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ApritiModa: i laboratori nascosti dell’artigianato italiano

Fondato dalla giornalista Cinzia Sasso, permette al pubblico di visitare per due giorni le sedi dei marchi dell’abbigliamento e dei protagonisti della filiera

ApritiModa: scoprire brand e laboratori

Per divulgare i valori della moda presso un ampio pubblico la Francia offre un modello d’ispirazione: Les Journées Particulières, che dal 2011 porta i cittadini a contatto con l’operato delle maison. Le organizza il gruppo LVMH con cadenza quasi biennale (le edizioni precedenti sono state nel 2011, 2013 e 2016). Percorsi guidati, eventi con dimostrazioni e percorsi interattivi: occasioni per mostrare il lavoro e la passione di maestri specializzati, dagli orologiai ai creatori di bauli. Nell’ultimo appuntamento hanno aderito cinquantasei realtà. È la stessa cosa che vorrebbe fare Cinzia Sasso, giornalista e fondatrice di ApritiModa. Poche passerelle, tanto artigianato. Permettendo al pubblico di toccare con mano esempi concreti di made in Italy, beni culturali viventi.

Il modello francese ha una differenza rispetto al progetto ideato e messo a punto in Italia: «Nel caso di LVMH si tratta di un marketing di gruppo, dato che la maison apre le proprie sedi. ApritiModa fa marketing di Paese, perché mette insieme più gruppi». La prima edizione parte nel 2017 a Milano, con aspettative basse: «Arrivarono circa 16mila persone». Aprono in totale quattordici luoghi: fra gli altri, i laboratori di Alberta Ferretti, Armani, Etro, Prada, Trussardi. Il secondo appuntamento è nel 2018, coinvolgendo i marchi di Firenze, da Gucci all’Antico Setificio Fiorentino. Anche il Museo della moda e del costume di Palazzo Pitti e l’Officina Profumo Farmaceutica di Santa Maria Novella. Nel 2019 si è tornati a Milano. 

ApritiModa 2020

Nel 2020, l’anno della pandemia, sono state riunite settantacinque aziende divise in tredici regioni. Alcuni esempi: «Lis Furlanis, laboratorio di Gonars, in Friuli, che realizza ‘le friulane’ seguendo la tradizione». Sono scarpe composte con materiali di scarto: sacchi di iuta, copertoni di ruote di bici, tessuto. Al maschile si chiamano ‘gli scarpets’ e in origine erano popolari fra le campagne del Friuli. Nel laboratorio di Lis Furlanis per dare forma a queste calzature si usano i cartoni delle pizze e i ritagli delle scatole di pasta. Le ruote delle biciclette servono invece per le suole, mentre la iuta dei sacchi di caffè è impiegata per rinforzare il tessuto. Spostandosi a Venezia si incontra la Tessitura Luigi Bevilacqua, fondata nel 1785 ma attenta alla lavorazione della seta dal Quattrocento. Fra i tessuti di cui si occupano le tessitrici dell’azienda c’è il soprarizzo, una tipologia di velluto realizzato a mano. Si chiama così perché è composto da due livelli di pelo, uno alto e liscio e uno più basso e riccio.

È un materiale che attraversa la storia. Nel Novecento era impiegato per l’arredamento (anche delle chiese), mentre nel 1953 Roberta Camerino sceglie di utilizzarlo per le borse, fra cui la Bagonghi, usata da Grace Kelly. L’Antico Setificio Fiorentino di San Frediano, a Firenze realizza la seta impiegata all’interno del Cremlino, a Mosca, e nella casa Reale di Svezia. Fondato nel 1786 dalle famiglie locali, mantiene vivo il legame con la tradizione partendo da un disegno. «Entrando si vede un progetto di telaio fatto da Leonardo da Vinci. È una copia, l’originale si trova a Londra nella collezione privata dei Windsor», racconta Cinzia Sasso. «Nella stanza successiva si vedono le tessitrici che lavorano esattamente su un telaio che parte da quel modello disegnato da Leonardo». Ci sono anche le sartorie teatrali. La Fenice di Venezia, La Scala di Milano, il San Carlo di Napoli, il Maggio Fiorentino: portano i visitatori all’interno dei laboratori che creano i costumi di scena per le opere. 

