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Altro che broccati, tessuti storici: stiamo parlando di contemporaneità

Alberto Torsello esalta l’eredità di Mariano Fortuny nel progetto di restauro dello showroom alla Giudecca. «Si ragiona come fosse un teatro, con un graticcio da cui creo infinite scene». La luce è quella di Venezia

I tessuti Fortuny

L’architetto veneziano Alberto Torsello racconta il progetto di realizzazione del nuovo showroom Fortuny, inaugurato lo scorso dicembre all’Isola della Giudecca a Venezia, nello stesso storico edificio affacciato sul Canale dove ancora oggi è attiva la fabbrica di tessuti fondata dall’artista, scenografo e inventore spagnolo Mariano Fortuny nel 1922. Torsello è stato chiamato dai fratelli Mickey e Maury Riad alla direzione artistica dell’azienda che hanno ereditato da loro padre Maged Riad nel 1998. «I greci usavano i termini Φροντίζειν (frontizeiv) e Θεραπεύειν (terapeuein)», esordisce Torsello. «Col primo si identifica l’irrequietezza di una madre nei confronti del proprio figlio: avere cura di tutto. Il secondo è una cura dal punto di vista fisico. Noi parliamo del primo, in uso anche tra i grandi scultori greci. Mettersi di fronte alle cose in un sistema di responsabilità: il nucleo fondante del nostro studio e modo di vedere». 

Dopo la cura, l’analisi. «Nulla si può fare se non viene prima capito. Non crediamo nel gesto, nell’atto magico. È un percorso che deve partire dalla conoscenza». Il padre di Alberto Torsello è stato tra i primi con il Politecnico di Milano ad aver inventato in Italia negli anni Settanta/Ottanta il rilievo tridimensionale dei monumenti. Un’operazione che è servita a realizzare macchine steteoscopiche per raggiungere la tridimensionalità che ci offre il cellulare. «La misura è alla base del mondo e del controllo dell’uomo sulla natura. Da questo percorso abbiamo creato una società che ci ha permesso di fare i più grandi rilievi laser scanner del mondo, dagli Uffizi al Palazzo Ducale di Venezia e la Muraglia Cinese»

Mariano Fortuny, una storia veneziana

La storia di Fortuny inizia nel 1889, quando Mariano, a diciotto anni, si trasferisce a Venezia. Inizia a lavorare a quello che diventerà un progetto globale fatto di pittura, scenografie, fotografie, disegni, tessuti, oggetti, lampade e invenzioni. Ogni elemento della sua esistenza lo ispira: Palazzo Pesaro degli Orfei, oggi Museo Fortuny, dove viveva circondato dalla collezione di reperti antichi a cui ispirarsi; l’atelier dove dipingeva; lo studio dove ha inventato il Fortuny Dome, una struttura di ferro e tela per riflettere la luce nel teatro. 

«Mariano Fortuny non era un grande pittore, ne era consapevole. Ha ripreso una tradizione familiare, capendo che poteva lavorare sulle arti minori: decorazioni, ceramica, fotografia, incisioni. Lavora su di esse a partire dalla luce». La madre di Mariano Fortuny aveva una delle più grandi collezioni di tessuti artistici e di immagini decorative. Da lì arriva tutto. La luce diventa un elemento decorativo, per Fortuny ma anche per l’architetto Torsello. Un riferimento nell’utilizzo della luce, ispirazione per la realizzazione del nuovo showroom, è Canaletto. «Figlio di uno scenografo, Canaletto cominciò a costruire delle cartoline settecentesche della realtà, mettendo insieme una serie di immagini. Una sorta di panoramica. La precisione che aveva nella luce e nell’uso delle camere ottiche era di carattere scientifico. Non c’è pathos. La dimensione allusiva ed emotiva, non c’è in Canaletto. Non è più geometria o architettura, c’è solo luce. Luce e rappresentazione di essa. Nasce la fotografia, che si va a sostituire alla mimesis».

