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Polive e i techno artisans
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Polive e i techno artisans: un progetto sulla fibra di canapa

Una rete di imprese collaborano per la realizzazione di materiali innovativi a base di fibra di canapa. L’impegno di Polive e i techno artisans per far ripartire un’economia virtuosa

Polive e i techno artisans

La parola necessaria per comprendere il progetto che include designer innovativi, tecnologia, sviluppo di macchinari all’avanguardia e ripristino di una filiera agricola ancora non standardizzata – come quella della canapa, è techno artisans. «Ci definiamo così perché siamo guidati dal desiderio di innovare secondo sostenibilità ma non dimentichiamo la tradizione, la creatività e lo spirito italiano che ci appartiene», spiega Gianluca Calderoni – designer, innovation broker e fondatore di Polive (è un acronimo di polimero vivo tradotto in inglese, e come tale si legge). «Siamo uno design lab e un contenitore di idee, trasversale e flessibile, che si sa adattare alle richieste e alla necessità del progetto e dei mercati, creando un contatto diretto con l’attualità, il costume e l’arte. L’ambito è quello tradizionale, i materiali insoliti così come le tecnologie».

Una rete di soggetti operativi

I soggetti multipli – aziende, PMI, istituti di ricerca e un’azienda agricola – che partecipano allo studio, processo e sviluppo di materiali innovativi e bio-based (biomasse di origine vegetale e da fonti rinnovabili) si integrano in Polive nell’arco degli otto anni dalla nascita del progetto. Un punto di partenza da considerare è Albodesign, design lab nato quindici anni fa per creare innovazione e sperimentazione di nuovi materiali, di cui esempio sono i concept delle posate realizzate con Sambonet (con vernici speciali in nanotecnologia) o il tessuto tecnico con spalmatura solvent free progettato con la NNT (New Tech Targets di Fagnano Olona) utilizzato nel settore degli inflatable boats. Le radici di Polive, nato otto anni fa, provengono anche da questo contesto.

L’obiettivo condiviso e combinato di scienza, tecnica e realizzazione richiedeva partner diversi, così all’esperienza creativa di Calderoni si uniscono Rylo Energy (azienda torinese dedicata alla trasformazione di tecnopolimeri) nella persona di Claudio Facciorusso, Galatea Biotech – Pmi innovativa nata da una start up dell’Università Bicocca di Milano che ha brevettato un pla di seconda generazione e che funge da referente scientifico di Polive, Matteo Sorba di Calibra come referente per le strategie di marketing online e branding. A queste realtà si aggiungono aziende entrate a far parte della rete d’impresa, come la Safi-Tech dedicata alla realizzazione di feltri e agugliati tecnici in fibre vegetali, aziende di labels come la Sales e di packaging e coated paper sostenibile come la Italgraf e altre che si innestano in base ai progetti e alle collaborazioni attivate con enti terze. Sul territorio la diffusione di Polive è legata all’asse Torino (casa madre), Milano e Padova – dove si trova l’azienda agricola Bio Agrigea che produce la materia di partenza: la canapa.

La materia prima di partenza: la canapa

«Abbiamo lavorato per diversi anni sulla ricerca di un materiale cellulosico che potesse soddisfare i nostri progetti e produrre bioplastica, ci siamo imbattuti in maniera casuale nella realtà della canapa, che abbiamo ripreso per le sue possibilità nell’ambito delle fibre tecniche», racconta Calderoni. L’approccio alla pianta parte dal seme, dallo studio genetico e varietale: «lavoriamo con agronomi, abbiamo testato sul campo tutte le variabili per raggiungere l’obiettivo: stiamo lavorando alla creazione di un nuovo cartellino per un seme autoctono liberi dalla dipendenza della fornitura francese che possa rispondere al compromesso di un quantitativo di biomassa elevato (circa centocinquanta quintali per ettaro)». I campi in questione inizialmente erano diffusi in più regioni come Piemonte, Veneto, Abruzzo e Campania. Oggi si concentrano nella zona di Monselice, in provincia di Padova presso l’azienda agricola Bio Agrigea. Nel territorio in questione, nella zona di San Pietro Viminario, la canapa è una pianta legata alla tradizione passata. A pochi chilometri di distanza dalle piantagioni, a Bovolente, si trova un’antica epigrafe latina (risalente tra il II e il III secolo d.C.) che testimonia la coltivazione della canapa in Italia all’epoca.

