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Il nuovo Teatro Lirico Giorgio Gaber: il palco popolare di Milano

«Non vogliamo parlare solo alle signore in pelliccia»: Matteo Forte racconta il nuovo Teatro Lirico di Milano. Difficoltà e speranze di un business «da svecchiare»

Teatro Lirico Giorgio Gaber: intervista al direttore Matteo Forte

«Non vogliamo parlare solo alle signore in pelliccia che vanno a vedere l’opera, ma anche ai ragazzi, agli studenti e ai giovani lavoratori». Matteo Forte, manager alla guida del Teatro Lirico di Milano, sintetizza così quella che sarà l’offerta e la strategia di una delle roccaforti della cultura milanese. Il Teatro di via Larga 14, chiuso nel 1999, ha riaperto lo scorso dicembre, dopo lunghe operazioni di restauro.

A vederlo, architettonicamente, è più o meno lo stesso di quando era calato il sipario. La gestione è però molto diversa. Lo avevamo salutato che era nelle mani del Piccolo Teatro Grassi e Strehler. Lo abbiamo ritrovato in quelle della multinazionale olandese Stage Entertainment, di cui Forte – già guida del Teatro Nazionale di Milano – è managing director per l’Italia. Lo stacco con il passato sembra netto: un palco affidato per decenni alla gestione pubblica è adesso di privati. Il carattere del Teatro, dice Forte, è invece lo stesso che ha sempre avuto. Quello di un luogo popolare, per tutti. 

Era l’agosto del 1779 quando a Milano si aprivano le porte di quello che veniva chiamato Teatro della Cannobiana. Fu voluto dall’Arciduca Ferdinando d’Austria, che ne commissionò la pianificazione a Giuseppe Piermarini, lo stesso architetto che lavorò al Teatro alla Scala. La città avrebbe così avuto due palchi. Uno più nobile, nei pressi della corte vicino all’ormai sconsacrata chiesa di Santa Maria alla Scala, e uno popolare, vicino alle Scuola Cannobiane. La guida del secondo passò negli anni in varie mani.

Lo gestì il Comune, poi l’editore musicale Edoardo Sonzogno, che gli dà il nome di Teatro Lirico Internazionale. Poi tornò al Comune, che lo diede in concessione a un’altra istituzione milanese, il Piccolo di Brera. Qui Benito Mussolini pronunciò il suo ultimo comizio nel 1944. Chiuso nel 1999, nel 2003 fu ribattezzato Teatro Lirico Giorgio Gaber. Stage Entertainment vince la gara per la gestione nel febbraio 2017. Arrivano i ricorsi, vinti definitivamente nel 2019. Poi la pandemia da Covid-19 e l’amianto nella struttura da bonificare. Fino alla riapertura.

Teatro Lirico Giorgio Gaber: spettacoli

«Dal punto di vista artistico sono molti gli aspetti che avvicinano il Teatro a quello che ha chiuso 22 anni fa. Vogliamo che sia un posto e un’occasione per avvicinare la cittadinanza al teatro. Ovviamente, ci sono aspetti che distinguono la nostra dalla precedente gestione. L’identità è differente rispetto a quella che aveva quando era sotto il Piccolo di Brera, differenti sono le nostre esigenze», racconta Forte. Stage Entertainment punta a «offrire un ventaglio di spettacoli molto diversi tra loro». Lirica, prosa, danza, comicità, musica jazz, pop, rock. L’obiettivo è quello di alternare produzioni diverse che siano al contempo «facili». Popolari, appunto.

La riapertura, sottolinea Forte, è andata bene. Già a partire degli open day dello scorso dicembre: «Oltre 10mila milanesi sono venuti solo per rivedere un edificio storico della città riaperto al pubblico». Il primo spettacolo è stato Comincium, del duo comico – molto popolare e molto milanese – Ale e Franz. Altri nomi scelti sono quelli di Pif, Virginia Raffele, i Tiromancino. La prima opera che andrà in scena al Teatro Lirico sarà una versione de La Bohème di Giacomo Puccini «fatta da studenti», quelli della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado, della Civica Scuola del Teatro Paolo Grassi, della Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti e dell’Accademia di Brera.

