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Un rubino di 10 carati a taglio smeraldo: Francesca Amfitheatrof per Louis Vuitton

Una conversazione con Francesca Amfitheatrof sulla collezione di alta gioielleria 2022 per Louis Vuitton, titolata Spirit e presentata a Marrakech fine giugno, nelle stanze del Royal Mansour

Rubini dal Mozambico e la tracciabilità delle gemme colorate

Sappiamo che per i diamanti e per l’oro per ci sono certificazioni definite e garantite da organi sovranazionali – mentre questi processi di tracciabilità non funzionano oggi sulle gemme colorate. La conversazione con Francesca Amfitheatrof comincia con alcune note di gemmologia. 

Ci sono voluti tre anni per cercare e selezionare i rubini che hanno composto questa collezione. I rubini qui selezionati arrivano dall’Africa e non della Birmania. 

Questa scelta, è anche una presa di posizione contro la politica in Birmania? 

Assolutamente sì. Da anni compriamo le gemme da miniere che non sono le consuete fonti delle pietre nella gioielleria contemporanea. Quasi come fosse un assioma, gli zaffiri di qualità devono arrivare da Ceylon, i rubini dalla Birmania. Si tratta di marketing, e noi qui da Louis Vuitton, non la vediamo così. Millenni fa, la geologia del pianeta trovava un marco continente che univa Africa e Asia: le radici minerarie che oggi troviamo nelle due parti sono le stesse. In Birmania, sussiste e persiste una linea diretta che collega il controllo e lo sfruttamento delle miniere alla giunta militare del Paese – se tu compri i rubini in Birmania, sostieni il regime in forza. Noi avevamo già da anni comprato tanti rubini dall’Africa e abbiamo relazioni con queste miniere.

Per le operazioni di acquisto delle pietre suppongo ci sia un mercato in India e soprattutto un altro ad Anversa per le pietre preziose. Per Vuitton vi appoggiate a queste sedi o riuscite ad andare direttamente alla fonte?

Per alcune trattative andiamo alla fonte. Per altre ci sono le fiere: per le pietre colorate, prima delle altre, quella di Tucson, in Arizona. Per Vuitton, noi abbiamo relazioni con miniere e con dealers.

Francesca Amfitheatrof Alta Gioielleria Spirit per Louis Vuitton

Quando dici noi in questo caso cosa intendi?

Io parlo solo di Louis Vuitton. Quando dico noi, dico Louis Vuitton. Io sono ora nel mio quinto anno. La nostra gemmologa, di cui non posso dire il nome per sicurezza, ha iniziato il suo percorso prima di me, dieci anni fa, da Vuitton. Quando Vuitton ha deciso di lavorare in ambito di Alta Gioielleria, il primo impegno è stata la formazione di un proprio centro di gemmologia. Quando sono arrivata, questo dipartimento era già attivo.

Esiste una competizione nel reperimento di gemme tra le grandi case gioielliere? 

Fortissima. Rispetto alle case per cui la gioielleria è l’asset principale, noi acquistiamo meno esemplari, ovviamente – ma acquistiamo meglio.

Francesca Amfitheatrof: un rubino di 10 carati a taglio smeraldo

La pietra di maggior valore in questa collezione è un rubino del Mozambico che presenta un colore leggermente più chiaro rispetto ai parametri consueti.

Un rubino è più di dieci carati a taglio smeraldo. Considera in prima istanza che un rubino quasi mai presenta il taglio smeraldo – già solo per questo, non credo che io stessa ne vedrò altri simili in vita mia. I rubini sono sempre rotondi oppure ovali perché con queste forme riescono a trattenere maggiormente il colore alla luce. Un’altra nota per i rubini è che più grandi diventano, più tendono a presentare sfumature nere sul bordo – questo esemplare non ha tali sfumature.

La collezione si è generata da questa pietra?

No, io parto dal mio tema creativo – a questo applico le pietre che negli anni sono state acquistate. La mia fantasia incontra l’ambizione di pietre che negli anni abbiamo collezionato, grazie alle risorse economiche che abbiamo. Siamo una potenza da questo punto di vista. Se noi troviamo delle pietre che valgono, le compriamo a prescindere dalla collezione su cui stiamo lavorando, e la forza di acquisto è agevolata dalla velocità decisionale. Su questo tema, nonostante la complessità di un’azienda come Vuitton, non ci sono molti livelli decisionali, siamo in pochi.