Oggi il reperto è conservato al Museo Nazionale Atesino di Este. Il cannabetum era il nome con cui si identificava la coltivazione di canapa in latino, per questo elogiando la tradizione l’azienda agricola ha deciso di chiamare in questo modo una sua linea sperimentale di prodotti di dermocosmesi. Due ettari in questa proprietà sono coltivati secondo il modello studiato da Polive, e le fibre ed il canapulo ottenuti dal raccolto sono oggi utilizzati per la realizzazione di feltri tecnici e per la continua attività di r&d sui derivati della canapa. «Oggi Bio Agrigea è il nostro riferimento di coltivazione e sperimentazione agricola: si occupa del seme, dello studio sul campo, la sua ottimizzazione e lo sviluppo di macchine agricole», sottolinea Calderoni. Uno dei primi passaggi necessari per trattare la coltivazione della canapa è infatti legato al superamento di alcune problematiche legate al sistema di raccolta e prima trasformazione. Passaggio imprescindibile per attivare una filiera che abbia anche una possibilità di replicabilità in zone differenti.

La lavorazione della fibra di canapa

I materiali innovativi Polive ricavati dalla canapa sono prodotti versatili che non rispondono ai criteri di un solo settore, come potrebbe essere quello dell’automotive o dell’edilizia. Ciò che si ottiene dal campo nella farm factory, una volta lavorato, diventa un biopolimero di origine vegetale che può essere utilizzato come base per la produzione di fibra cellulosica (tipo tencel), o come sostituto degli espansi di origine fossile per applicazioni dal fashion al packaging (feltri muli-strato utilizzabili per scatole isotermiche o per imbottiture). Al momento, per esempio, stanno proseguendo studi per packaging sostenibili e per sostituire il polistirolo come contenitore di prodotti freschi. Una volta risolte le problematiche agricole legate alla macchina per la raccolta e alla macchina decorticatrice per la separazione di fibra e canapulo, azzerando l’uso di pesticidi e diserbanti e riducendo quasi a zero l’uso di acqua per la coltivazione, è necessario applicarsi su processing e trasformazione di fibra e canapulo. Tre anni fa entra in gioco Packtin, una start up dell’Università di Reggio Emilia che ha sviluppato un processo di trattamento delle biomasse innovativo e sostenibile, in collaborazione con Polive sperimenta e applica questa tecnologia alla canapa. Attraverso il loro pilota utilizzano un processo rapido di macerazione (meno di un’ora) che permette di ottenere fibra per applicazioni in campo tessile e cellulosa al cento per cento.

«È come una grande pentola a pressione che attraverso multi tecnologie green combinate trasforma i diversi ingredienti in nuove materie prime per l’industria. Nel processo di macerazione non si usano prodotti chimici – la soda è stata eliminata e sostituita da ozono, l’acqua è riciclata a circuito chiuso», continua Calderoni, «Il processo si attiva tramite microonde, ultrasuoni e movimentazioni interne di acqua. Siamo in continua r&d e il progetto prevede di sostituire la macchina pilota con un impianto che possa processare maggiori quantità di biomassa». Una volta terminato questo processo si ottiene un materiale che funziona su più lavorazioni industriali. «Il nostro è un approccio strategico di backcasting design per lo sviluppo sostenibile, partendo dal futuro e tornando al presente definiamo tutti gli step necessari per arrivare all’obiettivo generando un impatto positivo sulla società e sull’ambiente».

Lampoon: canapa e sviluppo

Ricostruire la credibilità della canapa in ambito agricolo e aprire una strada nel mercato, questo uno degli obiettivi di Polive. «La canapa produce tanta biomassa, se non creo esigenza di mercato e poi non la vendo difficilmente posso sensibilizzare gli imprenditori agricoli alla coltivazione. Il solo modo per lanciare questa filiera è attivare una coltivazione responsabile e performante, sviluppare macchine agricole funzionali alla coltivazione e al pre-processing della canapa, dando vita ad un network che possa creare un’economia che funziona attraverso output innovativi. Noi siamo partiti dai prodotti, ad esempio, dal casco per andare in bici o dallo Skate cento per cento biobased. Come lo faccio? Cosa mi serve? Solo partendo da qui seguendo un sistema di ‘smontaggio’ della filiera tradizionale posso arrivare al risultato, se parto dalla coltivazione tutto diventa più complesso», ribadisce il co-founder di Polive, «Se il primo anno di sperimentazione ho fatto solo danni, il successivo farò fatica a coinvolgere gli agricoltori e avere credibilità. Per questo oggi dobbiamo ricucire questo danno e dimostrare che coltivare la canapa mi dà un risultato per ettaro portando numeri scritti coinvolgendo così anche altri imprenditori».

