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Un baule e le guglie del Duomo, in mostra davanti a Palazzo Reale

Qual è la differenza tra moderno e contemporaneo, se l’artigianato italiano può durare per sempre? Un baule da viaggio Louis Vuitton, costruito nell’Ottocento mantiene una robustezza che è anche estetica

Una mostra, allora come oggi. L’esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne

La mostra doveva aver luogo nel 1913: fu rinviata per lo scoppio della Prima guerra mondiale. Inaugurò a Parigi dodici anni più tardi, nel 1925, a Les Invalides. Diversamente dalle precedenti edizioni – Torino, Bruxelles, Monza – che videro dominare il gusto Art Nouveau, l’esposizione del ’25 fu un manifesto di sperimentazione futuristica. Era il primo dopoguerra. Ammesse solo opere di ispirazione, escluse copie o pastiches del passato. Assente la Germania, ancora considerata nemica dalla Francia, presente l’Unione Sovietica (fu questo il primo riconoscimento internazionale del governo bolscevico). Alle forme già superate dell’Art Nouveau con i suoi ghirigori floreali, succedono linearità e volumi solidi. Meno elementi di arredo rispetto al passato – un disegno più compatto, in fieri il ragionamento sulla funzionalità. Nasce lo Stile 1925 (Art Déco è un’espressione che sarebbe rimasta invisa fino agli anni Sessanta). 

Il padiglione del Turismo fu progettato da Mallet-Stevens

Il padiglione ceco di Joseph Gocar apparve come manifesto del rondo-cubismo praghese. Le Corbusier e Pierre Jeanneret presentarono il Padiglione dell’Esprit Nouveau, una riflessione iniziata nel 1922 sulla densità urbana e la qualità dell’abitare: protagonista fu una scatola geometrica bianca – un unico blocco di ville multiple, ciascuna con la propria terrazza. Adiacenti, due diorami di cento metri quadrati di superficie – il Piano per una città moderna di tre milioni di abitanti del 1922. Alle pareti i progetti di grattacieli cruciformi, abitazioni con layout sfalsati, e piani strutturali per un’architettura che potesse rispondere alle domande del futuro.

Gaston-Louis Vuitton

Il Grand Palais ospitò la sezione della Decorazione – sartoria, profumeria, gioielleria – e del Mobilio: le arti e le industrie del legno, del cuoio, della ceramica, del vetro, dei tessili. Il vice presidente del comitato d’ammissione fu Gaston-Louis Vuitton. Il suo stand verde e argento divenne argomento di un reportage di René Chavance per la rivista francese Mobilier & Décoration: un sobrio gioco di linee rette e d’angoli acuti – scrisse –, niente sovraccarichi inutili, solo l’indispensabile’ Oltre al porta-abiti, la trousse e quanto altro in pellami esotici, fu esposto il baule di gala accessoriato Milano: rivestito di marocchino nero e foderato in marocchino rosso.

Gli accessori in avorio, cristallo intagliato e vermeil – più di cinquanta pezzi su tre ripiani estraibili: tra gli altri, il nécessaire da unghie, da barba, l’occorrente per scrivere, gli accessori da toilette e da vestiario (un calzante da scarpe e un apri-guanti). Per non schiacciare le setole delle spazzole un dispositivo a binari sospeso. Il baule, aperto, fece pensare alle guglie del Duomo di Milano – da lì, il nome. 

BAULE-BOMBATO-1865-COLLEZIONE-LOUIS-VUITTON
BAULE BOMBATO, 1865 – COLLEZIONE LOUIS VUITTON

Time Capsule Louis Vuitton

Louis Vuitton ha riportato in città questo esemplare unico, parte della mostra itinerante Time Capsule. L’esposizione ha luogo all’interno di una grande valigia posizionata appunto sulla piazza tra il Palazzo Reale e il Duomo di Milano. Un percorso delinea la fisionomia del viaggiatore moderno, dal 1854 – quando Louis Vuitton Malletier Paris era fondata al 4 di Rue Neuve des Capucines a Parigi – ai nostri tempi. Accanto agli esemplari dell’art de voyager, la moda donna e uomo, disegnate da Nicolas Ghesquière e da Virgil Abloh; la collezione Objets Nomades; le innovazioni tecniche correlate alla diffusione di nuovi mezzi di trasporto. Un Omaggio a Milano: il visitatore potrà osservare gli artigiani al lavoro e ripercorrere le collaborazioni che Louis Vuitton ha realizzato con gli artisti: da Yayoi Kusama a Cindy Sherman, Takashi Murakami e altri. 

Una storia di bauli

Discendenti dell’antica capsa e dei cassoni composti di tavole assemblate con pesanti chiodature – in cui nel Medioevo si riponevano abiti e suppellettili da portare con sé durante gli spostamenti di feudo in feudo – i bauli nel Settecento presentavano una struttura sgraziata e un coperchio bombato tipico dell’era delle diligenze. Con l’applicazione di energie come propulsione per i veicoli, l’espansione e il potenziamento delle rotte oceaniche, e un infittimento delle reti ferroviarie, le specifiche di prodotto degli articoli da viaggio furono riscritte. Il rovesciamento progettuale per mano di Vuitton fu dato dall’essenzialità dell’estetica, che si contrappose all’intensità decorativa: la forma piatta del coperchio più facile impilaggio. Louis Vuitton realizza il primo esemplare di baule con fusto in legno di pioppo – scelto per la pasta morbida di facile lavorazione, la leggerezza, e la durabilità.

