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L’alleanza sulle materie prime tra l’Italia e l’Europa passa da Taranto

Il Tecnopolo del Mediterraneo a Taranto è l’opportunità di cambiamento per la città e per la regione, nel passaggio da un’economia lineare a un’economia circolare

Polo tecnologico di Taranto

Il progetto del polo tecnologico di Taranto è partito due anni fa, per iniziativa del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con la presentazione ufficiale fatta dall’onorevole Lorenzo Fioramonti, allora vice ministro del Ministero dell’Istruzione all’interno del primo governo Conte. La presentazione è stata fatta a Taranto, ma da allora poco è cambiato. Nel 2019 il governo ha stabilito lo stanziamento di 9 milioni di euro per gli anni 2021-2022 per il Tecnopolo di Taranto all’interno della Legge di Bilancio del 2019. Se una bozza di statuto esiste, c’è ancora incertezza su quale sarà l’effettiva funzione del polo, in che modo dovrà essere gestito e da chi. L’onorevole Fioramonti, dopo aver presentato le sue dimissioni da ministro nel 2019 ha promesso che avrebbe versato i soldi della propria indennità di parlamentare proprio al Tecnopolo, che, come riporta Repubblica, ha definito: «un centro di ricerca pubblico che – da viceministro prima e da ministro poi – ho promosso a Taranto, una città deturpata da un modello di sviluppo sbagliato. E invito anche altri parlamentari 5 Stelle a fare lo stesso, non appena il conto sarà attivo».

Gli obiettivo del Tecnopolo del Mediterraneo sono stati illustrati durante la discussione avvenuta lo scorso 12 settembre all’Istituto Pacinotti di Taranto, durante la conferenza sull’Istituto di Ricerche Tecnopolo Mediterraneo per lo sviluppo sostenibile con sede in Taranto. A questa hanno preso parte l’on. Lorenzo Fioramonti, ex ministro del Miur e oggi deputato del gruppo misto (ex Movimento 5 stelle), la dottoressa Eleonora Rizzuto, presidente e fondatrice di Aisec – Associazione Italiana Economia Circolare, l’Ammiraglio Fabio Caffio, esperto di diritto internazionale marino e il prof. Giorgio Assennato, ex direttore di Arpa Puglia. La discussione è stata introdotta e moderata dal professore Vito Albino del Dipartimento di Meccanica, Matematica e Management del Politecnico di Bari.  

Taranto, conta 195’227 abitanti, è il capoluogo pugliese e affaccia sul mar Ionio. La sua posizione e l’abbondanza di materie. La questione Ilva non può essere ignorata: in aggiunta al discorso sulla riconversione, al fattore ambientale e della salute, ogni intervento dovrà tener conto della situazione occupazionale. A rischio ci sono migliaia di posti di lavoro. Il Tecnopolo dovrebbe e vorrebbe prendersi carico di queste questioni centrali per il territorio tarantino e pugliese. Con ‘tecnopolo’ si intende un centro per lo sviluppo produttivo e tecnologico delle imprese grazie al supporto della ricerca scientifica. Nel caso del Tecnopolo di Taranto, molti sono i punti ancora da definire per poterlo rendere operativo. «Nella denominazione – spiega il professor Vito Albino – si parla di Istituto di ricerche Tecnopolo mediterraneo per lo sviluppo sostenibile. Siamo partiti da qui e abbiamo guardato alle possibili applicazioni sul territorio, non avendo a disposizione uno statuto, a parte la prima presentazione fatta a Taranto nel 2018. Attendiamo che il governo esprima un orientamento. Il tratto che nell’ambito della sostenibilità ci è sembrato più idoneo a essere portato avanti anche nello scenario europeo è stato quello del mantenimento della biodiversità. Una prima ipotesi che va discussa».

Eleonora Rizzuto sul tecnopolo di Taranto

Un’idea emersa durante la conferenza riguarda la trasformazione del Tecnopolo in un punto di contatto con l’Europa per la gestione condivisa delle materie prime: «Dovremmo riuscire a creare una sintesi tra la ricchezza territoriale e l’apertura a realtà italiane e non – spiega la dottoressa Eleonora Rizzuto. «È di poche settimane fa la notizia che in Europa siamo riusciti a ottenere l’alleanza per le materie prime. Sono anni che spingiamo in questa direzione. Per Taranto, il Tecnopolo può diventare un centro per la gestione delle materie prime a livello regionale e nazionale per l’alleanza europea, dando vita anche a prospettive occupazionali. Questa è solo una delle ipotesi, ma considerando il legame di Taranto con il suo territorio, le aziende e le città della regione, le prospettive ci sono. Il Tecnopolo può essere un propulsore di sviluppo, ma deve esserci un’agenda, soprattutto perché il problema degli esuberi può scoppiare da un momento all’altro».

