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ALESSIO DAMATO, STATUA DI COSTANTINO I AI MUSEI CAPITOLINI DI ROMA
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Marmi Torlonia – Roma quanta fuit ipsa ruina docet

Memorie della classicità rivivono oggi attraverso I Marmi Torlonia – l’esposizione al Campidoglio è una collezione di collezioni, summa del solco e del gusto antiquario

Una collezione di antichità composta di seicento venti pezzi catalogati, che in ordine cronologico è stata l’ultima raccolta principesca romana a formarsi

Fu inaugurata nel 1875, quando ormai il papa – che non è più re – se ne sta recluso tra le alte mura del Vaticano, mentre i Savoia riescono a insediarsi nella Città eterna e sul trono d’un Italia appena nata. La Collezione Torlonia è il compendio di tante testimonianze della classicità confluito in un unico ambito grazie alla volontà di una sola figura di mecenate e collezionista – il Principe Alessandro Torlonia è oggetto di una mostra a Villa Caffarelli, sul Campidoglio. L’esposizione si intitola I Marmi Torlonia a cura di Salvatore Settis e Carlo Gasparri, con allestimento di David Chipperfield, si potrà visitare dal 14 ottobre 2020 al 29 giugno 2020. Voluto della Soprintendenza Speciale di Roma e promossa dal Ministero delle Belle Arti e del Turismo con catalogo edito da Electa, l’evento è sostenuto della Fondazione Torlonia e dalla casa Bvlgari.

La più cospicua collezione di statuaria antica ancora di proprietà privata, per decenni celata agli occhi di tutti, a Roma

È un po’ come quando dagli scavi delle prime campagne di Ercolano e Pompei, condotte da avventurieri e letterati come il sedicente barone Pierre-François Hughes d’Hancarville, affioravano meraviglie, lasciando attoniti gli aristocratici borbonici e Sir William Hamilton, gli eruditi e i Grand Touristes. Per decine di anni i marmi Torlonia sono stati una leggenda. Si può paragonarli al primo museo ercolanense di cui narra Goethe. Il cambio di rotta è impresso nel marzo 2016, grazie all’accordo stipulato tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo e il principe Alessandro Torlonia, scomparso nel dicembre 2017, omonimo e pronipote del fondatore.

Il Ministro Dario Franceschini e la Fondazione Torlonia, presieduta da Alessandro Poma Murialdo, hanno raggiunto un concordato per la riapertura del Museo Torlonia in una sede da individuare. L’incipit di questa storia rimonta al debutto dell’Ottocento, quando tramite asta pubblica entra nel patrimonio Torlonia la collezione dello scultore Bartolomeo Cavaceppi (1717-1799), restauratore di statuaria antica del Settecento – una raccolta di marmi antichi, terrecotte, bronzetti, modelli e calchi, che si trasforma nel nobile decoro delle principali residenze della famiglia, la Villa sulla Nomentana, palazzo Bolognetti poi Torlonia a Piazza Venezia e più tardi – nel 1820 – Palazzo Giraud, sull’attuale Via della Conciliazione.

La famiglia Torlonia

Con l’acquisto Cavaceppi, la famiglia Torlonia diviene non solo proprietaria di un imponente collezione di capolavori antichi, ma anche delle ultime testimonianze di alcune delle collezioni romane cinque-seicentesche allora in via di dispersione. Nel 1825, per poi averne piena disponibilità tra il 1856 e il 1857, i Torlonia acquisiscono 270 opere della Galleria dei marchesi Giustiniani, tra le quali l’Hestia Giustiniani e il cosiddetto Euditemo di Battriana, oltre a busti imperiali e ritratti. La rassegna romana, che si articola su una selezione di novantasei opere plastiche greche e romane, estrapolate dai curatori e ordinate in cinque diverse sezioni, segna la prima tappa di quest’itinerario.

