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Fibre naturali: vantaggi e impatto ambientale

Intervista a Dario Casalini, autore di Vestire buono, pulito e giusto e a capo dell’azienda Oscalito, che dal 1936 produce maglieria a partire da fibre naturali

Fibre naturali a contatto con la pelle

Fin dalla sua nascita, nel 1936, Oscalito utilizza solo fibre naturali: cotone makò egiziano, Filoscozia (cotone egiziano, pettinato, ritorto a due capi, gasato e mercerizzato), seta, cachemire e lana Merino. «La scelta di usare fibre naturali è stata dettata in origine, nel 1936, dalla volontà di realizzare maglieria intima, che all’epoca era solo naturale. Anche oggi, pur evolvendo dalla maglieria intima, tutti i nostri indumenti sono pensati per essere a contatto con la pelle», racconta Dario Casalini. Ogni fibra tessile, come spiega nel suo libro Vestire buono, pulito e giusto, ha specifiche caratteristiche morfologiche, fisico-meccaniche e fisiologiche.

Solo le fibre naturali però hanno la capacità di favorire la funzione termoregolatrice della pelle e di mantenere il più costante possibile la temperatura del microclima, il sottile strato d’aria che si crea tra la pelle e il tessuto. Ciò è possibile grazie a due caratteristiche delle fibre naturali: l’igroscopicità (la capacità di assorbimento dell’umidità senza apparire bagnata) e la coibenza (capacità isolante). Le fibre sintetiche invece – come il nylon, polimeri creati in laboratorio a partire da sostanze chimiche semplici – hanno igroscopicità molto bassa; mentre le caratteristiche fisiologiche delle fibre artificiali, quelle inesistenti in natura ma ottenute a partire da derivati organici (la cellulosa) o inorganici, dipendono dal polimero da cui derivano.

L’impatto ambientale delle fibre artificiali e sintetiche

L’impatto ambientale di una fibra deve essere valutato nella fase di produzione, di uso del capo con esse prodotto e di smaltimento del capo come rifiuto dopo l’uso. La produzione di fibre artificiali (che derivano dalla cellulosa vegetale) richiede l’impiego di sostanze chimiche e di ingenti quantità d’acqua. Oggi però nella produzione di viscosa (che da sola rappresenta l’80% delle fibre artificiali prodotte) è possibile il recupero del 90% dell’acqua e delle sostanze impiegate.

Le fibre sintetiche non derivanti da riciclo sono più inquinanti: utilizzano come materiali di partenza derivati del petrolio e nella loro produzione si fa ampio uso di acqua ed energia, rilasciando ingenti quantità di gas serra. L’industria tessile, come riportato in Vestire buono, pulito e giusto, nel 2015 è stata responsabile della produzione di 1,2 miliardi di tonnellate di CO2, quantità che supera tutti i trasporti aerei e marittimi mondiali messi insieme, ed è pari a tutta la CO2 emessa dagli Stati nell’Unione Europea (l’8% del totale mondiale).

Vantaggi delle fibre naturali

In termini ambientali, sono anche altri i vantaggi delle fibre naturali rispetto a quelle sintetiche: «Durante i lavaggi in lavatrice le fibre sintetiche rilasciano microplastiche, che non si sa come trattenere perché nessun depuratore le filtra. Ogni anno, l’industria tessile immette nell’ambiente oltre 90 milioni di tonnellate di rifiuti solidi, tra cui queste microplastiche, che sono state ritrovate perfino nei ghiacciai dell’artico. Le fibre naturali invece non rilasciano nulla, a meno che non vengano colorate con tinture inappropriate». Il secondo vantaggio riguarda lo smaltimento del capo una volta dismesso. La fibra naturale è materiale organico, facile da riciclare: l’impatto del capo dismesso in questo caso è basso, purché non abbia subito processi con materiali fortemente impattanti.

L’impatto ambientale delle fibre naturali

A livello di produzione, l’impatto delle fibre naturali dipende dalle condizioni di coltivazione delle piante o di allevamento degli animali da cui provengono. Un esempio riguarda la coltivazione del cotone che, da solo, costituisce il 90% della fibra naturale prodotta nel mondo. Per essere coltivato, il cotone necessita di un massiccio impiego di acqua e pesticidi che, ovviamente, hanno un impatto sull’ambiente: «Per tale ragione Oscalito utilizza solo cotone makò, che si serve delle esondazioni naturali del Nilo, senza bisogno di aggiungere altra acqua».

Il lino, al contrario, è meno attaccato dai parassiti e richiede meno acqua. Un altro aspetto da considerare è quello dell’impatto sociale: la raccolta a mano, da questo punto di vista, è molto più impattante rispetto a quella meccanica. Per quanto riguarda le lane, invece, si pone il problema delle condizioni di allevamento dell’animale. Le lane utilizzate da Oscalito sono tutte mulesing-free: ciò significa che le pecore da cui proviene la lana non hanno subito l’asportazione di una parte di tessuto perineale. Tale pratica, il cui obiettivo è evitare che la lana si sporchi, causa sofferenza all’animale e lo rende più facilmente soggetto al diffondersi di infezioni.

