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Il Modello Milano: sempre più verticale, sempre più diseguale

Dalle archistar al caso San Siro: Milano è sempre più verticale, infarcita di icone architettoniche, ma sempre più diseguale ed esclusiva

Milano Verticale: l’architettura di Milano è la rappresentazione plastica delle sue contraddizioni

La statua della Madonnina, posta a 108,5 metri d’altezza sulla guglia più alta del Duomo, è considerata dai milanesi il simbolo della città. Opera dello scultore Giuseppe Perego e dell’orafo Giuseppe Bini, dal 1774 domina e protegge Milano da quello che una volta era il suo punto più alto.
Il primato di ‘vetta più alta’ le è stato sottratto solo nel 1960: il nuovo edificio più alto diventa il Palazzo della Regione, progettato dal maestro dell’architettura Gio Ponti e conosciuto dai cittadini come il Pirellone. Dal 2010 a oggi questo record è cambiato altre tre volte: con il Palazzo Lombardia (2010), la Torre UniCredit (2012) e la Allianz Tower (2015), che detiene attualmente il primato di grattacielo più alto di Milano con i suoi 242 metri (209 metri più l’antenna, che ruba qualche decina di metri).

Il grattacielo come metafora spaziale

La Madonnina è inoltre lo spartiacque che separa le semplici torri dai grattacieli. Oggi troviamo a Milano sedici strutture più alte del Duomo, di cui la metà è stata costruita negli ultimi anni. Se il Grattacielo Pirelli – insieme ad altre strutture come la Torre Breda e Torre Galfa – rappresentava il boom economico e demografico del Secondo Dopoguerra, quelli eretti dal 2010 in poi indicano una nuova fase di rinnovamento, modernizzazione ed espansione urbana tutt’ora in corso.

La crescita in verticale di Milano è la metafora spaziale dei cambiamenti repentini, delle ambizioni e delle energie di una città che negli ultimi anni sembra non volersi fermare mai. Milano è sempre più sicura di sé – a tratti arrogante – certa della sua centralità e di essere protagonista di relazioni e interconnessioni internazionali. Milano è una città-stato, un modello da seguire, la metropoli delle opportunità, la guida economica del Paese: il Duomo, la Scala, le Olimpiadi Invernali, il suo skyline, la moda, la finanza, il lavoro, l’arte, il dinamismo.

Il Modello Milano e la sua auto-rappresentazione architettonica

Nel saggio “Modello Milano? Una ricerca su alcune grandi trasformazioni urbane recenti”, l’architetto e ricercatore Alberto Bortolotti propone una visione allargata della metropoli. Questa concezione «è prodotta non solo da un’analisi dei flussi e delle reti presenti, ma avvalorata dalla prospettiva assunta da alcuni istituti di rating quali il McKinsey Global Institute Cityscope, il quale considera la città di Milano non tanto nei suoi confini amministrativi, quanto più inglobando l’intera regione urbana, definendo un vero e proprio “sistema policentrico” ospitante quasi 8 milioni di abitanti, con un PIL complessivo stimato di 358 miliardi di dollari.»

Questo modello accentratore, capace di risucchiare persone, energie ed economie dal resto del paese, restituendo poco o nulla, ha scelto l’architettura come uno dei principali strumenti di auto-rappresentazione e di legittimazione: manifesto di una città e di un paesaggio che muta, strumento per la creazione di place-making e generatore di immaginari innovativi. In città sono presenti masterpieces di ben 15 architetti che hanno ricevuto il Pritzker Prize, il premio più ambito in ambito di architettura: dalla Fondazione Prada di Rem Koolhaas al nuovo campus Bocconi di SANAA, dalla sede della Mondadori di Oscar Niemeyer alla ristrutturazione di Palazzo Citterio di James Stirling.

Dylan Dog, Groucho e il Bosco Verticale

Ma al di là della qualità architettonica e delle onorificenze ricevute, l’edificio che meglio rappresenta il “Modello Milano” è il Bosco Verticale di Stefano Boeri. In un recente articolo su La Repubblica, che celebra l’ottavo compleanno delle due torri rivestite di verde, l’architetto afferma: «Ho capito che il Bosco Verticale era diventato importante, non quando ha vinto il premio come miglior grattacielo del mondo, ma quando, pochi mesi dopo, ho ricevuto dal grande Giuseppe Montanari questa immagine di Dylan Dog e Groucho (il loro primo fumetto uscì esattamente 36 anni fa) che guardano perplessi questa strana, bizzarra casa alta per alberi, umani e volatili nel cuore di Milano

Il Bosco Verticale è menzionato da La Settimana Enigmistica ed è diventato uno dei quesiti del Taboo. Il marchio “Gallo” lo ha raffigurato nelle sue calze colorate ed è possibile costruirne un modello in scala con i mattoncini Lego. È diventato un’icona pop, di cui le qualità architettoniche e l’impatto ecologico (nonostante il nome) sono irrilevanti. Il Bosco Verticale è il progetto architettonico perfetto per la città del marketing. Capito il potenziale immaginativo della sua opera, Boeri stesso ha riconvertito una buona parte del suo lavoro in ottica green, con progetti a diverse scale venduti in tutto il mondo: dalle Vertical Forest di Eindhoven e Huanggang al Bosco Navigli, dalla Floating Forest alla cucina Oasi.

