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Il biochar è carbone biologico derivato dalla pirolisi o pirogassificazione di biomassa vegetale lampoon
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Biochar: la polvere nera per una soluzione ai cambiamenti climatici

Fertilizzante, ammendante, carbon sink: la rivoluzione del biochar in agricoltura, carbone da biomassa vegetale: rigenerare il terreno agricolo è l’obiettivo di ICHAR

Che cos’è il biochar

Biochar è la crasi di biological charchol, carbone biologico derivato dalla pirolisi o pirogassificazione di biomassa vegetale. Non esiste un solo biochar, proprio per la sua eterogeneità e struttura, così come non esiste un biochar migliore di altri perché la sua applicazione dipende da diversi fattori come il terreno in cui è inserito, gli scopi per cui è utilizzato. Si può ottenere biochar da residui o sottoprodotti agricoli (legno, stoppe di mais o grano, lolla di riso, gusci, sanse e vinacce, altro materiale di natura cellulosico). È classificato all’interno della categoria degli ammendanti per l’agricoltura, ma questa etichetta è riduttiva se confrontata con i benefici e le possibilità offerte dall’uso del biochar nel terreno.

La sua azione deve essere intesa in termini agronomici ambientali e non può essere limitata alle sue proprietà fertilizzanti del terreno. Il biochar va inteso come ri-naturalizzante di un suolo, come la soluzione ad una serie di problemi e non come sostituto di un convenzionale fertilizzante. Grazie alla sua porosità e alla sua stabilità (cioè che a distanza di anni non subisce trasformazioni e rimanendo tal quale non rilascia CO2) aumenta la ritenzione idrica del terreno e quella degli elementi nutritivi che rimangono più a lungo disponibili per le piante e le colture. La sua recalcitranza ne evita la degradazione da parte dei microrganismi del suolo e allo stesso tempo opera come stoccaggio di carbonio, che a differenza del normale compost o dell’abbruciamento dei residui di potatura resta nel terreno invece di tornare nell’atmosfera sotto forma di anidride carbonica. 

Carbon neutral o carbon negative

L’impiego di biochar sui terreni permette di diminuire le emissioni di N20 dal suolo, gas a effetto serra con un Global Warming Potential 296 volte maggiore della CO2. Secondo i dati pubblicati dalla Cornell University, la CO2 atmosferica è aumentata da 280ppm nel 1750 a 367ppm nel 1999 mentre le attuali concentrazioni di CO2 non sono mai state superate negli ultimi 420.000 anni (IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change 2001). Per questo, il rilascio o sequestro del carbonio nel suolo è di primaria importanza. Che ruolo può avere il biochar in questo equilibrio? «Il biochar contribuisce alla ricarbonizzazione del suolo», spiega Silvia Baronti, ricercatrice dell’Istituto per la Bioeconomia (IBE-CNR) e dell’Associazione ICHAR (Associazione Italiana Biochar).

«Durante la fotosintesi le piante prendono energia solare e la trasformano in zuccheri, assorbendo anidride carbonica. Se noi restituiamo questa sostanza organica fresca al terreno facciamo un’operazione ‘carbon neutral’, senza trattenere CO2 e anzi rilasciandola attraverso la decomposizione degli scarti. Se invece nel suolo è immesso biochar, inteso come carbone ottenuto dalla pirolisi della biomassa vegetale, si fa un’operazione ‘carbon negative’ cioè si inserisce un elemento stabile prodotto dalla pianta stessa che trattiene carbonio e che non si trasforma per migliaia di anni (come si è notato nel caso dell’Amazzonia ndr). Il biochar sequestra carbonio fungendo da carbon sink (deposito naturale di carbonio ndr)».

L’agricoltura è un comparto che contribuisce all’immissione nell’atmosfera di elevati livelli di greenhouse gases bioalteranti (ghg, gas effetto serra), soprattutto con le monoculture. In questo contesto il biochar può essere studiato e applicato come alleato nel ciclo di carbonio. Si stima che una fattoria di 250ha (ettari) che utilizzi biochar sia in grado di sequestrare 1900 tonnellate di carbonio all’anno (secondo i dati dell’Bioeconomy Institute dell’Iowa State University). 