Il giovane Mariano Fortuny si innamora dei tessuti nel 1902 quando, a Parigi, incontra Henriette Negrin, stilista francese, compagna, musa e moglie con cui nel 1906 inizia a sperimentare e inventare i primi tessuti stampati con motivi ispirati all’antichità classica. Da quel momento in poi i tessuti Fortuny, anno dopo anno, iniziano a venire riconosciuti, ambiti e commissionati in tutto il mondo. L’attività si trasforma in una fabbrica.

Tessuti Fortuny: la sede in Giudecca, Venezia

Ancora oggi i tessuti sono realizzati in questa fabbrica, accanto al mulino Stucky. All’interno, un giardino rigoglioso con alberi centenari. I tessuti 100% cotone sono realizzati con processi segreti – nessuno ha accesso ai laboratori. Le tecniche e le macchine sono originali, inventate da Mariano Fortuny. I colori sono ottenuti con le antiche formule create con Henriette Negrin con materiali naturali, estratti di piante e insetti come il verde Fortuny declinato in centinaia di sfumature. I pattern dei tessuti sono ispirati al riflesso delle architetture nell’acqua della laguna di Venezia, dalla luce che dall’acqua irradia su palazzi, dalle opere d’arte, e dalle collezioni di oggetti. 

Il risultato sono decorazioni che declinano la storia nel contemporaneo – come spiega il direttore artistico Torsello. Originario di Venezia, dopo aver girato il mondo per visitare siti archeologici e architettura, lavorato al restauro architettonico di Palazzo Ducale, del Fondaco dei Tedeschi, e della Scuola Grande della Misericordia, Torsello torna a Venezia. Da bambino, affacciandosi dalla finestra della casa della nonna, vedeva dall’altra parte della laguna i mattoni rossi della manifattura Fortuny. 

«Ricordo la grande spedizione in Cina, dove abbiamo fatto rilievi alla Città proibita di Pechino, e la Grande Muraglia. Poi siamo stati a 400 km a nord di Mumbay, alle Ajanta Caves, un sito archeologico di tempi buddhisti ricavati in una parete di basalto nero alta centocinquanta metri. Eravamo lì per una campagna di analisi del Ministero. Dopo di che siamo stati a Bam in Iran, ad Aleppo, in Siria, in Libia prima della guerra per rilievi di architetture fasciste, a Sarajevo».

Il nuovo showroom Fortuny progettato da Alberto Torsello

«Lo showroom serve per mostrare il prodotto a qualcuno che deve scegliere. Lo devi far immaginare. Devi dargli uno strumento utile a capire cosa gli può essere più utile possibile. Stai comprando tessuti che costano svariate centinaia di euro al metro, perché sono opere d’arte. Non puoi permetterti approssimazione. Il problema nasceva sulla quantità di tessuti da mettere – e sulle modalità. Quando vai a una mostra devi sentirti gratificato. Altrimenti ti senti ad una fiera, in un sistema scollegato dal valore semantico di ciò che stai vedendo. Quando hai a che fare con oggetti che hanno un valore, devi fare in modo di garantirne la loro lettura migliore possibile».

Il progetto è iniziato con un laser scanner. «Il processo del restauro prevede la misura perfetta, non si può andare ad approssimazione, soprattutto se vuoi rientrare nei tempi e nei costi. Altrimenti è sempre comunque un’intenzione superficiale, non profonda. È come la musica, non puoi pensare alle note in maniera approssimativa. La stessa musica può diventare la più bella del mondo, per un niente. Ho inteso dare una unica funzione agli oggetti – quella originaria: la porta è porta, il muro è muro, il tavolo è tavolo. Recuperiamo il valore semantico delle cose. Se produci una finestra deve essere la finestra. Oggi siamo frastornati da centomila significati che si spostano sul decorativo. Nello spazio devo avere una gerarchia. Entro dalla porta. C’è l’accoglienza, la grande scrivania. Da questo punto c’è il sistema di controllo. Si ragiona come se fosse un teatro, con un graticcio da cui creo infinite scene. Costruisci la scena per colui che ne deve godere»

