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Canapa per bioplastiche e come essenza per candele

Le bioplastiche oggetto di ricerca per Policanapa, Parla Vincenzo Guarnieri, ricercatore in materia di bioplastiche e stampa 3D

Le plastiche biodegradabili

I biopolimeri naturali sono biodegradabili, mentre le modifiche chimiche possono portare a una non biodegradabilità. Accade che i test di biodegradabilità siano svolti in laboratorio, alla presenza di condizioni assenti in natura, o la cui formazione richiede molto tempo. Senza degli impianti appositi, anche le plastiche biodegradabili e/o compostabili potrebbero finire nel sistema di riciclo della plastica tradizionale. Tra le possibili soluzioni del problema scaturito dall’eccessivo utilizzo della plastica, ce n’è una che coinvolge l’impiego degli scarti della canapa industriale per produrre plastiche biodegradabili. La canapa è una pianta che richiede poca acqua per essere coltivata, non necessita di sostanze chimiche, arricchisce il terreno e assorbe CO2 dall’atmosfera. Oggi gli scarti di lavorazione della canapa sono la base per un polimero di bioplastica biodegradabile, simile all’acido polilattico (PLA), prodotto in Italia e utilizzato nelle stampanti 3D.

Policanapa

Vincenzo Guarnieri, ricercatore in materia di bioplastiche e stampa 3D, attivo nel settore della canapa industriale dal 2015, ha fondato a Milano la società di ricerca Policanapa. «Policanapa nasce come punto di partenza per una ricerca sulla produzione di materiali rinnovabili nell’industria. Io e i miei colleghi volevamo inizialmente sviluppare un macchinario che potesse separare la fibra dal canapulo nella pianta di canapa». Oggi Policanapa vuole creare una filiera corta della canapa italiana. «Sviluppiamo capacità tecniche, macchinari e ricerca per permettere la creazione di una filiera, che vada dalla produzione del seme alla realizzazione del prodotto finale», spiega Guarnieri, che puntualizza: «Occorre creare una domanda e contestualmente innescare un miglioramento delle capacità tecniche di recupero del suolo».

La prima ricerca portata avanti dal team di Policanapa riguarda una materia prima utilizzabile per la produzione di bioplastica per la stampa 3D. La canapa potrebbe avere capacità performative uguali alla plastica da petrolio, ma la ricerca è in itinere. La produzione di bioplastiche, soprattutto di PLA, è fattibile. «Una società chiamata Polipo, nata grazie all’Istituto Italiano di Tecnologia, ha brevettato una metodologia per sviluppare i biopolimeri. Il recupero della cellulosa dagli zuccheri avviene attraverso produzione microbiotica, oggi seguita dall’azienda chimica Novamont. I microrganismi vengono fatti ingrassare con degli oli insaturi, poi separati dalla parte di grasso, che è il PHD, ovvero la bioplastica». Tra gli oli insaturi utilizzati c’è quello di oliva o di semi, ma lo stesso risultato potrebbe essere ottenuto impiegando anche l’olio di canapa.

La separazione della canna di canapa

L’attività di Policanapa si concentra anche sulla realizzazione di macchinari per la coltivazione e la trasformazione di prodotti agricoli. «Il primo macchinario sviluppato è la FTK600, una decorticatrice che permette la separazione della canna di canapa intera, non da rotoballe ma a canna dritta, dividendo la fibra lunga e togliendo il canapulo. In entrata si hanno più stecche, che parallelizzate su un nastro vengono separate. In questo modo sia la fibra lunga sia il canapulo sono recuperati, in un’ottica anti-spreco». La pianta è impiegata per la produzione di particolati fini, come tratti di cellulosa. La cellulosa microtizzata è utilizzata per altri prodotti, come la carta. La macchina è progettata per non lasciare nulla di inutilizzato. «Le parti di risulta, come le piccole parti di canapulo, sono ridotte ulteriormente in cellulosa. Gli scarti possono essere utilizzati nel campo come ammendanti nel terreno per la produzione di biocomposti». Procedendo nella ricerca, il team di Vincenzo Guarnieri ha capito che, oltre alla separazione di fibra e canapulo, è necessario anche avere una stecca pulita. «Quando la pianta è tagliata, le radici sono lasciate nel terreno e la stecca è abbastanza pulita, perché fiori e semi sono nella parte apicale. Per l’utilizzo di canapulo e fibra, però, questi materiali sono da rimuovere»