CATALOGAZIONE TESSUTI, GIULIO GHIRARDI, ANTICO SETIFICIO FIORENTINO Lampoon
Catalogazione tessuti, Giulio Ghirardi, Antico Setificio Fiorentino

Cappellifici italiani

Sempre al nord, ma nel Biellese, c’è il Cappellificio Cervo. Una fabbrica ottocentesca con macchinari del primo Novecento, riconoscibile dalla ciminiera e dall’insegna. L’attività viene fondata nel 1897 come Società Anonima Cooperativa tra i cappellai nel Biellese e nel tempo diventa un centro di riferimento per tutto il Piemonte. «Si trova in una valle buia e un po’ isolata, che prende il nome di Valle Cervi. Ancora oggi producono cappelli», continua Cinzia Sasso. Realizzano anche i copricapi Barbisio (marchio acquistato dal Cappellificio, insieme a Bantam) noti per la leggerezza. Negli anni Trenta iniziano le esportazioni verso il sud America, l’Africa e il Medio Oriente e durante il boom economico la produzione decolla e tocca quota 1300 cappelli al giorno. L’acqua del torrente Cervo è pura ed è alla base del trattamento delle fibre e per la nobilitazione dei feltri pregiati. In Piemonte c’è anche Borsalino, con base ad Alessandria (Spinetta Marengo). Realizza cappelli dal 1857: per ogni capo sono necessarie sette settimane e più di cinquanta fasi di lavorazione manuale. «Appena si entra in sede si vede un cumulo di peli di coniglio selvatico, casalingo e di lepre. Sono inseriti all’interno di un macchinario risalente all’Ottocento e da lì si crea il feltro, con il quale si producono i cappelli». Diventati poi simboli di stile nel cinema. Dai cappelli ai guanti, spostandosi a Napoli. Qui la famiglia Squillace – titolare del guantificio Omega – li realizza dal 1923. «Per raggiungere la sede bisogna salire cinque piani di un palazzo. Si apre la porta e ci si ritrova nel laboratorio. Lavorano a mano: i guanti, creati qui, sono poi venduti sulla Fifth Avenue a New York», prosegue Cinzia Sasso. La produzione segue la tradizione: pelli ‘pieno fiore’ – cioè morbide al tatto – tinte per immersione, mai plastificate, e tagliate a mano. 

ApritiModa 2021

Per trovare i luoghi da aprire al pubblico lo staff di ApritiModa lavora tutto l’anno. Studiano e fanno ricerche: in seguito chiamano le aziende, spiegano il progetto e capiscono se c’è disponibilità. Ogni laboratorio gestisce le visite come preferisce. Tutto si svolge a titolo gratuito. Le aziende non pagano per partecipare e le persone non pagano per visitarle. La prossima edizione si terrà fra il 23 e il 24 ottobre e dovrà interfacciarsi con le norme anti pandemia, rispettabili grazie alle prenotazioni. Fra le novità, un focus sulle attività a basso impatto ambientale e l’apertura alle occhialerie. L’intenzione è creare una sorta di cartina geografica dell’artigianato italiano, oltrepassando (ma non dimenticando) la dimensione Milano-centrica. Due linee che si intersecano: «Milano è la vetrina. Senza i prodotti, la vetrina rimarrebbe vuota»

Cinzia Sasso

Giornalista e creatrice di ApritiModa, Cinzia Sasso inizia a pensare al progetto nel 2017. È un periodo molto buono per Milano. Expo ne ha aumentato il respiro internazionale, le iniziative culturali fioccano e coinvolgono gli abitanti della città in prima persona. BookCity e PianoCity sono eventi (fra gli altri) che ormai da qualche anno spezzano il vetro fra pubblico e settori considerati elitari. Però manca qualcuno all’appello: il mondo della moda continua a restare chiuso nelle proprie stanze. Organizza sfilate riservate a pochi. Tutti gli altri guardano le passerelle da lontano. 

Elisa Cornegliani

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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