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Milano in uno scatto di Margherita Chiarva
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Dove sono gli intellettuali di oggi? Sergio Scalpelli e la sua Milano, l’infanatica

Milano, l’infanatica. Industria e innovazione, editoria, design e moda. Sergio Scalpelli, presidente de Linkiesta e consigliere del Centro Studi Grande Milano, racconta la città più europea d’Italia

Grand Milan: il Centro Studi Grande Milano e il mondo intellettuale del ceto colto milanese

Un’associazione nata con lo scopo di promuovere e divulgare l’idea e i valori di una Milano più grande, autorevole e confrontabile con le diverse realtà metropolitane. Sergio Scalpelli introduce: «Il Centro Studi Centro Studi è nato una ventina di anni fa e si è posto all’inizio come erede dei circoli culturali milanesi. Dal dopoguerra in avanti infatti, sono fiorite a Milano grandi esperienze di associazionismo culturale, dalla Casa della Cultura, al circolo Puecher, legate alle grandi tradizioni politico-culturali. Queste associazioni hanno tenuto vivi i rapporti tra politica e il mondo intellettuale del ceto colto milanese, e sono stati il motore dello sviluppo della città dal dopoguerra fino agli anni Ottanta». In quegli anni Milano, tra le macerie, riuscì a consolidarsi quale punto di riferimento in alcuni settori – l’editoria, la moda, il design – e a cogliere le opportunità poste dalla comunicazione, dimostrando la sua capacità di anticipare tendenze.

La città oltre le mura

L’hinterland di Milano è fitto e legato alla vocazione industriale che nel dopoguerra rese la città un polo d’attrazione per molte famiglie del sud Italia. «Il Centro Studi nasce con l’idea che non si possa più considerare Milano nei confini amministrativi della giunta comunale, ma che sia una realtà al centro di una rete di più o meno di 4 milioni e mezzo di persone, con intorno realtà come Monza, la Brianza, Sesto San Giovanni, San Donato. Centri che hanno avuto un ruolo nella storia industriale del Paese e della città.» Oggi come nell’immediato dopoguerra, Milano continua ad essere la città prescelta da chi ricerca opportunità, da chi sceglie di partire per finalizzare studi, avviare la propria carriera, per costituire una nuova vita legata al culto del lavoro. «Oggi il tema a Milano è come fare rete tra la città più tradizionale è la città dell’Innovazione. Non è possibile ridurre il governo delle città a una dimensione amministrativa, occorre rispondere a una domanda sociale del territorio, fatta di infrastrutture, trasporti e digitale, salute e sanità. Di reti che in qualche modo governano, guidano e assicurano la qualità della vita urbana».

Gli scali ferroviari e la deindustrializzazione

A Milano è in corso una delle trasformazioni più importanti nella storia della città: la riqualificazione dei sette scali ferroviari dismessi. Snodi infrastrutturali che tra il 1800 e il 1900 erano stati destinati al trasporto merci su rotaia, e che da decenni giacciono abbandonati, archeologie industriali che testimoniano il passato che fu. «Quel che ha consentito a Milano di mantenere una sua solidità e un vantaggio competitivo sul resto d’Italia, soprattutto nello sviluppo immobiliare, è legata al buon governo che ha avuto tra gli anni Settanta e gli Ottanta, cioè nel passaggio in cui hanno convissuto la lotta al terrorismo e la prima fase della deindustrializzazione. La città allora era contornata da comparti industriali che davano impiego a migliaia di persone e lo sviluppo urbanistico urbano doveva tener conto di accogliere decine e decine di migliaia di persone dell’immigrazione interna. Milano è riuscita in qualche modo sia a sconfiggere il terrorismo sia a guidare questo passaggio dalla società industriale a quella post industriale con una certa morbidezza».

L’editoria e la Milano da bere – una lunga storia d’amore 

L’editoria contribuisce alla formazione dell’Italia repubblicana, allo sviluppo economico e alla modernizzazione del Paese, all’alfabetizzazione dei suoi cittadini. «Milano è dal dopoguerra la capitale dell’industria editoriale, sono nate qui due più grandi case editrici italiane, Mondadori e Rizzoli. Gli anni Ottanta sono stati esplosivi per la città, qui nasce l’industria culturale, fatta di piccole medie case editrici, frutto anche della riorganizzazione di cooperative editoriali Universitaria, di radio libere o commerciali, del fenomeno di Mediaset, una sfida al monopolio della RAI. Esplodono opportunità legate alle nuove professioni, in particolare alla pubblicità, alla comunicazione, la cosiddetta milanodabere. Questo insieme di cose fa di Milano una città che in qualche modo si accorda al passaggio dalla tradizione della storia industriale a quella postindustriale, ma mantiene questa caratteristica di città dell’innovazione». 

