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Fabio Mauri Che cosa è il fascismo, 1971 (performance) Stabilimenti Safa Palatino, Roma foto Marcella Galassi Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser _ Wirth
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Bellezza e virtù possono vincere la forza – vale ancora oggi? Il lavoro di Fabio Mauri

Simmetria e sistematicità sono la malignità intima della Bugia nascosta dell’Ordine. L’arte di Fabio Mauri, influenzata dall’esperienza del secondo conflitto mondiale, continua a essere attuale

Due pavoni dai becchi quasi congiunti, posti sopra un’aquila in atto di colpire al capo un leone

Questa l’iconografia di una formella in marmo greco del Tredicesimo secolo posta sopra un portone di Fondamenta de le Grue, al limitare tra i sestieri di Santa Croce e San Polo, Venezia. Grua in veneziano significa gru. Trampoliere che, seppur erroneamente, nei secoli ha assunto un primato visivo all’interno di questo reperto dal gusto bizantino, tanto da divenire il nome del passaggio che costeggia il Rio de San Stae.

Attraverso l’aiuto dei bestiari medievali, tra cui Il fisiologo (Adelphi, 2002), scritto in ambiente gnostico ad Alessandria da un ignoto tra il Secondo e il Quinto secolo d.C., pare che la cifra simbolica che sottende la scena tra animali sia riassumibile con l’espressione ‘bellezza e virtù vincono la forza’. Questo bassorilievo di circa ottocento anni ammonisce la società contemporanea, in cui forze distruttive sembrano far vacillare sempre più quelle generative del pensiero e delle arti. 

Il bello e il virtuoso possono ancora sopraffare la violenza e redimere la sete di potere che oggi si macchia di civili uccisi? L’arte può rigenerare il pensiero politico e culturale? La morte è protagonista nella guerra, che esercita tutta la forza dell’ ἀφανίζω greco: verbo dai molteplici significati, tra cui ‘togliere dalla vista’, ‘piegare in schiavitù’ e ‘annientare’. Come affermava Fabio Mauri (1926 – 2009) nel suo Language is war del 1975: il libro ritiene la guerra pessima […] e la guerra richiede la morte propria e di altri come naturale.

Fabio Mauri: per una critica sul contemporaneo tra memoria personale e collettiva 

Artista e intellettuale romano, turista di tutte le arti possibili secondo le parole di Lea Vergine, Mauri visse il trauma del secondo conflitto mondiale, che si riversa nella sua poetica. Il binomio arte–guerra ne ha caratterizzato molte opere a partire dagli anni Settanta. La coscienza critica per me è il salvacondotto di ogni attività, anche artistica, sosteneva un Mauri ottantunenne in un’intervista del 2007. A cavallo tra riflessione e consapevolezza, l’artista ha condotto studi sulla comunicazione dell’ideologia e dei suoi meccanismi più perversi che sfociano in un’ingessata ritualità socio-culturale e propagandistica. Sottolineando il fallimento dei nazionalismi e fascismi, Mauri ritiene sia necessario piegare il linguaggio, incline al falso, a realtà e verità. 

A dimostrazione di quanto la storia, e i suoi confitti, possano esercitare un’influenza nel singolo e nella memoria dei suoi turbamenti interiori, l’artista decise di esorcizzare artisticamente il raduno della Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.) e dei Giovani hitleriani che visse in prima persona, allora tredicenne, a Firenze nel 1938. Mauri, dopo trentadue anni, realizzò, assieme agli studenti del secondo e terzo anno dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, l’azione performativa Che cosa è il fascismo (2 aprile 1971) in occasione del seminario Gesto e comportamento nell’arte oggi presso il Centro Safa Palatino, oggi studio televisivo Mediaset. 

