Cerca
Close this search box.
  • EDITORIAL TEAM
    STOCKLIST
    NEWSLETTER

    FAQ
    Q&A
    LAVORA CON NOI

    CONTATTI
    INFORMAZIONI LEGALI – PRIVACY POLICY 

    lampoon magazine dot com

TESTO
CRONACHE
TAG
SFOGLIA
Facebook
WhatsApp
Pinterest
LinkedIn
Email
twitter X

Etichetta Parlante e digitale: monitoraggio e racconto di un’intera filiera

La sincerità della comunicazione parte dall’etichetta: una piattaforma per per rendere tracciabile la provenienza delle merci e dei processi che portano al prodotto finale

Etichetta parlante per la tracciabilità

Come garantire all’acquirente che ciò che acquista è composto da quanto scritto sull’etichetta? Adriano Magro e Davide Squarise, Ceo e Cto dell’azienda, rispondono nel 2014, fondando Etichetta Parlante – labelCerttm. In quell’anno prende avvio il progetto in collaborazione con l’Assessorato allo Sviluppo Economico ed Energia della Regione Veneto. Una piattaforma all’inizio, poi un’app. L’idea è dare respiro alle realtà artigianali locali spesso affossate dalla delocalizzazione e dall’oppressione delle catene della moda. «Il nostro non è un territorio di grandi realtà manageriali, si è sempre distinto per attività di piccole dimensioni. I miei genitori erano artigiani. Ho visto il passaggio dell’industrializzazione di massa che ha portato via gran parte del tessuto produttivo del posto. Con Etichetta Parlante vogliamo provare a tutelarlo», racconta Magro. 

Etichetta parlante: come funziona

Si punta a certificare con obiettività la provenienza delle materie prime e i luoghi di lavorazione. Sono coinvolti tutti i protagonisti della filiera. «L’azienda produttrice può inserire all’interno del database di Etichetta Parlante la propria attività, con relative informazioni sui prodotti che vende», spiega Magro. «Prima di renderli visibili si svolge su tutti un controllo da parte di un ente certificatore indipendente, TFashion». Si tratta del sistema di tracciabilità promosso da Camere di commercio italiane e da Unionfiliere. È di natura volontaria e integra (senza sostituire) le norme di legge. Lo fa raccontando la storia che il prodotto attraversa nel corso dell’intera filiera. «Sorveglia la veridicità delle informazioni proposte dall’azienda e, se approvate, queste ultime non possono essere più cambiate. A questo punto sono mostrate sulla app e rese consultabili per il consumatore». L’attività produttrice può ritagliarsi uno spazio di marketing in cui presenta i prodotti e li pubblicizza.

Come vuole e con gli strumenti che preferisce – testo, audio, video, link di rimando ai siti internet. Può gestire le linee di prodotto, e scegliere di certificarle: «Per esempio: una collezione di stivali. L’azienda dovrà dichiarare la filiera alle spalle del prodotto concluso – dove sono prodotti i tacchi, la suola, e tutti gli altri componenti. Chi vuole comprare quel paio di stivali potrà conoscerne caratteristiche di marketing, storia di realizzazione e relative certificazioni». I passaggi sono verificati da TFashion. «In questo modo si capisce se si tratta di un ‘Made in Italy’ o di un ‘Made in’, cioè se le varie lavorazioni che portano alla creazione del lavoro finale si compiono in altre zone del mondo», continua Magro. Ogni etichetta – unica e riconoscibile – consente di collegarsi a un portale che individua ed elenca i produttori italiani certificati dall’estero

NFC – Near Field Communication

Sui capi d’abbigliamento sono applicati i tag NFC – Near Field Communication – che consentono lo scambio di informazioni fra dispositivi. In alternativa, si ricorre al QRCode. Al loro interno si possono inserire ulteriori nozioni, rivolte non solo ai consumatori ma anche ai produttori stessi: «Per esempio, un’azienda può ricostruire il percorso del suo vestito e capire dove è stato più venduto, dove meno». Al momento partecipano 15 aziende con circa 250 prodotti. Altre 150 aziende aderiscono invece al disciplinare TCBL – Textile & Clothing Business Labs.  È un progetto iniziato nel 2015 e concluso nel 2019, finanziato con i fondi Horizon 2020 dell’Unione Europea.