Oltre a quanto è frutto degli scavi ottocenteschi – il tema della Sezione II –, alcuni nuclei furono acquisiti da Alessandro Torlonia, banchiere e imprenditore, presso famiglie aristocratiche locali. Nel 1825 egli acquista in blocco la statuaria dei Giustiniani e nel 1866 entra in possesso della settecentesca Villa Albani, playground di Winkelmann, immersa in un parco nel cuore della città e tuttora proprietà Torlonia. Due contenitori di rarità e bellezze, che custodivano il meglio di precedenti gallerie patrizie – Orsini, Savelli, Cesarini, Pio da Carpi, Cesi, Imperiali, Barberini.

Pietre nel medioevo abbandonate tra le rovine imperiali

Gli oggetti dal Quattrocento assurgono a orgoglio non solo per la nobiltà, ma anche per un ceto borghese di speziali, mercanti e notari, che indulgono a definirsi Romani naturali, ornando le facciate delle proprie abitazioni con frammenti e reperti lapidei. La Tazza con Simposio Bacchico, che è fulcro della quinta sezione della mostra, è una testimonianza di queste dinamiche di rappresentazione. Alla fine del Quindicesimo secolo passa dalla basilica di Santa Cecilia in Trastevere al giardino umanistico del cardinale Cesi, una sorta di circolo di spiriti elevati, che si trovava non lontano da San Pietro. Da qui, la Tazza entra a Villa Albani nel Secolo dei Lumi, per poi finire cent’anni dopo al Museo Torlonia.

Con l’aggiunta di un Sileno che versava acqua da un otre, la Tazza divenne pittoresca fontana, immortalata tra gli altri da Amico Aspertini e da Rubens. Il Museo vede la luce negli anni Settanta dell’Ottocento, mentre va in scena il trapasso tra il potere temporale del papato e la proclamazione di Roma a capitale del nuovo regno sabaudo. Tutto cambiava, una società tramontava per sempre, ma rimaneva integra la forza comunicativa e simbolica delle radici classiche. La Fondazione Torlonia si è presa cura dei restauri filologici che hanno riportato allo splendore originario i quasi cento capolavori che formano il corpus espositivo della mostra. Alessandro Poma Murialdo è il Presidente della Fondazione, varata per volere del nonno, Alessandro Torlonia, nel 2014.

L’argentiere Sotirio Bulgari – ovvero Sotirios Voulgaris – dopo un intermezzo a Corfù, era arrivato in Italia dall’Epiro, regione greca allora sotto il controllo del Sultano ottomano

Da qui, per la casa si sviluppa quel rapporto di ispirazione e identificazione con Roma che prosegue oggi. La casa Bvlgari ha voluto collaborare all’impegno economico, con la Fondazione Torlonia. Il contributo al ripristino delle sculture, per Bvlgari, che apre i battenti a Roma nel 1884, è un omaggio alle proprie radici romane e greche. Quanto fu grande Roma lo dichiarano le sue stesse rovine – è una frase dell’architetto rinascimentale Sebastiano Serlio in cui si avverte una vena di malinconia. Incarna quel senso di vertigine che si produceva su quanti si accostavano alla classicità dell’Urbe – uno choc immaginario da cui personalità quali Giambattista Piranesi o Luigi Valadier mai riuscirono a riprendersi, catturati da una dimensione onirica ed eroica.

Accanto a loro si staglia lo scultore e restauratore Bartolomeo Cavaceppi, che scompare nel 1799

Sodale di Johann Joachim Winkelmann, archeologo, bibliotecario e studioso, tra gli inventori del neoclassicismo – nel 1768 lo accompagna nell’ultimo viaggio in Germania –, e forte dell’appoggio del Cardinale Alessandro Albani (di cui, dal 1743 è curatore della collezione archeologica), riuscì a ottenere commissioni da parte dei viaggiatori di passaggio nell’Urbe, soprattutto britannici. Il suo atelier era tra le attrazioni dell’epoca e fu frequentato da Caterina II di Russia e da Federico II di Prussia. La sua maestria, anche di falsario, aleggia nella Sezione III dell’esposizione, quella che indaga il Settecento. A Villa Albani, non lontano dal sorriso dell’Antinoo, su un bureau-plat Secondo Impero, dopo la breccia di Porta Pia, nel settembre 1870, fu siglato l’armistizio che consegnava Roma a Vittorio Emanuele II di Savoia. Appena quattro anni prima il complesso di Villa Albani e l’immensa eredità di sculture che conteneva, era entrato tra i beni Torlonia.

