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Il vetro distrugge l’odio: architetture giocate sulla trasparenza

Filtro e schermo riflettente, dialogo fra dentro e fuori – La superficie della terra sarebbe completamente diversa se l’architettura in mattoni fosse sostituita ovunque con il vetro, affermava Bruno Taut

La trasparenza in architettura è un ossimoro

Catturare la fluidità di uno spazio esterno per convogliarla dentro una struttura edilizia compatta, nata proprio per ritagliare un volume, per isolare una porzione definita estrapolandola da quel contesto. La trasparenza è il mezzo che permette, anche in maniera astratta, di stabilire relazioni e comunicazione tra elementi distinti. Filtro e schermo riflettente, amplificazione di rapporti e proporzioni, canale di dialogo fra dentro e fuori, fra paesaggio naturale o urbano e una dimensione interna vasta, articolata o minuta che sia. Trasparenza non è soltanto una proprietà di certi materiali, ma un concetto che assume un’ampia serie di significati, non di rado assumendo sfumature ambigue e antitetiche. Il vetro, per esempio, è una materia di separazione tra interno ed esterno di cui l’architettura moderna e quella contemporanea hanno fatto e fanno un uso variegato e molto diffuso. 

Architetti contemporanei che giocano con la trasparenza

Archistar dei nostri giorni quali Santiago Calatrava o Massimiliano Fuksas, partendo dalla lezione razionalista di Gropius, di Mies van per Rohe e Le Corbusier, hanno trasformato la trasparenza in piattaforma per dirigersi verso una libertà formale plastica, sperimentale e drammatica, nutrita da supporti tecnologici sempre più duttili e avanzati. Il Pritzker Price Renzo Piano la trasparenza la frequenta da sempre, partendo dal tetto in vetro della Fondazione Beyeler di Basilea negli anni Novanta, per arrivare fino al gigantesco Academy Museum of Motion Pictures di Los Angeles, una  struttura caratterizzata  da una sfera di 40 metri rivestita di vetro e acciaio lungo sei piani.

Il senso del cammino lo indica la Glass House di Philip Johnson a New Canaan, Connecticut, ideata nel 1945 e portata a termine quattro anni dopo. A pianta libera, è un blocco di vetro concepito per ‘vedere il paesaggio circostante’ da un punto panoramico. 160 mq., nessun muro di separazione. Solo il bagno, chiuso in un cilindro, non è a vista. Una scatola trasparente immersa nel bosco, magico pavilion modernista. L’arcadia dipinta di Claude Lorrain, da una tela appoggiata su un cavalletto, si confronta con l’ambiente paesistico con il quale questa scatola trasparente interagisce senza impedimenti o cesure apparenti.

Il significato di un edificio trasparente

Specie in edifici sede di imprese o destinati a enti pubblici, la trasparenza incarnata dal vetro si connette anche a un valore simbolico e si connota prima di tutto quale dichiarazione etica e semantica. Costruzioni sviluppate su una complessità tecnologica che le trasforma in sistemi del tutto ermetici, veri e propri microclimi, talvolta isolati da ciò che li circonda, estranei al clima esterno e impermeabili ai suoni dell’ambiente circostante. La trasparenza visiva introduce in architettura la possibilità della vista verso l’interno, interessante sia di giorno con la ricognizione introspettiva degli edifici, che aggiunge dimensioni polimorfe e fondali affascinanti alla trama urbana, quanto di notte, grazie ad effetti luminosi che li mutano in lampade normi scintillanti nell’oscurità. 

Fin dall’ideale umanistico albertiano e dall’escamotage prescelto dal Palladio nella gabbia lapidea della Basilica di Vicenza, la trasparenza può giocare anche in termini ingannevoli sullo scarto tra facies interna ed esterna, stabilizzando uno schema irregolare e fornendo un make-up formale a una pianta distributiva disordinata o non assiale. 