Comunicare per il consenso

«Nonostante una riorganizzazione legata al digitale, l’editoria rimane uno dei perni e dei tratti fondamentali della città, anche nella forma di comunicazione e di raccordo con la nuova città. Le iniziative sono giocate sul rapporto di sviluppo, comunicazione, innovazione e socialità. Impegno e inclusione diventano il binomio su cui sempre più spesso si costruisce il consenso.» La partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini, sia di residenti sia di City Users, all’interno della vita del Comune è stimolata da processi attivi come la piattaforma digitale Milano Partecipa. «Vent’anni fa la giunta di Gabriele Albertini ha cambiato una serie di regole urbanistiche, sbrogliando i lacci della burocrazia e attirando investitori internazionali, soprattutto anglosassoni, con una cultura del consenso che Milano è stata in grado di accogliere e rendere propria. Ne è un esempio il quartiere Isola, dove fu fatto un lavoro pionieristico, che ha reso possibile oggi Porta Nuova. Il rapporto con le comunità consente di far capire cosa stai facendo, i progetti che devono essere raccontati». 

Il modello Milano

«A volte si abbatte, si innova e si cambia. C’è stato un momento in cui la città ha dato l’idea di favorire l’innovazione, e ciò ha contribuito a far crescere l’immagine della città. Merito anche delle due eccellenze della città: il design e la moda, che garantiscono una pervasività della comunicazione senza pari.» In città il tempo corre più veloce che nel resto d’Italia e il “modello Milano” vede affiancati investitori e progettisti che operano per stimolare lo sviluppo veloce della città: «Oggi vi sono aree della città completamente plasmate dall’architettura contemporanea, e ciò piace. C’è una voglia pazza di raccontare pezzi di città che vanno cambiando sotto gli occhi di tutti, penso a Nolo, a posti che fino a pochi anni fa erano considerati poco appealing».  

La politica di Milano

Il modello appare virtuoso, perché allora la rappresentanza della città ambrosiana nei palazzi del potere romani non è incisiva? «Milano ha sempre fatto fatica a contare, eppure è la capitale di alcuni dei fenomeni politici più importanti della storia italiana dell’ultimo secolo: il fascismo, il socialismo di Bettino Craxi, la Lega. È una città che per alcuni aspetti si comporta da città stato che considera la politica un’attività importante, purché non disturbi la vita della società civile, non disturbi affari e attività professionale. L’amministrazione comunale accompagna le iniziative e i progetti, basta pensare alla politica culturale di gallerie e teatri, sviluppata in gran parte da privati. Anche per questo, a Milano, tra le giunte di centro destra e di centro sinistra non c’è mai stata una vera e propria lacerazione. Il rapporto della città con la politica è un rapporto che, come diceva Alberto Savinio, è da città “infanatica”, e ciò garantisce la continuità amministrativa e una vocazione pragmatica a governare la cosa pubblica assecondando gli interessi di sviluppo della città». La salute della città, insomma, viene prima di tutto perché, alcune cose in Italia, si possono fare solo a Milano.

Sergio Scalpelli

Organizzatore di cultura, dirigente politico e consulente editoriale, ha diretto dal 1983 al 1992 la Casa della Cultura di Milano e assessore nella giunta del Comune di Milano dal 1997 al 2001. Giornalista e consulente editoriale, nel 1995 è stato tra i fondatori del quotidiano il Foglio (1995), di cui ricopre l’incarico di Amministratore Delegato fino al 1998. È nel consiglio di redazione delle riviste MicroMega e Limes e dal 1991 al 1993 è stato nel Consiglio di Amministrazione dell’Università Bocconi. Per vent’anni è stato il capo della lobby e dei rapporti con i media di Fastweb. È Presidente della rivista Linkiesta e de Linkiestaclub, dell’Associazione Pierlombardo Culture – Teatro Franco Parenti e del Centro internazionale di Brera. 

Elisa Russo

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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