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Andrea Carandini ai Ronchi anni Settanta
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L’essenza della vita non si può acquisire con battute di un minuto, va ricercata in profondità

«Rappresento la decadenza della mia famiglia, che come tutte le famiglie borghesi non può durare più di tre generazioni. Al contrario delle aristocratiche, basate sul privilegio, non sul merito» Andrea Carandini è L’ultimo della classe

L’ultimo della classe. Archeologia di un borghese critico (Rizzoli, 2021) 

Non pensavo che dopo 792 pagine di libro, avrei avuto così tanta curiosità nell’ascoltare Andrea Carandini. Eppure, quando dopo 52 minuti la nostra conversazione via Skype è finita – e solo perché ha detto e con questo la saluto – ho provato dispiacere. La prima cosa che ho pensato è che avrei voluto condividerla con tutti, quella nostra chiacchierata, perché anche altri potessero avere la fortuna di ascoltare le sue parole, i suoi pensieri, i suoi ricordi, le sue battute e provocazioni. La mia prima domanda era un dubbio che credevo non avesse risposta logica, perché L’ultimo della classe. Archeologia di un borghese critico (Rizzoli, 2021) più che un libro è un’enciclopedia. 

Quanto tempo si può dedicare a un’opera così – si può iniziare a scriverla consci del fatto che avrà una lunghezza difficilmente digeribile dalla maggior parte dei lettori contemporanei? Nel libro ci sono ricordi, fotografie, saggi, sogni, riflessioni sulla società e ogni suo ambito, dalla politica all’educazione e nonostante abbia una struttura per lo più cronologica è facilissimo perdersi nelle sue pagine. Forse, proprio per questo, non va letto dall’inizio alla fine ma tenuto accanto, per due chiacchiere quando se ne sente il bisogno, proprio come ho fatto io con il Carandini che non scrive, ma parla.

Lampoon: Andrea Carandini intervistato da Claudia Bellante

«Ho avuto una vita lunga, ho 84 anni e ho sentito il bisogno di capire il senso della mia esistenza e di fare uno scavo in me stesso. Non sapevo che sarebbe stato così lungo e non sapevo com’era la mia vita prima di raccontarla. il nostro scrivere implica ripensare, ordinare». 

Nel libro sono citate letture che hanno fatto parte dell’evoluzione di Carandini. Le riporta, le riassume e le condivide. Potrebbe sembrare qualcosa di troppo ma no, è una necessità: oggi non si possono dare certe letture per scontate Come I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia, il primo romanzo di Thomas Mann nel quale Andrea Carandini si identifica: «Io stesso rappresento la decadenza della mia famiglia che come tutte le famiglie borghesi non può durare mai più di tre generazioni. Al contrario di quelle aristocratiche, che sopravvivono secoli, perché basate sul privilegio e non sul merito. Io sono l’ultimo della mia classe».

Qui nasce la mia seconda domanda, che è più una sensazione: quella di essere, per età anagrafica, una delle ultime persone capaci di comprendere il mondo al quale appartiene Carandini, a riconoscerlo per qualcosa che è veramente esistito e dal quale io stessa, nata quando mancavano poco più di vent’anni al nuovo millennio, appartengo. Lea, sua nipote? Non può essere la prosecuzione? 

Andrea Carandini – l’archeologo racconta la genesi del suo libro

«No. Lea, così come sua sorella Olivia che è nata da poco, saranno l’inizio di una nuova storia. Il mio libro è dedicato proprio a loro. L’ho scritto pensando: Se vi può servire, usatelo e se non, buttatelo». Carandini è un archeologo e grazie all’archeologia riesce a spiegare sé stesso. «Ho scritto molte relazioni di scavo, ma questa è stata senza dubbio la più complicata. Io non sono uno storico contemporaneo e la ricerca delle fonti è stata impegnativa tra lettere, archivi, album fotografici»

Al libro ha lavorato oltre due anni, che sono stati intensi anche perché hanno coinciso con la pandemia. Due anni vissuti per lunghi periodi a stretto contatto con la figlia, il genero e la nipote che certo hanno fatto emergere il Carandini nonno, togliendogli, ma questa è solo una mia supposizione, un po’ di protagonismo e dando al testo uno sguardo verso il futuro che altrimenti sarebbe stato forse meno presente. 

«Ho iniziato a scrivere cercando un senso alla mia vita e ho scoperto che la mia vita questo senso l’ha avuta. Uno dovrebbe morire nel momento in cui termina la correzione delle bozze ma questo non accade. La vita va avanti e ora sto lavorando a un nuovo scritto». L’ultimo della classe inizia con tre sogni e in uno di questi il Carandini bambino scende nelle profondità londinesi. Nel prossimo libro riparto da quel sogno e fantastico di continuarlo la notte successiva. Il protagonista è un bambino al quale manca il proprio padre e ne trova un altro in un mondo sotterraneo».

Andrea Carandini, L’ultimo della classe. Archeologia di un borghese critico, Rizzoli, 2021

«La mia archeologia è un rapporto mancato con mio padre».

