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Lampoon, America Latina, fratelli D'Innocenzo
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Nel disordine non può esistere uno stile – i fratelli D’Innocenzo raccontano America Latina

«Un uomo costretto a mettere in discussione la propria identità. Il film è una fotografia impietosa del maschio. Emerge una mascolinità tossica, di cui siamo vittime e carnefici»

America Latina – Fabio e Damiano D’Innocenzo

Quello mostrato da Fabio e Damiano D’Innocenzo è un mondo abitato da un’umanità in caduta libera. I due registi gemelli del cinema italiano dosano un umorismo che solo in apparenza esprime critica sociale. Perché – come hanno detto già nel 2018 in occasione della presentazione del primo film, La terra dell’abbastanza, e poi a Berlino, due anni dopo, quando vinsero l’Orso d’Argento per la Migliore Sceneggiatura con Favolacce«non abbiamo alcun messaggio»

«Abbiamo un pensiero su ciò che non funziona nel nostro Paese, ma non ci interessa la sociologia né al cinema né nella vita», dichiarano. «Il nostro interesse è raccontare storie non locali e l’Italia, anche in questo film, ha un ruolo puramente fisico, senza incidere nella narrazione»

Il film di cui parlano è America Latina. Presentato in concorso all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è uscito ora nelle sale italiane per Vision Distribution. «Fin dal titolo prendiamo le distanze da qualsiasi forma di aderenza tra storia e geografia. Siamo fisicamente a Latina, ma il nostro è un non-luogo, potremmo essere ovunque»

America Latina: location e tecniche di ripresa

Complice è anche la villa bianca in cui è ambientata la storia. Domina una rampa che ha la stessa tonalità di azzurro delle finestre, ma non della piscina – sporca e tendente al verde. Con quella sua forma ci fa pensare per un attimo di essere a Bel Air, ma è solo illusione. Dentro la villa, in quell’ambiente ovattato, si aggira un dentista – Elio Germano – con la sua famigliola ideale composta dalla moglie Alessandra – Astrid Casali – e dalle due figlie – Carlotta Gamba e Federica Pala –, vestite di bianco. 

In un formato panoramico, i due registi cercano una distanza, quasi un’astrazione. Alternano piani sequenza a riprese da dietro i vetri. Lasciano intravedere mobili, lampade, tappeti e altri complementi d’arredo. Volti riflessi nel brodo, contro luci notturne. Primi piani sfocati dall’alto o ripresi in perpendicolare sotto la doccia, così che le gocce possano sembrare scorrere in orizzontale. La quotidianità del protagonista è inquietante e piccole inverosimiglianze mostrano l’irruzione di una dimensione quasi fantastica. Finché in cantina l’uomo non scopre un segreto terribile che non possiamo né vogliamo svelare.

America Latina: il plot

Quel dentista di successo si chiama Massimo Sisti e ha tutto, ma da un momento all’altro, «l’assurdo – come lo definiscono i D’Innocenzo, autori anche della sceneggiatura – si impossessa della sua vita». Da lì costruiscono una storia di soffocamento e di claustrofobia realizzata con un linguaggio visivo volto a esprimere al meglio quelle sensazioni. Facendo in modo che «non sia lo spettatore a guardare una mosca intrappolata in un bicchiere, ma sia lo stesso spettatore quella mosca intrappolata»

Per tentare di raggiungere questo obiettivo drammaturgico, i due fratelli hanno adoperato lenti con una scarsa profondità di campo. Hanno dipinto le pareti della casa con tinte omogenee e forti per ricordarne sempre la presenza e usato camera-angles disarmonici. Hanno combinato l’uso della macchina a mano con linguaggi più statici per non dare punti di riferimento stilistici. «Nel disordine non può esistere uno stile – aggiungono –, pertanto anche noi abbiamo precisamente rinunciato a qualsiasi vezzo formale».

Nel frattempo, il mistero avanza e va ad intrecciare figure e sensazioni, violenza e amore, sbagli, follia e coscienza. Quella casa borghese diventa una dimensione ‘altra’ dove niente è come sembra e le pareti che la proteggono dall’esterno sono il simbolo delle nostre paure e delle nostre contraddizioni, di una quotidianità che inganna e disorienta. Il senso di angoscia che trasmette è costante così come il disagio che si incarna nei volti e nei luoghi dell’orrore di un quotidiano impalpabile volto a farci scoprire quanto orrore possa esserci in una situazione come quella. 

I fratelli D’Innocenzo spiegano America Latina

«Abbiamo scelto di raccontare questa storia perché era quella che ci metteva più in crisi come esseri umani, come narratori, come spettatori. Una storia che sollevava domande alle quali non avevamo risposte che non si contraddicessero l’una con l’altra. Interrogarci su noi stessi è la missione che il cinema ci permette e America Latina prende alla lettera questa possibilità. Racconta di un uomo costretto a rimettere in discussione la propria identità. Il film è una fotografia impietosa del maschio. Emerge una mascolinità tossica, di cui siamo vittime e carnefici al tempo stesso».

America Latina: l’uso della luce

Nel film tutto è scuro, soprattutto in quella cantina sporca e piena di rifiuti. Ma cercare di andare e cercare di vedere oltre, è più che mai necessario. La luce è un sentimento che se innalzato al suo contrario, è ancora più significativo. America Latina è un film sulla luce. I fratelli D’Innocenzo – che in questi giorni tornano in libreria con Trilogia (La nave di Teseo) – hanno scelto il punto di vista privilegiato dell’oscurità per osservarla divenendo così portatori di film, compreso questo, che «si fanno propaganda della felicità»

«Anche i nostri due film precedenti raccontano storie di famiglie, di senso di appartenenza, di sangue, ma non ci eravamo mai addentrati così a fondo nel tema. Abbiamo scelto così la via a noi più rischiosa: la dolcezza». La stessa, anche quando non si vede, c’è assieme a tutte le sue estreme conseguenze, perché è inserita senza mai essere esibita allo stato puro in un film dove a dominare è l’istinto. La storia, anche se non è semplice da seguire, può essere interpretata da chiunque come meglio creda. 

America Latina 

prodotto da The Apartment, Vision Distribution, Le Pacte e Sky Italia

Giuseppe Fantasia

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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