Rimarca Forte, «Non sarà confrontabile con una Bohème che può salire sul palco de La Scala. Non vuole esserlo». Le produzioni che verranno ospitate dal Lirico saranno «una tipologia di spettacoli accessibili, sia per scelte dell’opera che per quanto riguarda il costo dei biglietti. L’idea è di diventare uno spazio aperto a tutti, che riesca a coinvolgere generazioni lontanissime dal mondo del teatro, perché la maggior parte dell’offerta è impegnativa, culturalmente ed economicamente, spesso non in linea con i gusti dei ragazzi».

L’ambizione di Stage Entertainment è di riuscire a vendere biglietti a persone che frequentano il Teatro perché «veramente interessate». Per farlo si sta anche pensando di collaborare con altre grandi istituzioni milanesi. «Ci piacerebbe organizzare mostre temporanee insieme al Museo della Triennale, il Museo del Novecento, la Galleria d’Arte Moderna o il Mudec. Magari con una parte di mostra da noi e un’altra nei musei. Pensiamo all’arte e alla cultura in generale, con presentazioni di libri ed esibizioni musicali anche fuori dal palcoscenico, al bar del primo piano».

Teatro in Italia, business e criticità

Guardando al di là del Lirico, Forte riflette: «Uno dei problemi del teatro in Italia è che è ancora oggi un settore con barriere all’ingresso fortissime, polveroso, poco divertente. Noi, come Stage Entertainment, stiamo provando a svecchiarlo un po’. Abbiamo portato spettacoli ‘semplici’ come Pretty Woman o Mamma Mia!. Non stiamo parlando di Pirandello, è vero. Consentono però di portare una famiglia a teatro, un po’ come se andasse al ristorante. È un modo di fare cultura? Per noi sì: non attraverso il contenuto, ma tramite il contenitore. Per questo al Lirico portiamo La Bohème e non, ad esempio, L’incoronazione di Poppea. Le persone non abituate al teatro sono più invogliate a dargli una chance. Magari piacerà e torneranno a vedere altri spettacoli, magari anche L’incoronazione di Poppea». 

L’approccio manageriale rispetto al teatro che funziona in Italia è molto diverso da quello di altri Paesi. «In altri Stati – spiega Forte – sono diffusi modelli di business come quelli di Broadway o del West End londinese. Lì si punta molto sulle grandi produzioni, che siano repliche acquistate a licenza – come Il Re Leone – oppure messi in piedi da zero. Vengono investiti milioni o anche decine di milioni di euro per alcuni show, che restano in scena almeno un’intera stagione. Ad Amburgo è da 15 anni che si va a vedere Il Re Leone. In Italia non funziona. Le città sono più piccole, la gente ha altri interessi: spendere meno, vedere cose varie. L’approccio è necessariamente diverso».

C’è poi il problema di riuscire a far quadrare i conti: «Le strutture che guadagnano sono pochissime. Le marginalità dei teatri sono molto basse, serve che le istituzioni lo capiscano». Un grande scoglio al momento è la crescita esponenziale del costo delle bollette, che rischia di «far cadere nel vuoto il sistema di sostentamento della rete di teatri».

L’applicazione HeArt

Al timone di due dei più conosciuti teatri di Milano e dentro un’azienda globale come Stage Entertainment, Forte conosce il teatro come poche altre figure in Italia. In passato ha ricoperto cariche manageriali in società come Tre e Fastweb. «L’approccio al mercato e la sua analisi non sono diversi per il teatro e altri settori. Stage, invece che vendere telefoni, vende spettacoli. Anche da un punto di vista di contenuto, come per Tre e per Fastweb, punto all’innovazione», racconta.

Il vero cambiamento è stato dover «imparare ad avere a che fare con gli artisti e con la loro sensibilità unica. A teatro non c’è mai menzogna, è tutto reale. Chi ci lavora ha una caratura inconfrontabile, è tutto live. Rispetto al cinema e alla televisione, è un mondo pulito, con meno nepotismi e scorciatoie». Anche per questo Forte ha lanciato la piattaforma social heArt, «uno spazio digitale dove artisti – pittori, fotografi, registi, attori – possono esprimersi ed entrare in contatto con aziende e produttori per eventuali progetti». L’app, lanciata lo scorso agosto, ha quasi raggiunto i 60mila utenti, tra imprese e artisti.

Lanciata nell’agosto 2021, HeArt è un’applicazione che vuole aiutare gli artisti a esporsi attraverso una vetrina digitale. Gli utenti sono anche imprese e aziende di produzione di spettacoli e gallerie d’arte, che possono entrare in contatto con gli artisti stessi.

Giacomo Cadeddu

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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