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Dai prodotti finiti al materiale: un laboratorio diffuso in Veneto

L’interesse futuro del fashion design in un progetto made in Venezia: Fabbricrafter e le sue declinazioni, tra upcycling, zero-waste e biomateriali

Fabbricrafter – made in Venezia, ideato dalla Professoressa Alessandra Vaccari dell’Università IUAV

Si parla di crafters e di makers, di aziende che hanno colto la necessità di condividere il loro patrimonio di conoscenze con professionisti giovani e di sostenibilità del territorio. La regione è il Veneto, l’orizzonte di applicazione è transnazionale. Fabbricrafter è made in Venezia, ideato dalla Professoressa Alessandra Vaccari dell’Università IUAV, sostenuto dalla regione in seguito alla vittoria di un bando del Fondo Sociale Europeo. Il progetto ha ricevuto il punteggio più alto tra tutti quelli presentati dalle università venete ed era l’unico che si occupava di moda.

«Da tempo cerchiamo di tenere contatti con il territorio e le sue aziende per i corsi di laurea dell’Università», spiega la professoressa di storia e teoria della moda Vaccari e Responsabile Scientifico di Fabbricrafter, «queste (le sei mila aziende del settore presenti nella regione ndr) sono una ricchezza per il Veneto. Allo stesso tempo, attraverso un dialogo tra noi e le imprese abbiamo notato i margini per una potenziale crisi: la difficoltà ad affascinare i giovani creativi sulle realtà locali, l’assenza di personale esperto delle nuove tecniche di lavorazione dei materiali e nella transizione verso l’industria 4.0». 

Fabbricrafter – un laboratorio diffuso

L’idea nata in seguito a queste riflessioni è stata quella di creare un modello per le aziende e provare a rispondere alle esigenze del settore. In Veneto più di un terzo degli addetti della moda – secondo l’indagine IUAV – ha più di cinquant’anni. Il ricambio generazionale è un allarme occupazionale che deve essere letto al contrario: non si trovano le figure professionali. Ecco perché il progetto è «un laboratorio diffuso impregnato sulla figura di alcuni ricercatori universitari con una predisposizione alla mobilità di pensiero e alle capacità per lavorare dodici mesi al progetto, facendo da ponte tra Università e aziende coinvolte», spiega Vaccari. Fabbricrafter vuole esplorare oltre le pareti universitarie, facendosi apripista, «come un laboratorio diffuso di sperimentazione dell’abito, della calzatura e degli accessori può contribuire alla sostenibilità ambientale e sociale della manifattura veneta per la moda, tra biomateriali, riciclo e artigianato digitale»

Non si tratta di nuovi impiegati al servizio della moda ma di figure professionali ibride, a cavallo tra lo studio e le capacità di makers (creatori che sfruttano la tecnologia nel processo produttivo) e crafters (artigiani che puntano sul digitale per comunicare, promuovere e vendere i propri prodotti). «Queste figure lavoreranno con autonomia concettuale e con possibilità di sperimentare. I ragazzi che provengono dalla nostra scuola fanno molte attività di laboratorio sporcandosi le mani, unendo con fluidità la parte teorica a quella pratica», continua la Professoressa, «una mentalità che – una volta tradotta in modello aziendale – spesso viene regimentata». 

Fabbricrafter – il fatto a mano, il valore dell’artigianato

A questo si aggiunge il concetto di sostenibilità «del made in Italy e del territorio, che unisce buone pratiche e valorizzazione del capitale umano», continua Vaccari. «Fabbricrafter si innesta su un progetto precedente (Fashion Futuring) che individuava le aziende italiane che potessero avere un futuring, cioè l’obiettivo di creare qualcosa ridefinendo il concetto di sostenibilità – anche in termini sociali e umani, superando la mentalità del sostenibile uguale packaging non in plastica». Da questo terreno fertile sono state individuate le aziende.

«Un altro spunto per la selezione delle imprese emerge dalla tradizione punk – intesa come Do It Yourself artigiana – che sta andando perdendosi nel made in Italy», spiega Vaccari, «È necessario tornare al fatto a mano e ritrovare quello che risponde al senso di ‘futuro artigianale’ – riprendendo la teoria di Richard Sennett sull’artigiano: esso non può essere retroguardia industriale ma generatore di futuro». In questo contesto si innestano esperienze e competenze che spaziano dalle forme di economie circolari, ai modelli di design partecipativo e open design, eco-fashion, fino all’utilizzo di nuovi tessuti che recuperano scarti industriali e residui agricoli.

Compresa l’anima teorica del progetto, la sua traduzione pratica avviata a settembre 2020 ha visto l’individuazione di tre assegniste di ricerca (selezionate attraverso un bando pubblico in base alla loro preparazione ed esperienze) e dei tre partners aziendali. L’obiettivo finale, oltre al lancio di un possibile modello professionale replicabile e alle future connessioni transnazionali – la parte finale del progetto prevede tre mesi presso la Escola D’Art i superior De Disseny (EASD) di Valencia in collaborazione con la Professoressa Desamparados Pardo Cuenca, Direttrice del master CoDiseño de Moda y Sostenibilidad – la realizzazione di una capsule collection. Idealmente, un outfit completo previsto di un capo, calzature e accessori. 