Fedele alla visione di Fortuny, lo spazio della Giudecca è scandito da tre concetti che si trasformano in tre spazi: l’ingresso, la casa della memoria, il teatro. Il primo, è il luogo dell’accoglienza: collegamento fra interno ed esterno, fra la luce, l’acqua, l’atmosfera di Venezia e la produzione, la ricerca, l’invenzione. Qui, intorno a un tavolo che avvolge una tipica scala veneziana stretta e ripida, si entra nel mondo creativo del brand Fortuny che distilla nel tessuto pittura e rappresentazione, luce e architettura. Una volta entrati l’esperienza prosegue nella casa della memoria dove i cuscini di varie dimensioni sono installati come opere d’arte in una libreria che sembra una quinta teatrale. L’archivio di tirelle è progettato e incastonato fra due finestre da cui si vede il verde del canale.

Il terzo spazio è quello del teatro, qui Torsello pensa alla sensibilità di Fortuny per la visione e la messa in scena, non solo nel teatro, ma anche nell’architettura, da Palladio a Bernini. Ispirato da questi riferimenti Torsello ha creato un sistema espositivo, appositamente inventato e brevettato per questo luogo, in cui i rulli dei tessuti installati a soffitto sviluppano la possibilità di calare dall’alto le stoffe, come si fa con un sipario. In questa parte dello showroom i tessuti diventano elementi architettonici, pareti mobili, quinte teatrali intercambiabili che formano ambienti e luoghi ogni volta diversi e affascianti.

Il pavimento è in magnesite. «Ci sono poche cave di magnesite in Italia. Ma è duttile, compatta. Se la vuoi neutra e pura, ti conviene usare quella belga. L’estetica di quella italiana, a causa delle intrusioni, risulta più grigiasta. Appartiene alla famiglia delle calci. Ha una prerogativa: si asciuga con l’aria. Ha una capacità di resistenza all’usura venti volte superiore alla ceramica. Lo abbiamo dovuto rifare, perché al primo tentativo non era perfetto». A volte capita che le cose funzionino, a volte devi aspettare. «Un giorno Adriano Olivetti chiamò Carlo Scarpa. Architetto, vorrei vederlo da vivo questo negozio, quando lo finisci?. Gli rispose Ingegnere, non mi viene. Doveva aver pazienza. La qualità va gestita secondo logiche di contemporaneità e cose che succedono. Un tempo avevano tempo. Le persone concorrevano all’obiettivo. Una cattedrale gotica era un bene per la comunità. Quattro generazioni ci mettevano le mani. È come un muro a secco nel sud, lì da trecento anni nonostante siano una sull’altra senza malta. C’è uno studio lungo della pietra, poi l’uso della mannara, un colpo secco e si posiziona la pietra».

Alberto Torsello è appassionato di Carlo Scarpa, del suo talento nel cogliere lo spirito del luogo. «Suo figlio ha la stessa età di mio padre. Il padre è stato maestro del mio, era interessato al suo lavoro. Ricordo diceva Non voglio che nessuno mi paghi, perché sennò devo fare quello che vogliono loro. Se sei un artista vero con qualcosa da dire, devi trovare il cliente che ti dia la possibilità di esprimere fino in fondo cosa hai in testa. Bisogna riconsiderare il valore delle cose anche alla luce della capacità di non scendere a compromessi».

Alberto Torsello

Compasso d’oro nel 2018, all’attivo restauri architettonici per icone come Palazzo Ducale, il Fondaco dei Tedeschi, e la Scuola Grande della Misericordia a Venezia. Nello showroom Torsello distilla l’estetica di Mariano Fortuny, la sua ricerca sulla luce, sui riflessi, sul teatro e sulla messa in scena. Lo showroom è infatti una vera e propria macchina scenica, un sistema per esporre non solo i preziosi tessuti realizzati nell’edificio in mattoni rossi, ma anche la storia, il senso e l’identità di questi tessuti antichi e sublimi.

Matteo Mammoli

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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