Che cosa è il fascismo – Fabio Mauri 

La performance, definita da Mauri un esercizio spirituale, vedeva inizialmente giovani ragazzi e ragazze in divisa G.I.L. gestire l’ingresso del pubblico smistandolo in sei tribune nere atte a ospitare e separare in categorie magistrati, accademici, familiari, stampa, autorità, sportivi, costruttori, ingegneri, artisti: simmetria e sistematicità sono definite da Mauri la malignità intima della Bugia nascosta dell’Ordine. Al centro un’arena con un tappeto rettangolare in cui è riprodotta una svastica (calpestata, non issata) e alle due estremità il Podio di Comando, con alle spalle una grande scritta che recita ‘THE END’, e due piccole tribune per ebrei, distinte visivamente da una stella di David. L’azione prosegue e si dispiega in interventi, musiche, esercizi ginnici e proiezioni dal chiaro valore propagandistico.

Che cosa è il fascismo, eseguito anche alla Biennale d’Arte del 1972 e al Performing Garage di New York (1979), porta il pubblico a rivivere il rigore scenografico dei totalitarismi, si pensi anche solo ai film di Leni Riefenstahl, ricreando un’atmosfera in cui ciò a cui si assiste appare “normale” e perciò ancor più alienante. 

Fabio Mauri in conversazione con Stefano Chiodi

Ritroviamo elementi comuni nel discorso di Putin alla Nazione presso lo stadio Luzniki di Mosca di poche settimane fa. Musiche, bandiere, fuochi d’artificio in diretta mondiale per celebrare l’ottavo anniversario dell’annessione della Crimea alla Russia dopo il referendum del 2014, mai riconosciuto dalla comunità internazionale. Cos’è cambiato? Il modo di pensare ideologico non è finito: è ineliminabile. In un certo senso è un sottoprodotto del pensiero, sostiene Mauri in conversazione con Stefano Chiodi.

L’arte in funzione di memoria collettiva che fa perché è storia e mondo, come recita una delle opere di Mauri della serie Zerbini, riproposta nel 2012 da Carolyn Christov-Bakargiev a documenta 13 e già presentata da Galleria Michela Rizzo in Giudecca (2009), dove dopo quattro anni fu ospitata l’azione Picnic o Il buon soldato, una riflessione sull’attesa della pace, che non può ancora separarsi dalla distruzione, in cui sono presenti reperti originali e oggetti comuni appartenenti al periodo bellico. 

Riproponendo i versi di Bertolt Brecht, la guerra che verrà non è la prima, espressione utilizzata come titolo per la mostra al Mart di Rovereto (2014) che presentò una lettura sui conflitti armati a partire dal 1914 anche attraverso opere di Fabio Mauri. 

Guerra e natura 

Ideologia e Natura (1973) è un atto performativo realizzato per la prima volta alla Galleria Duemila di Bologna e riproposto anche presso il Padiglione Italia in occasione della 55. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, curata da Massimiliano Gioni. Una giovane donna in divisa da Piccola italiana inizia a spogliarsi e rivestirsi per poi ancora una volta spogliarsi e così via: una reiterazione che diventa un refrain ossessivo, illogico e accentua il valore castrante e coercitivo della divisa.

Si tende così a raggiungere una nudità simbolica, come nota Dora Aceto, che mostra come l’idea di natura sia il vero unico elemento in grado imporsi sull’ideologia, qui rappresentata dal codice del costume. Venendo alla bio-politica e alla bio-diversità, oggi è giusto chiedersi quanto inquini una guerra. Il Conflict and Environment Observatory conta oltre settantamila specie, tra animali e vegetali, a rischio durante i bombardamenti in Ucraina, senza contare l’alto tasso di inquinamento atmosferico (ad esempio, un bombardiere B52 consuma circa dodicimila litri all’ora).

Anche l’Italia risente delle tensioni belliche

Il governo ha approvato un’opera destinata alla difesa nazionale e sottoposta a procedura di approvazione semplificata: attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza del 2021 per rilanciarne l’economia dopo la pandemia di Covid-19, saranno costruite nuove strutture militari di settecentotrentamila metri quadri all’interno del Parco Naturale di San Rossore, zona protetta di venitremila ettari a terra cui si aggiunge l’area marina protetta delle Secche delle Meloria per altri novemila ettari. San Rossore, oggi di proprietà regionale, prima ancora reale e poi presidenziale, confina con la base militare americana Camp Darby che per essere altrettanto ampliata richiederà l’abbattimento di novecentotrentasette alberi.