Clizia Moradei, la collaborazione con Womsh

A Clizia Moradei, toscana con formazione da designer industriale e una magistrale di moda, è stato assegnata la collaborazione con Womsh, brand di calzature sostenibili con sede a Vigonza (Padova): ‘Calzature a impatto zero. Plastica riciclata e alternativi in bio-based per il design della scarpa’. I prodotti realizzati dall’azienda sono solo made in Italy. Dal 2014 Womsh ha introdotto una linea di sneakers in Apple Skin, materiale vegano ottenuto dagli scarti della lavorazione delle mele prodotto da Frumat.

La ricerca di nuove soluzioni per il mercato e nuovi materiali da sperimentare erano punti di partenza necessari per la partecipazione a Frabbricrafter. «Anche se da un lato si tratta del progetto più semplice perché la lavorazione di materiali sostenibili è già il centro dell’azienda», spiega Vaccari, «dall’altro lato è stata una sfida accettare di rivolgersi ad un pubblico diverso con gli occhi e la sensibilità di persone che hanno vent’anni, e anche se il prototipo era pensato sulle scarpe, hanno aggiunto la realizzazione di un capo sportswear».

Débora Russi Frasquete

Il rapporto tra lusso, recupero e riutilizzo creativo (upcycling) degli scarti è invece l’obiettivo di Débora Russi Frasquete, origini brasiliane, un percorso formativo basato sulla modellistica, approfondito con una magistrale di storia e un dottorato allo IUAV – presso Ileana Pasin: Piccola Pelletteria Digitale. Recupero degli scarti di pellame e loro valorizzazione attraverso il design della moda e le tecnologie di fabbricazione digitale.

L’azienda ha sede a Mogliano Veneto (Treviso) ed è esperta nella lavorazione di pelle pregiate per la confezione di indumenti per i maggiori brand del lusso italiano e internazionale (tra cui Hermès). «La lunga esperienza dell’azienda ha impegnato la ricercatrice nella prima fase del progetto nell’archiviazione e catalogazione di tutto il loro materiale. Un passaggio essenziale per la selezione dei materiali destinati alla realizzazione di una linea di piccola pelletteria», spiega la Professoressa. La nobilitazione degli scarti di pelle avverrà tramite l’uso di tecnologie digitali come software vettoriali, laser cut, stampa digitale su pelle e cuoio. 

Veronica Spano

La ricerca dedicata alle relazioni tra artigianato e applicazioni digitali nel campo della tessitura manuale, con l’obiettivo di realizzare un capo zero-waste (senza consumi) è il campo d’azione di Veronica Spano. Una formazione ibrida come manager di business creativi e culturali che ha sperimentato in diverse occasioni come la Creative Business Cup (fondazione governativa danese nata per dare supporto a startup creative nel mondo), e l’esperienza come direttrice commerciale di una manifattura sociale di moda etica e sostenibile ad Atene – dopo un corso di Fashion Manufacturing alla Saint Martins di Londra. Nel suo percorso per Fabbricrafter incontra la Tessitura La Colombina con sede a Badoere (Treviso). La tradizione del telaio manuale e il suo ritmo si incontrano nella definizione della qualità attraverso i filati pregiati e a fibra lunga. Dal cashmere alla seta fino alla canapa. 

«Dopo qualche settimana in azienda ho capito i privilegi e i difetti della mia posizione di ricercatrice accademica all’interno di una realtà in fermento, armata da scopi diversi rispetto l’Università», racconta Veronica Spano. «Quando necessario divento osservatrice delle attività aziendali e al tempo stesso, posso inserirmi in logiche quotidiane e suscitare dubbi su processi consolidati con domande o suggerimenti». La realizzazione di un capo, partendo dalla selezione di filati, la realizzazione del cartamodello, fino all’uso dei telai dovrà rispettare l’etica sostenibile e la riduzione dei consumi sulla produzione. 

La realizzazione di un capo, partendo dalla selezione di filati

Per questo, il ripensamento del piazzamento del tessuto tramite software CAD (Computer Aided Design) sarà parte attiva del progetto. La cultura insita nelle lavorazioni della Tessitura si approccia allo sguardo millennial e al loro paradigma digitale. Il valore di entrambi, artigianato e tecnologia, si nobilita nel materiale. «Il concetto di fabbrica lenta non è anacronistico bensì apre ad un mondo nuovo. Le piccole quantità di prodotto sviluppate in azienda concedono una tolleranza maggiore verso i margini d’errore», spiega la ricercatrice. «L’approccio di Carlo Colombo è proprio quello di continuare a provare e imparare dai fallimenti, perché da questi emergono soluzioni innovative».

«Il mio obiettivo è riuscire ad abbracciare il ruolo del crafter, accogliendo la sfida di trovare un compromesso tra necessità di sviluppo cento per cento sostenibile e fattibilità del progetto, legata ai tempi del telaio manuale e le strategie di sviluppo adottate da Tessitura La Colombina», continua Spano: «il fashion design sta attuando uno spostamento – per il momento necessario – dai prodotti finiti, ai materiali utilizzati». Per farlo servono il sapere artigiano, la lavorazione di fibre d’eccellenza e i concetti della fabbrica lenta. «È un incontro e scontro di tempi e modi di percepire il tempo. Fabbricrafter mi permette di lavorare un anno con un’azienda che si estende in secoli di esperienza. Insieme si intravedono obiettivi terzi e idee per il futuro», conclude Veronica Spano.

Alessandra Vaccari

Professoressa di storia e teoria della moda allo IUAV di Venezia e Responsabile scientifico del progetto Fabbricrafter

Veronica Spano

Assegnista di ricerca per Fabbricrafter alla Tessitura La Colombina di Badoere (Treviso)

Mariavittoria Zaglio

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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