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L'azienda utilizza oltre duecento erbe per tingere filati animali e vegetali Lampoon
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Tingere con le erbe, alternative ai composti chimici

Erbe e piante per sfumare la fibra, cenere e aceto per regolare il ph – Anna Mello Rella, nel Biellese, studia i colori naturali dagli anni Novanta

Equiseto per colori

All’inizio è stato l’equiseto. Da questa pianta millenaria Anna Mello Rella ha ottenuto il verde. Erano gli anni Novanta e l’interesse per l’ecologia e l’impatto ambientale non era ancora maturato. La titolare della tintoria Quaregna, studiava giù da tempo le colorazioni naturali. Intendeva sostituirle a quelle chimiche: «Mia sorella è erborista, in estate raccoglie i prodotti dai campi per creare creme. Io sono fisico nucleare, faccio ricerca e amo camminare per le montagne. Le erbe sono sempre state parte del mio mondo e lo scarso interesse del mercato per questo tema è stato in realtà per me un bene, all’inizio: non ho avuto alcuna pressione a lavorare in fretta e ho potuto studiare e approfondire», spiega. Negli ultimi due anni il mondo dell’industria dell’abbigliamento inizia a cercare soluzioni nuove per ridurre l’inquinamento dovuto alla colorazione. 

AMR – Colori Naturali 

L’azienda è stata fondata a Biella nel 1955 da Alfredo Mello Rella. Ora è gestita dai suoi figli, Anna e Paolo. Noti per la conoscenza sviluppata nel campo erboristico applicata al settore tessile, utilizzano oltre duecento erbe per tingere filati animali e vegetali – fra queste: sandalo, henné, mirtillo, noce, ginepro, castagno, frassino, equiseto, malva, betulla, curcuma, liquirizia. «Il 60% arriva dall’Italia e dall’Europa, il restante 40% da altre aree del mondo, come Sudamerica o America centrale. Dall’Africa, da dove prendiamo alcune tipologie di legno. Dall’India recuperiamo il cartamo, una pianta simile allo zafferano molto profumata, e la robbia». Le ricevono essiccate e le mettono in infusione per un tempo variabile in base all’erba e alla tinta che si vuole ottenere. Come fossero grandi tazze di thè. La tintura comincia così: «Prima di tutto vanno testate, perché difficilmente si ottiene sempre lo stesso identico colore. A questo punto si capisce in che modo procedere per ottenere una certa sfumatura rispetto a un’altra. Come cucinare, ma con le tinture»

Tecniche per colorazione naturali

All’inizio il processo era più semplice: un’erba, un colore. In seguito le tecniche si affinano e si mescolano più piante. Con il tempo, Anna e il suo staff studiano per rendere la tintura naturale sovrapponibile a quella chimica. «Un’erba sa colorare grazie alle sue molecole tintoriali: queste però non determinano il colore della pianta stessa. Nel caso del papavero: i fiori sono di un rosso acceso, ma nel caso della lana conferiscono una sfumatura grigio-verde. Non daranno il rosso proprio perché questo è già espresso nel petalo. Al massimo possono sporcare, ma non tingere. E con questo termine intendiamo la capacità di creare legami stabili con la fibra, resistenti ai lavaggi». È necessario che la molecola abbia gli agganci necessari per potersi fissare ai filati. Non è possibile indurle dall’esterno con procedimenti artificiali. «I coloranti chimici si sono ispirati alla natura nel processo di fissaggio, ma derivano in gran parte dal petrolio e dagli idrocarburi», e spesso sono un mix di diverse sostanze. «Con pochissima polvere creata in laboratorio in modo sintetico posso tingere molti capi. Ma per creare quel pizzico di polvere bisogna smuovere molto materiale e alimentare processi dannosi per la natura». 