Michael Burke ritiene che Louis Vuitton sia un soft power.

È vero. Burke firma per tutte le pietre che compriamo. Una volta ogni tre mesi presentiamo a lui direttamente tutte le pietre in opzione – Burke le osserva e approfondisce con me il dettaglio, pietra per pietra. 

Il taglio Louis Vuitton per i diamanti: un brevetto

In gioielleria, si riconosce a Vuitton una supremazia in materia di taglio dei diamanti.

Un diamante può essere comprato a Canal Street, a New York o da Tiffany; non puoi sapere che diamante è a meno che non ci si mette a guardarlo al microscopio, per testarne la qualità. Il fatto di possedere un nostro taglio Vuitton, brevettato e protetto, significa che un diamante Vuitton è riconoscibile nell’immediato. Riuscire a fare un taglio così complicato in termini di ingegneria, richiede anni. 

Il progetto di questi tagli è indicato e suggerito da te?

Al mio arrivo in azienda, c’era solo l’idea ma non era calibrata in un progetto. Io ero determinata su questo argomento. Con costanza, ho dato insistenza alla direzione e al nostro centro gemmologo per allocare le risorse e il tempo a una definizione di un nostro taglio patentato che solo noi da Vuitton potessimo eseguire.

Che cosa rappresenta per Vuitton l’alta gioielleria? 

Al di là dei risultati commerciali, si tratta di un progetto di brand elevation.

In questi anni di comunicazione digitale ossessiva che compromette la brand reputation, è sufficiente prevedere una brand elevation in gioielleria?

Abbiamo aperto a Place Vendôme il negozio dedicato alla gioielleria. In tanti anni che lavoro nel settore, è la prima volta che i miei gioielli sono esposti in Place Vendôme – anche se nella pratica questo non è ancora successo – perché i gioielli arrivano al quinto piano per la vendita al cliente e non fanno in tempo ad arrivare in vetrina perché l’acquisto è già concluso.

Francesca Amfitheatrof – tra creatività e impegno civile

Ti senti libera di creare e di fare gioielli?

Io ho un tema, un concetto per la collezione. Vado da Michael Burke, gli presento alcune immagini, due o tre pagine – dopo sei mesi torno da lui e gli presento 150 pezzi.

Come lavori?

Divido la collezione in capitoli, rendendola più drammatica o più morbida. Mi comporto come un curator. Ho un team di sei designers ora, siamo in sette inclusa me, e lavoriamo dividendoci i capitoli. Ognuno ha due capitoli. Dopodiché, sta a me assicurarmi che tutti quanti stiano seguendo una identità coerente: dal triangolo, alle forme geometriche, al posizionamento delle pietre. Io sono ossessionata dalle proporzioni.

Pensi che ci sia ancora bisogno di dare forza alle donne? 

In passato ho avuto esperienze professionali con uomini abituati a manipolare le donne.

Per l’oro e i diamanti esistono certificazioni riconosciute a livello sovranazionale – per le gemme colorate no. Quale potrebbe essere una soluzione?

Stringere relazioni con le fonti dirette, cercare la fiducia dei dealers, una fiducia reciproca. Non ha senso parlare di NFTs e tecnologia di tracciabilità, se prima non si cerca la fiducia. La fiducia umana rimane il primo sforzo, il primo impegno.

Potrà, dovrà, essere comunicata una responsabilità da parte del mondo del lusso? O meglio ancora: l’unica definizione di lusso potrà essere la responsabilità totale della propria filiera produttiva?

Io non capisco come alcune case possano ancora usare corallo. Io lo considero come l’avorio. Non bisogna usarlo. Ci sono degli obiettivi che dobbiamo raggiungere come industria, tutti insieme. 

Pensi che sia possibile un dialogo con tutte le case? 

Assolutamente sì, dovrà esserci. 

Louis Vuitton Alta Gioielleria

Il dipartimento è a cura di Francesca Amfitheatrof, nel ruolo di direttore creativo.

Nata da madre italiana e da padre americano di origine russa, Francesca Amfitheatrof, diplomatasi alla Central Saint Martin, ha collaborato con Karl Lagerfeld per Fendi e Chanel. Prima del suo incarico da Louis Vuitton, ha lavorato come direttrice creativa di Tiffany & Co.

Carlo Mazzoni

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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