Policanapa, i campi in Abruzzo

La seconda macchina sviluppata da Policanapa è una defioratrice, che permette di separare fiore, seme e foglia senza ridurne le capacità organolettiche. «La macchina agisce a secco, perché a fresco la pianta è resistiva. Inizialmente volevamo separare fiore e seme in campo e lasciare le stecche a terra, ma questo rendeva difficile la produzione e comportava un secondo passaggio in campo. Abbiamo quindi optato per una metodologia unitaria per l’essicazione». Da qui nasce il motto dell’azienda un taglio, quattro raccolti. I campi di Policanapa si trovano in Abruzzo e le varietà di canapa utilizzate sono la Futura 75 e la Santica 27. «Stiamo sviluppando una parte di ricerca per capire quali genetiche sono funzionali a una produzione generalizzata», spiega Guarnieri. A seconda delle necessità la genetica differenzia. «Per produrre fibra tessile ci si orienta su famiglie che hanno fibre differenziate, poiché le capacità tecniche sono diverse». La lavorazione della genetica non cambia. «La macchina è la stessa, l’essicazione e le separazioni con defioratrici e decorticatrici anche. L’impianto è unico e intorno possono orbitarvi diverse produzioni».

Hemp Plastic Company

Policanapa sta orientando la ricerca verso la verifica delle capacità tecniche della pianta per la produzione di cellulosa e altre fibre. «Sono state fatte delle analisi specifiche sull’utilizzo dell’olio di canapa per la predisposizione di resine impermeabilizzanti». Negli Stati Uniti è stata fondata la Hemp Plastic Company, azienda che sviluppa imballaggi in bioplastica flessibile realizzati con sottoprodotti della lavorazione della canapa. Questa azienda produce circa quattrocentocinquanta tonnellate di bioplastica alla settimana. Vincenzo Guarnieri si augura che una innovazione del genere possa essere introdotta anche in Italia. «In un paese storicamente manifatturiero come l’Italia dovremmo avere a disposizione tutti gli strumenti e le infrastrutture per la lavorazione della materia prima, così da avere un prodotto a chilometro zero. Sono necessari investimenti e specializzazioni».

Biocere dalla canapa

Accanto alle bioplastiche, altro impiego della pianta di canapa riguarda l’ambito delle biocere, alternativa all’utilizzo della paraffina nella realizzazione di cere per candele. La paraffina è un sottoprodotto della lavorazione del petrolio ed è bianca e inodore. Uno studio condotto dalla South Carolina State University, nel 2009, ha scoperto che bruciare candele di paraffina può rilasciare emissioni inquinanti. Queste sostanze favoriscono lo sviluppo di cancro, allergie e asma quando inalate e usate frequentemente. Risulta nociva anche la combustione di stoppini di piombo, che la European Candle Association raccomanda di non usare. Tra le principali alternative alla paraffina figurano la cera d’api, secreta dalle api; la cera di soia, derivata dalla soia vegetale e la stearina, un mix di acido stearico e acido palmitico, entrambi provenienti da olii naturali. «Realizzare biocere a partire dalla pianta di canapa è possibile, il problema sono i costi», commenta Vincenzo Guarnieri. «Nel settore alimentare, l’olio di canapa è venduto alla grande distribuzione a circa dodici euro al litro, mentre all’ingrosso va a sei euro al litro. Va da sé che le candele sarebbero troppo costose. La produzione di olio per biocere sarebbe fruibile nel caso in cui la produzione del seme avvenisse in condizioni non coerenti con la parte alimentare, quindi su terreni carichi di metalli pesanti o che devono essere ripuliti tramite fitodepurazione», conclude Guarnieri. Sarebbe necessario trovare una condizione di realizzazione funzionale a questo tipo di prodotto, attraverso l’impiego di coprodotti o scarti di altre produzioni.

Consumo globale di polimeri

Secondo uno studio condotto nel 2009 dall’Università di Utrecht per conto dell’European Polysaccharide Network of Excellence e l’European Bioplastics Association, più del novanta percento del consumo globale di polimeri può essere sostituito con materie prime rinnovabili. Uno studio della Grand View Research, inoltre, aveva previsto che entro il 2020 le bioplastiche avrebbero controllato il cinque percento del mercato delle materie plastiche, passando al quaranta percento entro il 2030. Le bioplastiche, secondo la definizione data dall’European Bioplastics Association, sono l’insieme delle plastiche di origine rinnovabile, nonché quelle biodegradabili e compostabili. È necessario fare distinzione tra biopolimeri di sintesi, ottenuti mediante polimerizzazione di monomeri ricavati da fonti rinnovabili e biopolimeri naturali, sintetizzati dagli organismi viventi. Un biopolimero di sintesi è il bio-polietilene, ottenuto a partire dal monomero etilene, ricavato da sostanze di origine vegetale come la canna da zucchero. Altro biopolimero ottenuto in modo analogo è l’acido polilattico (PLA). Dall’amido di mais si ottiene il destrosio, che fermentato dà origine all’acido lattico. Quest’ultimo è convertito in dilattide, a sua volta polimerizzato in un impianto chimico. Esempi di biopolimero naturale sono invece amido e cellulosa, prodotti entrambi da organismi vegetali.

Anna Quirino

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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