Oltre l’iconico, la complessità

Messa in secondo piano dalle icone architettoniche esiste un’altra città, più complessa e articolata rispetto alle parole e alle immagini con cui viene spesso rappresentata. La maggior parte delle operazioni di riqualificazione che mettono al centro le architetture pregiate finiscono per espropriare gli abitanti dei loro quartieri, che vengono dati in pasto a chi si può permettere il nuovo stile di vita imposto alla zona. Intervistato da Arianna Preite sul magazine online The Submarine, Gabriele Rabaiotti, ex Assessore alle Politiche sociali e abitative del Comune di Milano (dal 2016 al 2021), offre una prospettiva molto chiara:

«la città si è trasformata negli ultimi anni per impulso della proprietà privata e degli sviluppatori privati. Tutti abbiamo capito che per poter saldare la città e renderla compatta non serve curarsi del suo nucleo, che a quel punto resta comunque debole perché disgregato, ma delle sue componenti deboli, e a farlo dobbiamo essere noi del settore pubblico, non i privati. Non vanno perse le case popolari, vanno tenute e soprattutto mantenute: costituiscono un patrimonio importante, in media ne abbiamo già il doppio delle altre città italiane e dobbiamo cercare anche nello sviluppo privato di non essere timidi nel chiedere restituzione pubblica. Questo vuol dire pretendere case, servizi, spazi pubblici di valore, anche non prossimi alle aree più sviluppate ma proprio laddove sorgono quartieri più densi di elementi di fragilità.»

Il bluff della presunta superiorità antropologica

Una critica brillante e audace del Modello Milano, che non riguarda solo le trasformazioni urbane ma soprattutto il loro impatto sulla vita quotidiana dei milanesi, la dà Michele Masneri su Il Foglio: «Micidiali periferie con microclimi lagunari sono vendute a 4/5 mila al metro [quadro, ndr], famigerati scali ferroviari vengono sottoposti a biechi ripristini da parte di primarie archistar mondiali ad attirare incauti forestieri in rigenerazioni urbane velocissime. Chi ha casa se la affitta su Airbnb nelle innumerevoli week e va a stare da amici. C’è un problema di spazio, fisico e metafisico, come ti raccontano gli imprenditori che tentano di aprire a Milano.» Il giornalista si diverte a rivelare il bluff di una presunta superiorità antropologica di Milano, evidenziandone diversi risvolti tragicomici («manager che incontri agli aperitivi in terrazza e poi vivono nelle stanze a Lambrate con tre coinquilini»).

Il caso San Siro

La trasformazione che forse meglio rappresenta la complessa condizione politica e urbana di Milano è legata al nuovo Stadio San Siro. In queste settimane assistiamo a un acceso dibattito pubblico che coinvolge le società calcistiche interessate, l’amministrazione comunale e vari comitati civici milanesi.

In un comunicato pubblico, la Rete dei Comitati della Città Metropolitana di Milano, che dal 2019 si battono unitamente per la difesa del suolo e dei beni comuni, afferma: «ci troviamo di fronte all’ennesimo attacco al patrimonio pubblico cittadino per favorire il profitto privato, con una operazione immobiliare che avrà pesanti conseguenze sia ambientali sia sociali in termini di gentrificazione e conseguenti ripercussioni sul diritto all’abitare e sul costo della vita in particolare nello storico quartiere di case popolari di San Siro

I principali timori pubblici sono legati in particolare alla cessione di 280 mila metri quadri di suolo pubblico a dei privati per un investimento che prevalentemente immobiliare. Oltre a rinnovare (o ricostruire) lo stadio, le società vorrebbero realizzare due grattacieli per uffici, un altro grattacielo che serva da hotel, un centro congressi, due centri commerciali e un ulteriore edificio.

Governare gli interessi privati a favore del pubblico

Il progetto presentato dalle due società calcistiche – che sono di proprietà di un fondo d’investimento statunitense (il Milan) e di una holding cinese (l’Inter) – contribuirebbe ad aumentare notevolmente il loro valore economico. Questo aspetto è particolarmente citato da chi teme speculazioni, in quanto le due proprietà potrebbero trarre grandi benefici da eventuali cessioni future.
Il Dibattito Pubblico promosso dal Comune di Milano si concluderà il 18 novembre 2022, dopodiché verrà presa una decisione sul destino dell’area. L’esito di questa vicenda sarà un indicatore importante sulla direzione degli sviluppi urbani, se verso un ‘diritto alla città’ per molti o se nell’interesse di una cerchia sempre più ristretta. Si capirà allora  le reali capacità delle istituzioni cittadine di governare gli interessi privati, e di pianificare una città inclusiva, cioè capace di investire su casa, ambiente, educazione e integrazione, invertendo la rotta rispetto alla tendenza corrente.

Salvatore Peluso

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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