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Stampanti 3D per maglieria Vittorio Branchizio
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Stampanti 3d per maglieria: innovazioni e vantaggi

Stampanti e 3d e tecnologie sperimentali per ridurre lo spreco di materiale ed esplorare nuove possibilità creative. Interviene il designer di Shima Seiki Vittorio Branchizio

Stampa 3d per la maglieria

C’è chi nella digitalizzazione delle tecniche di creazione di capi e tessuti vede un nemico per sartoria e maglieria tradizionali. Per altri, una risorsa. «La tecnologia aiuta a realizzare capi che un tempo non si potevano fare, ma la manualità resta la base: non stiamo andando verso un futuro dove saranno i robot da soli a realizzare un prodotto», sostiene Vittorio Branchizio, designer e direttore creativo del reparto ricerca e sperimentazione di Shima Seiki Italia, azienda tra le poche al mondo che, per maglieria, producono, sviluppano e vendono macchine rettilinee elettroniche, design system per la loro gestione e sistemi CAD e CAM (sistemi software per la progettazione e fabbricazione assistita dal computer). Anche tecnico designer freelance per maglieria creativa, Branchizio è a capo della ricerca nelle tre divisioni italiane della giapponese Shima Seiki, quelle di Segrate, Carpi e Villorba.

Shima Seiki – Flat Knitting Machine

«Studiamo nuovi macchinari, ma il mio imprinting è sempre quello del designer da maglieria. In Shima cerchiamo di sviluppare nuovi effetti, spingendo le macchine. Fin dove possono arrivare?  Due volte all’anno presentiamo i risultati della ricerca a Pitti Filati. Questo per la parte legata all’abbigliamento, ma l’azienda sperimenta per trovare sbocchi futuri anche in ambiti come l’arredamento e l’automobilistica». Tra gli obiettivi di Shima Seiki c’è quello di ridurre all’essenziale la supply chain, uno dei tasselli ancora problematici nel comparto industriale legato alla moda. Il nodo è quello dello spreco: quanto tessuto serve per far nascere un capo? «Le tecnologie per portare al minimo gli sprechi ci sono, ma bisogna guardare alla supply chain nella sua interezza, diversamente da quanto fatto in passato. Ci sono aziende che ragionano ancora per compartimenti – la divisione maglieria, quella tessuto, quella sportiva. Occorre far parlare i vari segmenti, lavorare insieme». Nell’ambito della maglieria, una delle innovazioni portate avanti da Shima Seiki è la tecnica WholeGarment. Invece che creare un capo di maglieria in parti separate (maniche, schiena, fronte) e cucirle tra loro, si realizza il capo in un solo pezzo, tridimensionale, sulla macchina rettilinea.

D-house e stampanti 3d

Branchizio è uno dei designer che ha partecipato al progetto Knitting The Future 3d Printing Meets Merino Wool, presentato dal laboratorio di ricerca tecnologia in ambito tessile D-house, braccio interno dell’azienda Dyloan. Loreto di Rienzo, direttore di D-house, racconta che «Nasceva per essere esposto alla scorsa edizione di Pitti Filati. Abbiamo creato dei prototipi per capire come la stampa 3d potesse reagire su alcuni materiali, come la lana, scelta perché fibra naturale. Al momento i risultati sono esposti in D-house, poi andranno al prossimo Pitti – 89esima edizione, dal 28 al 30 giugno – e a ottobre durante il Salone del Mobile di Milano come una sorta di compendio sui progetti svolti con la stampa in 3d». A Knitting The Future, oltre a Branchizio, hanno collaborato anche i designer Matteo Cibic e Laura Theiss e quattro studenti del Royal College of Arts di Londra. Il progetto ha coinvolto l’azienda manufatturiera Bond Factory di Chieti, spin off di Dyloan, The Woolmark Company, che si è occupata di fornire la lana merino, e Stratasys, che ha messo a disposizione le sue stampanti 3d. Ogni designer ha collaborato con maglifici italiani: Mas in provincia di Ravenna, Artemaglia e Miles a Vicenza, Effebi a Reggio Emilia, Alessandro Simoni di Vercelli, Ribknit nel veronese.