ICHAR e biochar in Italia

Nel 2009 a Firenze nasce l’Associazione Italiana Biochar per opera di Franco Miglietta, dirigente di ricerca CNR ed esperto in temi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti globali nel settore agricolo e forestale. «Lo scopo iniziale dell’ICHAR è stato quello di fare massa critica e far conoscere il più possibile i benefici del biochar», spiega la Dottoressa Baronti. «Il cuore dell’associazione i primi anni era formato da ricercatori e poco altro, con il tempo grazie al nostro impegno verso la formazione e all’aumento dell’interesse in materia, i soci sono un centinaio tra agricoltori, produttori, proprietari di impianti e appassionati». Uno dei traguardi ottenuti dall’impegno dei ricercatori ICHAR è stato quello di inserire il biochar nella lista degli ammendati riconosciuti a livello normativo nel 2015, a questo si aggiunge l’impegno attivo verso la conoscenza del biochar attraverso corsi ed eventi dedicati.

«Dal 2016 ogni anno organizziamo la Scuola di Biochar, due giorni di approfondimento in ambito scientifico, agricolo, florovivaistico e sui temi della carbon sequestration. Abbiamo sospeso nel 2020 a causa della pandemia ma il prossimo incontro in presenza – con possibilità di seguirlo a distanza, è previsto per settembre-ottobre 2021». Dal 2009 ICHAR si è occupata anche delle ricerche e dei progetti sperimentali nati in Italia sul Biochar, ad oggi sono molteplici (oltre cinquanta) i progetti terminati o attualmente ancora in corso. Tra questi anche il progetto dell’Azienda Agraria Sperimentale Stuard di Parma sull’effetto del biochar sulla qualità del suolo in una coltivazione di pomodoro da industria.

Il riconoscimento legislativo del biochar

Ci sono voluti tre anni per ottenere un riconoscimento. «Senza, non ci sarebbe stato un futuro per il biochar in Italia», spiega Alessandro Pozzi, dal 2015 presidente di ICHAR ed esperto in soluzioni sostenibili per l’agricoltura e in impianti di conversione termo-chimica e progettazione di energy farm. «È stata un’opera biblica, nel 2012 come ICHAR abbiamo presentato un’istanza sulla norma italiana 75/2010, il testo di legge che inquadra i fattori tecnici di produzione per inserire il biochar nel registro dei fertilizzanti – che fino a quel momento non esisteva nemmeno in termini di classificazione. Nel 2015 abbiamo ottenuto il riconoscimento all’interno della legge individuando limiti e parametri entro cui il biochar può essere usato in agricoltura come ammendante».

Per essere utilizzato secondo la normativa il biochar deve essere preparato attraverso «il processo di carbonizzazione di prodotti e residui di origine vegetale provenienti dall’agricoltura e dalla silvicoltura, oltre che da sanse di oliva, vinacce, cruscami, noccioli e gusci di frutta, cascami non trattati della lavorazione del legno, in quanto sottoprodotti delle attività connesse». Il processo di carbonizzazione prevede la perdita di idrogeno, ossigeno e azoto da parte della materia organica, grazie all’assenza di ossigeno: la pirolisi o piroscissione. La gassificazione prevede invece «un’ulteriore processo ossido-riduttivo a carico del carbone prodotto da pirolisi».

Quindi il biochar potrebbe essere descritto come un co-prodotto della pirolisi con una concentrazione di carbonio variabile ma comunque significativa e che può essere utilizzato tal quale nel terreno. Dalla pirolisi, durante la trasformazione della biomassa in carbone, si ottiene syngas con un potere calorifico pari al GPL e che può essere utilizzato nei processi produttivi che necessitano energia elettrica e biochar. 

Il mercato e il commercio del biochar

La produzione di energia è stata per anni, e ancora lo è, il primo scopo, lo sfruttamento del biochar arriva in seguito. Per questo oggi in Italia, «la maggior parte delle aziende che producono biochar ha come core business la produzione di energia e calore. Attualmente in Italia sono assai minoritarie le realtà che producono biochar come prima produzione e che non siano interessate alla parte energetica. Questa è una delle problematiche che il biochar ha dovuto affrontare anche su scala internazionale», continua Pozzi. «L’agricoltura è un mondo competitivo e complesso, è difficile entrare nelle sue dinamiche imprenditoriali se non se ne fa parte. L’uso del biochar deve essere correttamente indirizzato secondo i suoi scopi e abbinato ai terreni di destinazione».

