di tutto ciò. Ma senza di loro non avremmo nulla di quello che abbiamo oggi». 

SG Gallery, Milano

Tra capannoni e hangar che testimoniano la vocazione industriale della città, Sharon Goldreich gestisce la sua galleria di design del Novecento al 14 di via Lisiade Pedroni

Giacomo Cadeddu

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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