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Elogio del Vetiver, la pianta ingegnera che combatte l’erosione del suolo

Il Vetiver sopravvive a tutte le temperature e pulisce il suolo dall’inquinamento. Con le sue radici previene il dissesto idrogeologico, i suoi oli essenziali servono l’industria dei profumi

Vetiver: l’origine della pianta

È originaria dell’India, ma con la sua capacità di tollerare situazioni ambientali estreme potrebbe essere nata ovunque – sa sopravvivere nelle zone paludose dell’Africa, nell’umidità dei tropici e nel freddo d’Europa, ben sopra o al di sotto degli zero gradi. Si chiama Vetiver, ed è conosciuta come la pianta ingegnera. Il reticolo delle radici la rende in grado di prevenire il dissesto idrogeologico e l’erosione del suolo. Ne viene estratto uno degli oli essenziali più utilizzati nell’industria dei profumi. Vetiver è abbreviazione della parola tamil ‘vettiveru’, anche se in altre parti dell’India è chiamata ‘khus’. Grazie alla sua struttura fibrosa, nella penisola indonesiana di Java – dove è coltivata da secoli – era utilizzata dalla popolazione come tessuto per intrecciare tende delle abitazioni e per ripararsi dal caldo. 

Marco Forti, fondatore di Vetiver Italia ed estimatore della pianta cui ha dedicato venticinque anni di studi, racconta di come è nato quello che in ingegneria è definito sistema Vetiver: «India, anni Ottanta. Un team di agronomi si riunisce per studiare come costruire una ferrovia su un terreno erodibile. Pensano al Vetiver: lì cresce spontaneo. Così nasce il suo design applicativo che previene dissesti ed erosioni del suolo. Le radici della pianta sono fascicolate: si uniscono in serie di filamenti sottili ma resistenti e omogenei che riescono a penetrare in qualsiasi tipo di terreno, arrivando a una profondità anche di cinque metri», spiega Forti. «Al contrario di molte altre specie in botanica, le radici del Vetiver non crescono in orizzontale ma in verticale. Mettendo a dimora una serie di piante una a fianco all’altra, le loro radici si uniscono. Imbrigliano il terreno creando una barriera. Una serie di file parallele di Vetiver piantate su un pendio riesce ad aumentarne la capacità di resistenza. Quello che viene a crearsi è un sistema di protezione del terreno a basso costo che non necessità di alcuna manutenzione. Si riesce a fare in fretta: la pianta cresce in circa quattro mesi». Così il Vetiver riesce a proteggere il terreno da smottamenti causati da forti piogge e agenti atmosferici in generale: le sue radici, il cui aspetto qualcuno paragona a capelli d’angelo, hanno un coefficiente di resistenza pari a un sesto di quello di acciaio di media qualità.

Vetiver: pianta ingegnera

La naturale capacità di stabilizzazione del terreno ha fatto di questa pianta una protagonista strutturale del sistema di opere pubbliche in Oriente. In Vietnam è stata scelta per i lavori di messa in sicurezza della Ho Chi Minh Highway, arteria che per 3mila chilometri taglia il Paese da nord a sud- collegando la provincia di Thanh Hoa a quella di Kortum. In alcuni suoi segmenti la strada è adesso circondata e protetta, a destra e a sinistra, da terrazzamenti di Vetiver. In Cina l’uso che le autorità statali ne fanno va oltre l’ingegneria naturalistica. «Nel tempo è stata studiata a fondo la capacità del Vetiver di tollerare l’inquinamento chimico nel terreno», racconta Forti. «Si è scoperto che riesce a sopportare un campo di ph quasi completo: da 3.5 a 10.5 – cioè anche in zone minerarie con un alto livello di inquinamento». Grazie alla sua capacità di resistere e metabolizzare materiali come azoto, potassio, fosforo, idrocarburi e metalli pesanti, in Cina è utilizzato per limitare l’impatto ambientale di siti inquinati come le discariche. Lo stesso in Australia, dove è impiegato nello smaltimento di acque reflue o nella gestione di percolati nocivi. Il processo si chiama fitodepurazione e consiste nel degradare, estrarre o immobilizzare i contaminanti presenti nel suolo e nelle acque attraverso specie vegetali viventi. 

Vetiver in Italia

In Italia le capacità ingegneristiche del Vetiver sono conosciute ma poco utilizzate. Se ne ha traccia visibile a Roma, presso i Fori Imperiali, dove aiutano le pendenze collinari a non franare sulla strada. In altri campi, come quello scientifico, il suo impiego è ostacolato dal punto di vista legale: «Nel nostro Paese – spiega Forti, che ha partecipato a studi e ricerche con Università estere – i percolati di discarica devono essere estratti dal terreno e smaltiti in luoghi e con modalità conformi alla normativa vigente. Questo impedisce di servirsi della pianta allo stesso modo che all’estero, dove il Vetiver è direttamente irrorato nel terreno per lo smaltimento del percolato. Ci sono poi problemi di diverso ordine, come la mancanza di fondi per le ricerche, che rende più difficile arrivare a risultati».