Ha coinvolto 22 organizzazioni provenienti da 11 Paesi europei, fra cui centri di ricerca tessile, università, associazioni di settore, centri di formazione e centri di ricerca sociale e socio-tecnica. Il suo obiettivo è creare percorsi circolari nell’industria dell’abbigliamento. Alla guida del progetto c’era la città di Prato, in Toscana. TCBL punta, fra l’altro, a riportare il 5% della capacità produttiva in Europa e a ridurre l’impatto ambientale del settore del 20% entro il 2025. «Abbiamo deciso di inserire all’interno di Etichetta Parlante le aziende che seguivano questo disciplinare, in modo tale da renderle riconoscibili. In questo modo il consumatore sa quali attività produttrici lo rispettano e quali no», prosegue Magro. La stessa attività è prevista anche per la filiera del cibo, che però si trova al momento ancora in via di sviluppo. L’idea in questo caso è creare una banca dati di valori nutrizionali. 

L’Università di Verona e le aziende di moda

Etichetta Parlante ha di recente vinto un bando con l’Università di Verona, che coinvolgerà alcune aziende operative nel campo della moda, del calzaturiero e degli occhiali. «Vogliamo creare registri pubblici dove possano apparire le aziende che hanno le filiere sempre attive. Se i vari luoghi di produzione da cui provengono le componenti necessarie per la creazione di uno stivale continuano a ricevere ordini da parte di una specifica azienda, questa potrà continuare a essere certificata. Se così non sarà, l’azienda perde la certificazione e non appare più su Etichetta Parlante. Usiamo questa strategia di controllo per evitare che le aziende cambino modo di lavorare dopo aver attenuto la certificazione e per accertarci che quanto scritto nella app rimanga veritiero nel corso del tempo», racconta Magro. Un metodo alternativo sarebbe poco praticabile: richiederebbe all’ente certificatore di monitorare continuamente tutti i punti della filiera. 

Il progetto FABBRICrafter dell’Università IUAV

Il punto è la sincerità. «Si tratta di rendere consapevole chi compra: se un prodotto è venduto in Italia ma è stato fabbricato in Romania, è giusto dirlo», prosegue Magro. L’industria dell’abbigliamento e l’economia circolare si incontrano solo se si considera questo nodo – così la pensa Veronica Spano, assegnista di ricerca dell’Università IUAV di Venezia per il progetto FABBRICrafter, di cui è responsabile Scientifico la professoressa Alessandra Vaccari. Si tratta di un laboratorio diffuso di sperimentazione dell’abito, della calzatura e degli accessori: lavora per supportare un abbigliamento etico e sociale attraverso biomateriali, riciclo, tessitura manuale, zero waste e artigianato digitale. Connette manifattura veneta – circa seimila aziende nel settore – con futuro dell’industria.

La connessione con Etichetta Parlante è scattata quando Veronica Spano ha iniziato il periodo dell’assegno di ricerca previsto in presenza alla Tessitura La Colombina, non lontano da Treviso. L’attività è stata una delle prime a entrare alla rete di aziende aderenti a Etichetta Parlante. «Se si sceglie di comprare tessuti o servizio di manodopera in paesi extra UE, dove le direttive su ambiente e lavoratori non sono rigorose quanto le nostre, occorre assumersi la responsabilità di comunicarlo», spiega Spano. Il futuro in questo campo è tracciato «dalla cooperazione fra più parti, considerando i vari soggetti protagonisti di questa industria – università, centri di ricerca, istituzioni, laboratori».

Etichetta Parlante

Distribuita da Unioncamere Veneto in collaborazione con Unionfiliere/TFashion, Confartigianato Imprese Veneto, Confindustria Veneto, CNA Veneto e Confesercenti Veneto.

Elisa Cornegliani

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

SFOGLIA
CONDIVIDI
Facebook
LinkedIn
Pinterest
Email
WhatsApp
twitter X