La trasparenza nel Razionalismo italiano 

Un aspetto fondamentale è la relazione visiva che viene a stabilirsi tra le varie parti di un edificio e nella dinamica tra interno ed esterno. Un tema caro al Razionalismo italiano che ha dato vita a macchine prospettiche imperniate su un uso sapiente e quasi teatrale delle quinte. Basti pensare alla Casa del Fascio di Giuseppe Terragni a Como (1932-36), alla sua unitarietà spaziale interna priva di paratie, scandita da pilotis e al dialogo diretto che instaura con il marmo di Musso della vicina cattedrale di Santa Maria Assunta.

Il peristilio del tempio greco e l’abbraccio ecumenico del Colonnato berniniano a San Pietro in Roma – quest’ultimo pensato su una duplice funzione di filtro visivo e cortina opaca, ma al contempo assai permeabile al passaggio – hanno ispirato alcuni progetti del brasiliano Lucio Costa, quali il Palazzo Capanema a Rio de Janeiro e la facoltà di Economia di Barcellona, opera di Javier Carvaval. 

La trasparenza per Francesco Borromini

Francesco Borromini, il grande antagonista di Gian Lorenzo Bernini sulla scena barocca romana, declina una qualità differente e capziosa di trasparenza. Nelle sue fabbriche ha trattato la luce come uno strumento costruttivo basilare. Non è la luce scenografica, ma ‘luce guidata’, tesa ad esaltare le virtualità prospettive dell’architettura. Una visione della luce che, partendo da basi e con esiti diametralmente opposti, nell’impatto dinamico e narrativo che la percorre avvicina il tormento barocco di Borromini al fluttuare ludico di tante strutture Art Nouveau. 

Kengo Kuma: la trasparenza in architettura

Una maggiore affinità la apparenta alla sospesa poetica di Kengo Kuma. Un architetto-filosofo, o meglio una sorta di sciamano contemporaneo, che si misura con i materiali sulla base della loro capacità emotiva, immergendosi nelle caratteristiche costruttive e filosofiche della tradizione giapponese. Kuma da anni è impegnato in una critica radicale a quello che definisce il ‘metodo del calcestruzzo’, cercando di trovare un’alternativa all’utilizzo di questo materiale che, a suo parere, governa il mondo. Egli si pone in ascolto della lingua materica del vetro, ma anche delle voci della pietra, di ceramica, bambù, plastica e vinile. 

Quanto alla luce, la impiega per raggiungere un senso di immaterialità spaziale tramite il vetro o inserti naturali. Si generano così quelle facciate decorate e fortemente espressive che sono un po’ la firma dell’architetto nipponico, come testimoniano il complesso Wuxi Vanke e il grattacielo Hongkou Sono a Shangai, eretti tra il 2014 e il 2015. Per Kengo Kuma diventa un’assoluta priorità lo studio del luogo – vedi lo Yusuhara Wooden Bridge Museum di Tarougawa –, in maniera da integrare l’opera nel suo contesto affinché non ne turbi l’equilibrio ma ne diventi quasi una derivazione naturale. Iconica del suo fare in trasparenza è la Water/Glass House ad Atami in Giappone, progetto del 1995. Una foresteria spalancata sull’oceano che prende linfa dalla Hyuga Villa (1936), unico progetto giapponese esistente dell’urbanista tedesco Bruno Taut, che approda in questa terra nel 1933 e la immagina guardando alla Villa imperiale di Katsura vista attraverso un’ottica modernista. 

Il Padiglione di vetro di Bruno Taut

Un legame profondo tra il passato e il futuro, quello che unisce le mostre delle Werkbund tedesche, le avanguardie Bauhaus e la rarefazione di segno oggi perseguita da Kuma. Nel suo saggio Glasarchitectur del 1914, che sembra l’annuncio delle aspirazioni di Kengo Kuma, lo scrittore e disegnatore espressionista Paul Scheerbart, in corrispondenza con l’allora giovane architetto Bruno Taut, affermava che La superficie della terra sarebbe completamente diversa se l’architettura in mattoni fosse sostituita ovunque con il vetro…. Scheerbart aggiungeva al testo parole e messaggi suggestivi ed altamente simbolici: le vetrate distruggono l’odio, oppure, ancora senza un palazzo di vetro la vita è una frase