Marco Forti ha scoperto il Vetiver nel 1996. I pastori di Sardegna protestavano per l’abolizione di una serie di sussidi per la produzione del latte di pecora. Cercando un modo per aiutarli economicamente, studia questa pianta: «Oltre alla funzione di controllo della superficie, è anche un foraggio. Fornisce una base di alimentazione che va poi integrata con ulteriori nutrimenti, ma ha una buona massa di volume. Consente di abbattere i costi: un tema non secondario per la pastorizia. Quello che mi ha catturato del Vetiver», prosegue Forti, «è la sua generosità. Se piantata nelle vicinanze di coltivazioni di altre specie, attiva, conserva e favorisce lo sviluppo della microbiologia del suolo. Prendiamo ad esempio i terreni usati per le monoculture, come quelle del mais. Se i campi non sono lavorati e non sono presenti radici di diverse specie, nel tempo si perdono le popolazioni di composizioni batteriche che compongono il microcosmo del suolo. Il Vetiver funziona come banca microbiologica, favorendo la proliferazione di popolazioni di batteri utili a produrre nutrimento per gli altri abitanti dello stesso terreno. È anche capace di proteggere altre specie da parassiti infestanti. È stato studiato il comportamento delle larve di piralide, uno dei principali fitofagi del mais, miglio e riso. Il 90% di queste ha preferito attaccare il Vetiver e non le coltivazioni vicine. Le sue foglie sono ricoperte di peluria e per le larve era poi difficile muoversi. Una volta cadute dalla pianta, quasi la totalità di queste moriva, senza arrivare mai al mais». La pianta fa fiori, ma è sterile. «La germinabilità dei suoi semi è vicina allo zero, come dimostrano gli studi dell’United States Department of Agricolture. Può essere inserita in qualsiasi ambiente senza che lo infesti», spiega Forti. È passiva nel rapporto con specie più ruvide: «Non combatte per la propria sopravvivenza. Spesso si fa sopraffare da altre piante».

Vetiver per profumo: caratteristiche

Il Vetiver è protagonista da tempo nella produzione di profumi. Già secoli fa nelle loro terre natìe le radici della pianta erano utilizzate per profumare gli interni delle case. Spruzzandole con acqua, sprigionavano l’odore della pianta, rinfrescando l’aria: un antesignano dei deodoranti per ambienti. Oggi, l’olio essenziale di Vetiver è uno degli ingredienti più diffusi che vanno a comporre fragranze artigianali o prodotte su larga scala. «Si estrae dalle radici attraverso la tecnica della distillazione a vapore. Ha la caratteristica di essere poco volatile: agisce come base per costruire i profumi combinandolo con altre essenze meno volatili. Agisce come fissativo»

Il processo di distillazione richiede tempo e costi. Serve manodopera, perché le radici devono essere estratte dal suolo. Per distillare l’essenza sono necessarie circa ventiquattro ore e per un solo chilo di olio essenziale occorrono in media 150 chili di radici essiccate. Il prodotto che si ottiene a lavorazione finita, viscoso, dalle tonalità ambrate e dal carattere mascolino, avrà sfumature diverse a seconda del territorio in cui è cresciuta la pianta. L’essenza base che si ottiene sarà secca, dal sentore legnoso e affumicato, con accenti nocciola e non invadente. Ogni varietà ha il suo tono. Alcuni – come quelli cresciuti nei Caraibi, dove la pianta è stata importata nel diciottesimo secolo – sono più fioriti, altri – come quelli estratti in Indonesia – più ruvidi, altri ancora più rosati. «L’India è il Paese numero uno al mondo per l’applicazione del Vetiver nel campo dei profumi, perché incentiva lo studio delle diverse varietà della pianta, in modo da poterne estrarre le più diverse fragranze», spiega Forti. Il potenziale applicativo, ed economico, del Vetiver in cosmesi non si limita alla creazione di profumi. È incorporato in creme e saponi per le sue proprietà antisettiche, utili per trattare pelli con tendenze grasse e la secchezza del cuoio capelluto. Abbinato alla roseta o all’olio di jojoba è invece per trattamenti anti-invecchiamento. Nella tradizione asiatica il Vetiver è simbolo di forza spirituale ed emotiva. L’azione immunostimolante dei suoi olii, aiutando ad alleviare nevrosi, ansia e spossatezza, lo rese celebre tra i popoli indiani come ‘l’olio della tranquillità’. Forse per retaggio di antiche credenze, ancora oggi è utilizzato per l’aromaterapia.

Vetiver Italia

Non genera semi, non ha potenziale infestante
Altezza compresa tra 1,70 e 2,20m a maturità
Forma fitte siepi quando sistemata in file
Sopravvive a temperature del suolo pari a – 140C

Giacomo Cadeddu

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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