L’impatto ambientale delle fibre naturali

L’impatto ambientale delle fibre naturali dipende anche dai trattamenti cui vengono sottoposte, che ne alterano le caratteristiche. Particolarmente impattanti possono essere i trattamenti di tintura e finissaggio, durante i quali spesso il filo o il tessuto vengono sottoposti a spalmature, siliconati o ricoperti da una patina: «Noi non usiamo alcuna spalmatura in Oscalito. Il filo da noi a parte la tintura – fatta con sostanze chimiche ammesse dal REACH – non subisce altri trattamenti. Quando passo dal filo al tessuto non faccio nessun trattamento al tessuto, lo bagno e lo asciugo, non metto neppure ammorbidenti. Questo perché anche partendo da una fibra nobile i trattamenti possono alterare completamente il suo impatto».

REACH – Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals

È il regolamento che, dal 2007, regola l’uso di sostanze chimiche nel settore tessile in Europa. Tale regolamento, molto restrittivo, garantisce la sicurezza – in termini sia ambientali sia di salute – dei trattamenti effettuati in Europa occidentale, dove i controlli sono rigidi. I rischi aumentano già nell’est Europa, dove mancano controlli, e peggiorano ulteriormente nel caso di capi importati da altri continenti. Come riportato in Vestire buono, pulito e giusto: il 7-8% delle patologie dermatologiche a livello nazionale è dovuto all’utilizzo di articoli tessili; nei casi in cui è stato possibile correlare la patologia all’indumento che l’ha determinata, si è trattato al 100% di indumenti di importazione. […] Se queste lavorazioni sono svolte in Paesi a basso costo di manodopera non è infrequente trovare sull’indumento residui di metalli pesanti, cobalto, formaldeide […].

Anche le sostanze approvate dal REACH hanno un impatto ambientale, per quanto ridotto. Un’alternativa può essere, nell’ambito della tintura, l’impiego di tinture naturali, ottenute a partire da erbe. Tuttavia, oltre a essere molto costose non possono garantire l’uniformità del colore.

Delocalizzazione e tutela del made in Italy

In Europa occidentale, l’acqua usata nei processi tessili viene depurata prima di essere reimmessa nell’ambiente oppure nel ciclo di produzione, minimizzando così l’impatto ambientale. L’aumento dei costi ambientali, però, ha costretto molte imprese tessili alla chiusura, portando così alla delocalizzazione dei processi produttivi e di preparazione delle fibre al di fuori dell’Europa. A livello europeo, la legge non prevede alcun obbligo di indicazione dell’origine dei prodotti tessili. In Italia, la normativa non tutela il vero made in Italy, poiché la norma è molto lassa e l’assenza di controlli rende facile eluderla. In Vestire buono, pulito e giusto si legge infatti: Per la legge italiana, è sufficiente che il filato (filatura) e il tessuto (tessitura) siano di provenienza italiana per etichettare come fatto in Italia un capo interamente cucito, tagliato e assemblato all’estero.

Inoltre, l’etichetta made in Italy si può assegnare a tutti quei capi che abbiano subito almeno due fasi di lavorazione in Italia, anche se si tratta di fasi solo marginali come lo stiro o l’attaccatura di etichette e bottoni. Non sempre, inoltre, certificazioni alternative possono garantire la sostenibilità di un prodotto: «Le certificazioni che si concentrano su singoli elementi della filiera, che è una filiera complessa, non valutano l’impatto globale della produzione. Le certificazioni più efficaci sono quelle che tengono in conto tutta la filiera o almeno una gran parte di essa. Le certificazioni settoriali hanno senso se collocate all’interno di una filiera sistemica, se si considera il loro peso relativo».

Tracciabilità della filiera

La tracciabilità della filiera, che garantisce un maggior controllo sulla qualità, la provenienza e la sostenibilità di un capo di abbigliamento, è uno dei vantaggi della filiera corta, insieme a un minor costo dei trasporti: «Per filiera corta si intende una filiera che sposta il meno possibile materiali grezzi e semilavorati da un continente all’altro. Noi cerchiamo di avere sia una filiera corta sia l’integrazione verticale, poiché produciamo dal filo al capo finito. Tolto il trasporto della fibra naturale, che proviene sempre da lontano, il nostro prodotto è tutto lavorato in Italia. Cerchiamo di avere una filiera corta non solo nella produzione ma anche nella fornitura, acquistando ciò che ci occorre, come, accessori, pizzi, bottoni, in Italia o in Europa».

Ilaria Aceto

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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