Lampoon intervista Vittorio Branchizio

Branchizio racconta il suo Illusion. «L’idea era di creare un’illusione ottica sulla texture di un cappotto in lana. Imprinting su carta modello, poi rilettura in maglia e smacchinatura. Assieme a Uroš Mihić, designer che viene dal mondo dell’origami, abbiamo realizzato il 3d. Torrette di diverse altezze, da un centimetro a 2 o 3 millimetri, che si alzano e si abbassano sul cappotto creando una sorta di onda. La stampante 3d ci ha permesso di ottenere un effetto impossibile da raggiungere in altro modo. Non permette più solo di realizzare un prototipo: gli elementi non vengono incollati, vanno subito sul capo. Se si guarda il capotto da destra si vede un’immagine, da sinistra un’altra. Il dislivello dei micron stampati crea un’illusione ottica in jacquard». La ricerca è il punto da cui Branchizio è partito anche per la capsule collection Wool To Go Tailored Knit, realizzata internamente a Shima Seiki in collaborazione con Woolmark. Il progetto – 3 outfit – è stato realizzato in collaborazione con Loro Piana, Tollegno 1900 e Zegna Baruffa Lane Borgosesia: «Ho selezionato i filati, tutti lana merino. Ho studiato una costruzione che si avvicina al concetto sartoriale ma concepita in maglieria, con la progettazione grafica Apex abbinata alla tecnologia Shima Seiki. Non maglione ma più simile al capospalla, usando lana lavorata a maglia invece che intrecciata».

Tornando alle stampanti in 3d «permette di vedere che tutti i pattern combacino prima di andare a realizzare il campione: un risparmio di materiale che altrimenti andrebbe sprecato». In altri settori diversi dalla maglieria la tecnologia è più diffusa «ma stiamo imparando a conoscerla adesso nella moda. Abbiamo imparato che il limite, per ora, è di utilizzarla su una superficie rettilinea. Questo non vuol dire che non sarà possibile applicarla anche per altre superfici. Bisogna capire come verrà sfruttata nei prossimi anni. Ha il potenziale per fare il salto verso la produzione su larga scala. Apre possibilità molteplici, ripetibili sullo stesso prodotto. Un punto forte è per stampare in 3d, il costo va a tempo, non a capo. Dipende da grandezza e quantità degli elementi da stampare».

Shima Seiki, collaborazioni

Se il processo verso l’utilizzo su larga scala di tecnologie avanzate è iniziato ma è ancora in corso, per Branchizio una strada da cui non si tornerà più indietro è quella del binomio sostenibile-tracciabile. «Il consumatore è sicuro di comprare un prodotto quando sa da dove viene la fibra filata, come è stata trattata, quale è il laboratorio che l’ha lavorata. La certificazione da sola è superata». Sull’asse tecnologia, filati sostenibili e artigianato il designer punta su un altro progetto presentato al Pitti di fine giugno, dove Shima Seiki esporrà anche la ricerca realizzata su nuovi macchinari a cui Branchizio ha lavorato negli ultimi mesi. «Ho collaborato con Botto Giuseppe Filati, utilizzando solo materie prime tracciate: la fabbrica usa energia idroelettrica e pannelli solari, i materiali sono naturali. Abbiamo abbinato le tecnologie sviluppate in Shima a capi imbottiti con il maglificio Ferdinando del Veneto». Per le tendenze in atto sui materiali, la chiave per capire dove sta andando l’industria del tessile è la ricerca e il poter sperimentare: «Mischiare fibre, creare effetti e tridimensionalità differenti. Recupero e valorizzazione dei filati naturali e sviluppo di nuovi, dai supertecnici termoindurenti, ai termoplastici, ai termo formati», conclude Branchizio.

Shima Seiki 

È in Italia dal 1982, come filiale della casa madre giapponese Shima Seiki Mfg Ltd. Opera principalmente in Italia, Europa e Nord Africa.

D-house

D-house è un laboratorio di progettazione e ricerca sperimentale per il tessile, nata dall’azienda Dyloan, che punta a colmare il divario tra fase di studio e commercializzazione dei capi. Tra i suoi progetti anche D-refashion Lab, con lo scopo di intervenire sulla problematica dell’overstock e ridurla al minimo attraverso le più avanzate tecnologie disponibili applicate al tessile.

Giacomo Cadeddu

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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