Il biochar non potrà mai essere standardizzato, gli studi in corso in campo agronomico e chimico-scientifico stanno cercando di studiarne gli effetti, partendo da un prodotto specifico e definito. Il biochar utilizzato in un vigneto sarà diverso da quello che potrebbe essere inserito in un contesto di verde urbano o come ri-naturazione di un terreno stanco come i campi agricoli di quarta gamma (orticole tagliate e pronte all’uso come insalate o rucola).

Al momento in Italia il panorama dei produttori è intorno alla quindicina (mentre i prodotti registrati nel registro dei fertilizzanti sono trentanove) per una centinaia di tonnellate: una nicchia. Il prezzo del biochar, non riuscendo a trovare ancora un equilibrio tra domanda e offerta, è oggi molto alto rispetto a quello di un ammendante convenzionale. «Si tratta di un paragone che non regge, chi produce biochar non vuole paragonarlo ad un ammendante convenzionale, se un buon compost di qualità gira attorno a 30-40 euro per tonnellata, il biochar può raggiungere i mille euro. Questo è dovuto alla scarsità dell’offerta e alla mancanza di consapevolezza in termini di orientamento dell’ambito di applicazione del biochar, estremamente diversificato».

In commercio esistono anche delle carbon stove, stufe pensate per il riscaldamento e la produzione di energia domestica, al momento utilizzate in Africa, che sfruttano syngas e biochar per ri-naturalizzare i terreni aridi o stanchi. Ma questo è tutto un altro settore di applicazione del biochar, per cui intervengono dinamiche di mercato diverse da quelle del mondo agricolo. 

De-carbonizzazione dell’aria

Nell’ultimo periodo il tema della de-carbonizzazione dell’aria e le minacce del surriscaldamento del pianeta hanno riportato il biochar al centro di discussioni nazionali, comunitarie e internazionali. Nonostante questo risveglio il biochar non ha ancora raggiunto una forza tale da poter arrivare a piattaforme di crediti di carbonio istituzionalizzate ma allo stesso tempo, «è stato inserito nell’agenda dei prossimi negoziati internazionali sui cambiamenti climatici come la più promettente strategia di mitigazione del cambiamento climatico», aspetto che ha portato alla nascita di alcune piattaforme locali di scambio volontario dei titoli di carbonio generati dalla sua produzione e applicazione al suolo.

L’acquisto di biochar deve essere visto come risoluzione di un problema a lungo termine, come un investimento per il prossimo sviluppo di terreni e non solo come integratore agricolo. «Se un domani l’agricoltore potesse ricevere un contributo per il carbon storage che apporta al suo terreno usando biochar, potrebbe esserci una rivoluzione», spiega il presidente Pozzi. «Fino a che non verrà messo in atto questo meccanismo, il biochar dovrà mettersi in relazione con innumerevoli sfide».

Biochar

Si è presentato all’epoca moderna in tempi relativamente recenti, negli ultimi trent’anni. In realtà il suo utilizzo rimanda a migliaia di anni fa e alla Terra Preta do Indio, la terra nera e fertile in cui le popolazioni della foresta amazzonica sotterravano scarti della loro produzione alimentare, materiale carbonioso che ha generato delle isole di terreno con ph più elevato al fianco di suoli sterili.

Una scoperta che ha interessato studiosi a fine Ottocento (Smith 1879 e Hartt 1885) e che Johannes Lehmann, professore di biogeochimica e gestione della fertilità del suolo alla Cornell University (Ithaca, Stato di New York) ha ripreso concretamente sul campo negli ultimi anni. Grazie alle sue ricerche e alla definizione di black carbon come new green, si riscopre la possibilità di poter fertilizzare il terreno aiutando la mitigazione dei cambiamenti climatici e l’equilibrio del ciclo di carbonio nell’atmosfera. Intorno al 2004 e 2005 iniziano le prime sperimentazioni e i primi usi europei.

Mariavittoria Zaglio

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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