Lo studio sul fine vita

Il settore dei biomateriali è un’intricata zona grigia che non ha ancora una affidabilità normativa perché la scienza ha un ritmo più rapido della burocrazia e del mondo normativo, spesso non guidata da tecnici ed esperti (soprattutto per quanto riguarda il fine vita) ma da amministrativi. Ancora si ritrovano tracce di propilene e percentuali di plastificanti, coloranti non naturali in prodotti che dovrebbero essere bio-based, cioè cento per cento compostabile e in assenza di materiale di origine fossile. «Sostenibilità deve essere una parola che accompagna tutto il processo, dal seme al campo al fine vita. Fermo restando che siamo a favore dei prodotti semi durevoli e del riuso. Anche al costo di essere maniacali, cerchiamo di essere virtuosi al cento per cento nella progettazione e realizzazione dei nostri prodotti. Se non possiamo esserlo, a causa degli attuali limiti tecnologici, investiamo sempre più in ricerca per ridurre il mio impatto al minimo e soprattutto devo sempre preoccuparmi del fine vita».

Per questo all’interno di Polive esiste anche una realtà abruzzese, Dizioinoxa (si trova a Spoltore in provincia di Pescara), che partendo da un loro compostatore di materiale organico urbano studiato per i piccoli comuni (EcoKompos.T) ha realizzato una variante per i biomateriali, dal tessuto alle bioplastiche, ai materiali biocompositi a base di fibre vegetali. «Spesso arrivano nei centri di raccolta materiali che sono scartati perché non totalmente compatibili con i processi di compostaggio industriale, l’idea è quella di creare compostatori più piccoli dedicati ai biomateriali che si possano spalmare sul territorio per una corretta gestione del fine vita. Non posso dire di essere sostenibile se non mi occupo, prima di tutto come designer, di questo aspetto troppo spesso sottovalutato e ignorato».

Polive vuole proporre un modello virtuoso replicabile in diverse zone d’Italia, si parte dall’azienda agricola che deve essere intesa come farm factory in grado di andare oltre al raccolto e fare anche la prima trasformazione del prodotto inhouse fino al fine vita con i progetti sugli impianti compost. «Tutto questo deve essere realizzato con professionalità competenti nell’ambito della sostenibilità», sottolinea Calderoni. «Se ti muovi con fretta e scarsa preparazione non puoi ottenere risultati credibili, poi fai il salto. Io troppo spesso non vedo all’interno delle aziende competenze preparate»

Polive: collaborazioni B2B

Al momento il progetto, grazie alla sua esperienza nello sviluppo e progetto di soluzioni e materiali biobased, collabora con diverse aziende e ha creato dei micro-brand seguendo la stessa logica di produzione di Polive. Quest’ultimo è No Neutral, «un micro-brand di life style fashion che realizzerà come primi prodotti una borsa tote e uno zaino. Tutti i materiali dal tessuto in denim Candiani ai fili della Mic (Manifattura Italiana Cucirini) alle imbottiture agli accessori sono sostenibili e completamente compostabili ma performanti nell’uso quotidiano per lunghissimo tempo, materiali con un ciclo di vita come il legno. Questo è un sample di quello che intendiamo essere sostenibile».

Per quanto riguarda le collaborazioni, oltre a Candiani, dialoghi aperti con Salewa per portare il modello di coltivazione di canapa di Polive in Sud Tirol, affinchè si crei una filiera autonoma a chilometro zero per realizzare materiali innovativi e sostenibili a base di canapa. Tra gli altri progetti in studio, un casco realizzato interamente con fibre vegetali di canapa, – dalla calotta all’imbottitura – dalle arnie per le api, allo sviluppo di una linea di prodotti e accessori per il mondo pet. 

Mariavittoria Zaglio

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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