Don Alessandro Raffaele Torlonia (1800-1886), Principe di Civitella Cesi, duca di Cesi e marchese di Romavecchia, andava fiero del proprio Museo di scultura antica, che data al 1875

Forse ancor più dell’istituzione di un ente di carità quale il Conservatorio Torlonia e dell’epocale bonifica del lago del Fucino, nella Marsica, vicino ad Avezzano in Abruzzo. Un’operazione che gli valse un ulteriore titolo principesco, quello di Principe del Fucino e un accrescimento delle terre familiari. Era un banchiere e imprenditore dallo guardo avveniristico. Don Alessandro aveva preso al suo servizio due membri della più nota famiglia di antiquari attiva tra Sette e Ottocento, Pietro Ercole Visconti, con il nipote Carlo Ludovico, incaricandoli di dare forma a un museo al passo con le più avanzate teorie contemporanee.

Furono organizzate così ottanta sale strutturate per blocchi tematici, seguendo l’esempio dei Capitolini e dei Musei Vaticani. Si passava dagli animali alle Muse e ai sarcofagi, fino a un’ampia sezione di ritratti imperiali, o presunti tali. Una piccola schiera di questi busti popola la prima sezione della mostra, evocando il Museo alla sua apertura. Una prima guida a cinquecento ventisette sculture è data alle stampe del 1876, ma è nel 188485 che appare il volume di grande formato dal titolo I monumenti del Museo Torlonia di sculture antiche riprodotti con la fototipia, che contiene cento sessantuno tavole raffiguranti tutta la dotazione museale, nel frattempo accresciuta fino a seicento venti pezzi.

Il matrimonio tra Alessandro Raffaele Torlonia e Teresa Colonna

Alessandro Raffaele Torlonia sposò nel 1840 Teresa Colonna, figlia di Aspreno I, la quale morì prematuramente. Dal matrimonio ebbe due figlie, Anna Maria e Giovanna Giacinta Carolina. La maggiore, nel 1872, diventa la moglie di Giulio Borghese, che assunse nel 1873 il cognome Torlonia, secondo l’istituto della ‘surrogazione’, assicurando la continuità dinastica. L’anno 1875 fu cruciale nell’esistenza di don Alessandro, che viveva nel fastoso palazzo Bolognetti-Torlonia, in Piazza Venezia. Oltre a inaugurare il Museo e all’investitura di Principe del Fucino, nel 1875 perde la consorte e la figlia secondogenita, a soli diciannove anni. A Villa Albani le tende di broccato rosso e oro, sono ornate da stemmi Torlonia-Colonna che si ripetono inquartati a sancire la forza di un’alleanza nuziale con la più antica aristocrazia autoctona.

A Villa Caffarelli il percorso espositivo con l’ultima sezione, quella che illustra le collezioni del Quindicesimo e Sedicesimo secolo, andrà a legarsi all’adiacente esedra di Marco Aurelio ai Musei Capitolini. Qui si esplicita il nesso tra il collezionismo di antichità agli albori umanistici e la portata della donazione dei bronzi del Laterano da parte di Sisto IV nel 1471. Verrà aperta una porta e ci si ritroverà immersi nella memoria del gesto politico del bellicoso pontefice ligure, nato Francesco della Rovere. Egli fece dono le sculture bronzee raccolte in Laterano, tra le altre la Lupa romana. Nel 1734 ecco la seconda tornata epocale, con la creazione del primo museo pubblico al mondo, i Musei Capitolini, da parte di Papa Clemente XII Corsini.

Cesare Cunaccia

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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