Di cambio di mentalità, di apertura a un nuovo meccanismo di sviluppo e dell’urgenza di intervenire ha parlato anche l’on. Fioramonti, uno dei principali promotori del Tecnopolo di Taranto. Oltre al discorso più ampio relativo a un necessario cambio di passo e di mentalità, Fioramonti ha fatto riferimento ai primi tavoli di discussione: «A quei tavoli erano presenti anche i grandi player dell’energia come Enel e Snam, dal momento che le questioni riguardavano sia  un collegamento potenziale con il porto di Grottaglie, sia la necessità di decarbonizzare Ilva – spiega – l’idea era di non puntare solo al mantenimento dello status quo, ma di arrivare anche alla creazione di valore. C’era già un indotto economico a disposizione, così come ci sono i player internazionali che guardano a questo Polo. La questione Ilva è centrale: potrebbe diventare un punto di partenza per la creazione dei combustibili del futuro».

Global Green New Deal

La crisi economica causata dalla pandemia non può essere una scusante per non intervenire e non prendere decisioni per l’ambiente. Basti pensare alla nascita della Silicon Valley, presa come esempio per la creazione del centro di innovazione tarantino: «Più di dieci anni fa il programma ambientale delle Nazioni Unite aveva proposto il Global Green New Deal con un intervento di 3mila miliardi di dollari – spiega il prof. Vito Albino –, ma nel 2009, in piena crisi subprime questa proposta non trovò grande accoglienza tra i governi del G20. Oggi serve un cambio di mindset. La Silicon Valley prese forma dall’idea di due giovanotti e un prorettore. È così che parte la scintilla. Dobbiamo raccogliere gli stimoli internazionali e poi applicarli sul territorio». 

La questione dell’internazionalizzazione ha avuto un ruolo chiave nella discussione politica sorta attorno alla creazione del Tecnopolo. Non sono mancate le critiche rivolte alla possibilità di rendere il polo internazionale, aperto a ricercatori e alle aziende europee e non solo. «Il cantiere Taranto deve essere una opportunità per i Tarantini», è stata l’obiezione presentata per esempio dal sindaco Melucci. «È stata sottolineata la necessità di mettere al lavoro su questo progetto delle eccellenze italiane», ha detto la dottoressa Eleonora Rizzuto. «L’onorevole Fioramonti ha impostato questo tecnopolo su una caratteristica: non aprire all’estero tout court, ma aprire alle eccellenze. Abbiamo diversi esempi in Italia che si stanno posizionando in questa direzione, come il progetto della Smart City di Livorno». La ricerca è per sua natura internazionale, ha spiegato l’ex direttore di Arpa Puglia Assennato: «In Puglia ho verificato pratiche antiquate, tradizionali e retrograde – ha commentato – uno degli scopi del Tecnopolo dovrebbe essere quello di stimolare la creazione di nuove attività nello spirito di una crescita. Vorremmo vedere persone e leader da tutto il mondo presenti qui, radicate qui e che facciano una scelta di vita, svolgendo qui un’attività. Se produciamo microalghe, avrò bisogno di biologi che mi diano una mano. Noi tendiamo a insegnarlo, ma dobbiamo anche impararlo. Sarà necessaria una sinergia tra pubblico e privato».

Eleonora Rizzuto

Della centralità del territorio e delle infinite possibilità di trasformare questa città in un polo di attrazione di innovazione e propulsore di tecnologie circolari non solo in Italia, ma anche in Europa la dottoressa Rizzuto: «Abbiamo bisogno di modelli per la transizione a uno sviluppo basato sull’economia circolare. In secondo luogo dovremo individuare sul territorio italiano quelle proprietà che possano rendere Taranto un modello. Se il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte dice Non adesso, vuol dire che non ha capito che questo è ‘il’ progetto italiano che può dare spazio ad altri progetti simili». Il passo da compiere, secondo Rizzuto, prevede da un lato un intervento più deciso da parte del governo e dall’altro una sinergia tra pubblico e privato, senza la quale questo progetto rischierebbe di non poter esprimere le proprie potenzialità. «Lo sviluppo sostenibile e l’economia circolare devono essere sostenuti dal governo centrale con incentivi, ma dobbiamo anche chiedere un aiuto al privato. Chiediamo alle aziende di parlare, soprattutto quelle che muovono milioni di euro, perché loro possono scalfire la nostra politica. L’invito è a non far passare altro tempo. L’associazione che rappresento può fare da volano per la cerchia delle aziende che sono nostre socie».

Valeria Sforzini

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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