Difficile comprendere come un intervento di ‘interesse nazionale per esigenze di difesa’ possa sposarsi con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU che anche l’Italia ha ratificato il 25 settembre 2015. Al punto 15.2 del goal Vita sulla Terra si legge: entro il 2020, promuovere l’attuazione di una gestione sostenibile di tutti i tipi di foreste, fermare la deforestazione, promuovere il ripristino delle foreste degradate e aumentare notevolmente l’afforestazione e riforestazione a livello globale. Dunque, un ritardo già di due anni, spese militari giustificate con il Recovery Plan e una riserva naturale nazionale a mercé della militarizzazione. Con le parole di Charles Bukowski a chiusura di Those Sons Of Bitches (1970): humanity, you never had it / from the beginning.

Il televisore che piange – Fabio Mauri

Le suggestioni e i rimandi all’attualità che l’arte di Fabio Mauri può suggerire innescano una riflessione su una guerra combattuta anche mediaticamente. La comunicazione in tempo di guerra si fa digitale, si pensi solo all’uso di Twitter o Instagram (quasi diciassette milioni di seguaci) da parte di Volodymyr Zelensky o alla marea di contenuti a sostegno al regime di Putin su TikTok, ultimo social di rilevo globale rimasto attivo in Russia, stato che predilige le tradizionali tv e radio per fare propaganda.

La fascinazione per il concetto di schermo, anzitutto cinematografico e poi televisivo, è presente nell’arte di Mauri sin dal 1957, anno in cui inizia a realizzare Schermi: una serie di schermi vuoti, acromatici, potenzialmente carichi di immagini e proiezioni di eventi di un’epoca come ideologia, guerra, morte, consumi. Nel 1972 Mauri realizza Il televisore che piange. Opera ripresentata recentemente anche in occasione di TV 70. Francesco Vezzoli guarda la RAI alla Fondazione Prada (2017) e attualmente esposta con Il video rende felici. Videoarte in Italia, mostra a cura di Valentina Valentini al Palazzo delle Esposizioni e la Galleria d’Arte Moderna di Roma. 

Il televisore che piange, commissionato da Enrico Rossetti e Paquito del Bosco

Il televisore che piange è un happening televisivo, commissionato da Enrico Rossetti e Paquito del Bosco, ideatori della trasmissione Happening, sul secondo Canale RAI, che mandarono in onda quest’opera di due minuti e quaranta secondi. I primi dodici secondi sono quelli più densi di simbolicità: lo schermo appare bianco, nessuna immagine lo attraversa, si sente solo il suono di un lamento, di un pianto.

Mauri stesso poi spiega la sua opera secondo cui l’happening rompe un’azione abituale, usuale, quella di trasmettere immagini, non trasmettendo altro che il televisore stesso: un lamento universale che realizza anche l’assunto mcluhaniano il medium è il messaggio per cui la TV non comunica altro che le sue caratteristiche intrinseche. Come nota Christov-Bakargiev, si tratta di un lamento adulto: è un televisore adulto allora, un oggetto personificato e animato che ci parla, che si lamenta del mondo. Nel 1972 la TV per pochi minuti si antropomorfizza e senza preavviso piange nei salotti degli italiani: un pianto politico, di dissenso che sembra anticipare la catastrofe che si sta compiendo. 

Fabio Mauri

Fabio Mauri (Roma, 1926 – Roma, 2009) è stato un artista, intellettuale, scrittore e accademico italiano. Esponente dell’avanguardia italiana del secondo dopoguerra. Nel 1942 fonda con Pier Paolo Pasolini la rivista Il Setaccio. Ha insegnato per venti anni Estetica della sperimentazione all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. È stato invitato alla Biennale di Venezia nel 1954, 1974, 1978, 1993, 2003, 2013, 2015 e nel 2012 a documenta 13 a Kassel. Le sue opere sono esposte in musei, gallerie e centri d’arte nel mondo.

Federico Jonathan Cusin

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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