La tenuta sulle fibre del colore naturale

Lane, mohair, cashmere e in generale tutte le fibre animali sono le più propense ad assorbire il colore. Al contrario, quelle cellulosiche (vegetali, come cotone e lino) sono più complesse. «Negli ultimi tempi alcuni clienti ci hanno chiesto di lavorare anche con fibre sintetiche ecologiche, come poliuretani e poliesteri riciclati. Abbiamo creato una linea di tessuti e filati realizzati con lana e poliestere riutilizzati, colorati con erbe. Il nostro fatturato è determinato per l’80% dalla tintura naturale: parte della nostra produzione è ancora chimica, ma puntiamo a chiuderla non appena sarà possibile». Il risparmio in termini di inquinamento va a beneficio degli «operai, che maneggiano materiali naturali invece di essere immersi in elementi potenzialmente pericolosi. Stiamo studiando se sia possibile usare le stesse erbe più di una volta, ma le ricerche sono ancora in corso e per ora non lo proponiamo: i nostri clienti chiedono tinte definite». Riutilizzano le piante per fare il compost o il pellet, un biocombustibile di norma formato con scarti di lavorazione del legno. Per il futuro si guarda agli scarti industriali vegetali. 

Erbe vegetali per creare colori

Oggi la tintoria Quaregna ha messo a punto circa sessanta colori, tutti creati con ingredienti differenti. Le diverse sfumature di blu sono realizzate grazie all’indaco o alle piante indigofere, cioè ‘portatrici di indaco’. «Ci arrivano soprattutto dall’India, ma facciamo riferimento anche alla Francia – qui c’è la persicaria – o all’Italia, dove prendiamo il guado, il blu pastello di Piero della Francesca». Le tinte più scure si ottengono con il legno di campeggio, coltivato in molte nazioni ma originario della Baia di Campeche, in Messico, utile per i blu e per i neri. 

Un esempio per le tinte calde è la robbia, radice di una pianta analoga al basilico. Colora di rosso, rosa o arancione, a seconda delle combinazioni. «Si tratta di un ingrediente impiegato anche per tingere le giubbe dell’esercito napoleonico. La sua capacità tintoria cambia anche in base al luogo in cui si coglie: la robbia indiana dà un colore diverso da quella pakistana o francese, e così via. Climi e terreni differenti determinano molecole tintoriali diverse». Il mallo di noce è il prodotto che va tenuto in infusione per il periodo maggiore, anche una settimana. «In passato le tempistiche erano più lunghe: nelle antiche manifatture dei Gobelins quasi due anni». Così come il legno di castagno, impiegato anche per i grigi. Per i verdi, oltre all’equiseto, ci sono l’edera e il rabarbaro cinese. Il cartamo, una pianta simile allo zafferano, produce gialli e rossi. Sui cigli delle strade si trova inoltre la reseda, un altro ingrediente utile per queste sfumature. Non sono utilizzati additivi o altri materiali, fatta eccezione per altre componenti naturali. Per esempio aceto e cenere, usati rispettivamente per acidificare e rendere basico il ph dei bagni di tintura. Gli zuccheri tolgono ossigeno all’acqua.

AMR e GreenPea a Torino 

Anna Mello Rella è anche titolare, insieme a Omar Bertona, del marchio di abbigliamento AMR. Produce maglieria tinta con metodi naturali. «Confezioniamo ogni capo con un piccolo sacchetto: dentro mettiamo un campione delle erbe impiegate per il processo di tintura. Sull’etichetta ne spieghiamo storia e proprietà». I metodi naturali richiedono una spesa maggiore di quelli chimici, motivo per cui i prezzi sono più alti. AMR è fra i sessantasei negozi presenti all’interno di GreenPea, green retail park a cinque piani interamente realizzato all’insegna del rispetto ambientale. Inaugurato a Torino e nato da un’idea di Oscar Farinetti, già fondatore di Eataly, ha una superficie pari a 15mila metri quadrati e riunisce aziende e imprese impegnante nell’ecologia. Le tinture naturali di Anna Mello Rella hanno ottenuto riconoscimenti internazionali. Fra questi il marchio Natural Coloration Technology di Woolmark, nel 2010, il Gots – Global Organic Standard e TFashion -Traceability & Fashion. 

Anna Mello Rella

«Vorremmo coltivare dei campi attorno alla nostra sede a piante tintorie, in collaborazione con l’università e la facoltà di Agraria», chiude Anna. «Si potrebbe così continuare a sperimentare e far conoscere sempre di più questo mondo, ora andato perduto. Quando mio padre ha iniziato, alcuni colori erano ancora a base vegetale. Poi la chimica ha preso il sopravvento e con gli anni sono sparite non solo le erbe dalle fabbriche, ma anche le coltivazioni. Solo oggi alcuni contadini hanno ricominciato ad occuparsene, reimportando i semi di piante che un tempo erano tipiche del territorio».

Elisa Cornegliani

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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