Noi siamo i nostri genitori, nella loro presenza come nell’assenza e più cresciamo più ce ne rendiamo conto e sentiamo l’esigenza di comprendere appieno il nostro legame con loro. Così anche Carandini, che tutto sembra ora tranne che un bambino, un figlio, lo è forse più che mai. «La mia archeologia è un rapporto mancato con mio padre. In parte questa mancanza è naturale, per il complesso di Edipo che porta i figli crescere in opposizione al genitore dello stesso sesso, ma in parte dovuta al temperamento, a una formazione che è stata totalemente differente. Mio padre aveva fatto cinque anni di guerra, si era laureato a quarant’anni per dare l’esempio. Io ero un rampollo, di una famiglia molto agiata. La presenza di mia madre è stata ipertrofica, mentre con gli anni ho dovuto elaborare la mancanza di mio padre». 

Secondo Andrea Carandini, un padre aiuta il figlio a trovare la propria via su questa terra, ad andare in orizzontale, verso il futuro. «Se avessi avuto mio padre sarei potuto diventare un esploratore per esempio. Senza, mi sono inventato un’altra strada, sono andato in verticale, e verso il basso e ho fatto della ricerca nel passato lo scopo della mia vita e la mia via d’uscita. Come possiamo rimanere legati alle pietre ‘che non ingannano’ e costruire allo stesso tempo su di esse una civiltà di vivi altrettanto capaci di non deludere?». 

Andrea Carandini: la crisi del presentismo 

«Questa sbornia del presente che ci sta conducendo a una decadenza dovrà per forza avere una sua reazione. Non possiamo non portarci dietro qualcosa di utile che abbiamo salvato dal passato. Io ho vissuto il Novecento – può davvero essere che quel secolo sia stato solo due terribili guerre mondiali? No. Se l’esperienza dell’umanità da quando l’uomo ha iniziato a parlare e pensare non serve, siamo persi».

«Mi sembra che questo presentismo stia già iniziando a vacillare: i partiti populisti sono oggi in crisi in Italia. Per superare tutto ciò c’è bisogno della scuola. Se dopo questi anni di crisi sanitarie e belliche non si riformerà la scuola, non la si farà uscire dalla sua terribile decadenza, saremo persi per sempre. Perché si sta compiendo un danno cognitivo irreparabile non formando i ragazzi nell’adolescenza, quando il cervello si sta fabbricando. A scuola non si fa più niente. Hanno piegato la scuola all’utile, rendendola inutile quando la scuola è e deve essere un ritiro collettivo dalla vita, in attesa di arrivare alla vita. Tu nn puoi essere una persona utile se nn ti sei formato all’inutile».

Non vede, anche lei come me, in questa guerra l’espressione massima del Novecento, di un passato che però avremmo potuto lasciare indietro? «Certo, ma così come c’è stata nella nostra specie una modificazione genetica casuale che centinaia di migliaia di anni fa ha permesso all’homo sapiens di parlare e pensare, non c’è stata alcuna mutazione genetica che facesse sparire la guerra. Ci siamo beati dell’idea di vivere nella pace, ma le guerre sono continuate, solo erano lontane. Questa guerra ci ha riportati alla verità dell’homo sapiens che nella storia ha sterminato mammiferi, per mangiarli, per annientarli. L’homo sapiens è creatore e distruttore. Dobbiamo trovare strumenti per arginare il conflitto, ma non possiamo pensare di superarlo perché nasce da impulsi consci e inconsci. Non possiamo fingere di essere un’umanità che non esiste. Forse un domani saremo diversi e diventeremo tutti forzatamente buoni, ma probabilmente sarà una palla perché la moralità va scelta, non imposta». 

Pare che la soglia di attenzione delle persone sia ormai scesa sotto gli otto secondi. 

Se lei dovesse scegliere otto immagini per raccontare il suo libro, quali sarebbero? «Io trasformerei il libro da 800 pagine a 1600, è questa la sfida. Perché non è vero che non abbiamo tempo. Di tempo per stare a tintinnare continuamente i telefonini ne abbiamo. Non bisogna assecondare questa società, questa società va contrastata. La mente si è disabituata a concentrarsi e proprio per questo il messaggio da lanciare è esattamente l’opposto. Si deve far capire che l’essenza della vita non si può acquisire con battute di un minuto, va ricercata in profondità»..

Andrea Carandini

Andrea Carandini, nato a Roma nel 1937, è un archeologo.  Prof. nelle univ. di Siena e di Roma La Sapienza (dal 1992), presidente del Consiglio superiore dei beni culturali (2009-2011), presidente del FAI dal febbraio 2013 al dicembre 2021. Ha condotto numerosi importanti scavi, tra cui quelli della villa romana di Settefinestre (Grosseto) e quelli presso le pendici settentrionali del Palatino a Roma. L’ultimo della classe (2021) è l’ultimo libro di Andrea Carandini.

Claudia Bellante

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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