Il Padiglione di vetro che Bruno Taut realizza nel 1914 per la mostra della Werkbund di Colonia – una cupola a due strati con prismi colorati all’interno e vetri riflettenti sulla superficie esterna – assurge a manifestazione emblematica di questo slancio utopico, mentre diviene test dimostrativo del potenziale di alcuni tipi di vetro in architettura. Taut descrive la propria creatura come Un piccolo tempio della bellezza… riflessi di luce i cui colori iniziarono alla base con il blu scuro, salirono al verde intenso e al giallo dorato per finire al piano di sopra in un luminoso colore giallo pallido. Sfortunatamente gli ultimi resti di quel fragile oggetto onirico traslato in architettura, trasparente e iridescente come un gioiello policromo, non sopravvissero a lungo. Finirono per essere smantellati negli anni Venti. 

La Rieteiland House, disegnata dallo studio olandese Hans van Heeswijck Architects

La trasparenza, ampliata in una dimensione in cui essa non risiede più nel concreto, ma piuttosto nello svelamento e nell’accompagnamento di un processo, si ripresenta quale sovrapposizione non esclusivamente rilevabile nell’oggettualità della situazione, ma da reperire nella nostra esperienza percettiva. Si attua come strumento di conoscenza ‘attraverso’, quale logica per l’indagare e il disvelamento dei livelli interconnessi, dispositivo per la costituzione della differenza.

La Rieteiland House, disegnata dallo studio olandese Hans van Heeswijck Architects, è un parallelepipedo di tre piani aperto a doppia altezza. Il prospetto affacciato sul mare è interamente composto da lastre di vetro e porte scorrevoli. Al centro del cubo di vetro si staglia una torre di legno che attraversa i diversi livelli, un vano tecnico che ospita il bagno. The Overlapping Land House a Singapore, firmata da Neri&Hu, nasce per ospitare quattro famiglie di generazioni differenti. Uno scrigno morbido e trasparente calato nella natura con il minore impatto possibile, destinato a una madre e alle sue due figlie. 

L’architetto kazako Aibek Almasov

Nel suo Paese Aibek Almasov ha creato un edificio di quattro piani intorno a un abete secolare. Un cilindro di vetro immerso nel verde, sviluppato su più livelli collegati da una scala a chiocciola che si dipana elegante intorno alla conifera maestosa. Le pareti trasparenti non proteggono in alcun modo la privacy ma consentono una visione a 360 gradi del panorama. L’inno mistico rivolto al cielo delle grandi cattedrali gotiche è l’antesignano dell’impiego del vetro e di una volontà di trasparenza applicata all’architettura – per non parlare dell’inversione del lotto gotico veneziano, palazzi cesellati come oreficerie poggianti su pilastri che ne alleggeriscono la mole che sorge a filo d’acqua. 

Il barocco, così ansiogeno, sensuale e sontuoso, l’autentico laboratorio dell’idea moderna, eversiva e vibratile di trasparenza, El Transparente della Cattedrale di Toledo, modellato sulla vis teatrale controriformista della Cattedra e della Gloria del  Bernini in San Pietro a Roma, risalenti al 1666, è l’opera più celebre dell’architetto spagnolo Narciso Tomé, compiuta tra il 1729 e il 1732. Il Transparente viene considerato come uno dei più spettacolari raggiungimenti del tardo barocco iberico. Un complesso scultoreo in marmo e alabastro posto nel deambulatorio della cattedrale toledana, giusto alle spalle dell’altare maggiore, costruito per illuminare il tabernacolo sul lato opposto, mettendolo in evidenza per sortire un effetto mistico ed evocativo. 

Narciso Tomé

Tomé aprì un oculo che potesse far penetrare la luce fino a lì, avvalendosi dell’illuminazione possente fornita dagli abbaini e dalle finestre che forano le murature nella parte superiore dell’abside. Alla sontuosa macchina scenica, movimentata dalla verità della luce che si trasforma in atmosfera d’elevazione spirituale, contribuiscono nuvole scolpite, raggi dorati e concitate torme di angeli in movimento.

Cesare Cunaccia

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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