È rinsaldato con doghe di faggio, e rivestito non più di pelle di porco, ma di una tela di canapa impregnata e dipinta ad olio dalla sfumatura medio chiara di grigio detta ‘Gris Trianon’. Seguiranno la rigata (1872), la Damier (1888) e la Monogram (1896). Dopo aver confezionato bauli concepiti per i ristretti spazi dei convogli ferroviari, Vuitton anticipa l’avvento delle vetture a motore e nel 1897 svela un primo modello del car trunk, un baule per automobile adattato a diversi tipi di carrozzerie e pensato per essere ospitato all’interno o all’esterno dell’abitacolo.

A seguire il roof trunk e la driver’s bag, un baule da tettuccio e una borsa da guidatore – un bagaglio dallo chassis ultraleggero, Aéro e Aviette, da imbarcare sui velivoli limitando il peso in eccesso. Ogni bagaglio fu protetto da una serratura brevettata dal meccanismo di bloccaggio anti-scasso a cui corrispondeva una chiave numerata irriproducibile, ma che permetteva di aprire tutti i bagagli di uno stesso proprietario. 

André Citroën partì il 28 ottobre 1924 da Colomb-Béchar in Algeria

Si intitolò la Crociera Nera: ventimila chilometri in 235 giorni fino all’arrivo, il 26 giugno 1925, a Tananarive in Madagascar. Una nuova via attraverso l’Africa centrale era stata tracciata. Per raccontarla al mondo, furono ingaggiati un cineasta – Léon Poirier, che un anno più tardi esce nelle sale con un film, appunto, La Crociera nera; un pittore-illustratore – Alexandre Iacovlev – per immortalare usi e costumi delle popolazioni incontrate. Una squadra di medici, ricercatori e ingegneri riportarono in patria campioni zoologici, botanici ed entomologici. Ogni autocingolato ebbe un nome –lo Scarabée d’or trasportò carte, armi e documenti; l’Éléphant à la tour, gli archivi e la tesoreria – e la sua dotazione di bauli di Louis Vuitton: resistenti, impermeabili alla sabbia, all’umidità e alle intemperie del deserto, della palude e delle foreste vergini.

Vuitton fornì i bagagli anche per la spedizione del 1931: fu inventatra la Steamer Bag ricalcata sulle borse da postino utilizzate nelle Americhe, che poteva essere riposta in uno dei comparti del wardrobe o del baule-cabina e contenere tutti i vestiti già indossati fino alla fine del viaggio – per dimensioni, leggerezza e comodità può considerarsi l’antesignana del borsone da sport di oggi. Quella del 1931 è una traversata automobilistica dell’Asia, dal Mediterraneo al Mar cinese – la Crociera Gialla. 43 uomini e 14 autocingolati, divisi in due gruppi: il gruppo Cina, guidato da Victor Point, arrivò a Pechino sulla Transiberiana superando le tempeste di sabbia nel deserto di Gobi e le guerre civili in corso. Il secondo gruppo, Pamir partì da Beirut, superò l’Afghanistan in guerra e le vette di Col du Bourzil e Col du Kilith per arrivare a sua volta a Pechino.

I bauli Louis Vuitton

I bauli Louis Vuitton sono stati riprodotti nei telai e imitati nei materiali di rivestimento da parte di artigiani concorrenti. Dopo aver ridefinito l’aspetto dei bauli, modificandone alcuni dettagli, nel 1888 la tela Damier a scacchi marrone e beige, dall’aspetto di una tessitura a stuoia con dicitura ‘L. Vuitton marchio di fabbrica depositato’, è la leva per scoraggiare la contraffazione e riaffermare l’autenticità degli articoli Vuitton. Dopo la morte del fondatore nel 1982, il figlio George Vuitton crea nel 1896 il motivo Monogram, che viene impiegato per la prima volta solo un anno dopo.

Dapprima tessuta a telaio jacquard e successivamente, dal 1904, a pochoir – una tecnica simile alla serigrafia e allo stencil –, la tela con quadrifogli e fiori si ispira all’uso di orientalismi tipico dell’era Vittoriana inglese. Oggi, ogni ordinazione proveniente dall’atelier di Asnières porta l’impronta creativa del fondatore, custodita su base storica da Patrick-Louis Vuitton, quinta generazione e pronipote del layetier. Tutti i bauli commissionati – circa 400 gli ordini evasi ogni anno –, sono costruiti come da tradizione. Il laboratorio di Asnières-sur-Seine, nei pressi della Senna restava luogo ideale per l’approvvigionamento di legname da lavorazione.

L’imperatrice Eugenia di Montijo

La moglie di Napoleone Bonaparte, acquistò un baule bombato nel 1865 realizzato su misura. Dopo aver commissionato bauli stagni in zinco e ottone, l’esploratore italiano Pietro Savorgnan di Brazzà ordinò un baule-letto che fu realizzato in tela Monogram e brevettato nel 1885 – utilizzato per una spedizione in Congo. Per le bambole delle principesse Elisabeth e Margaret d’Inghilterra l’azienda creò porta-abiti modello Corte in vacchetta naturale della dimensione di quaranta centimetri. La cantate lirica Lily Pons voleva un secrétaire per trentasei paia di scarpe. Karl Lagerfeld, un bauletto a mano in cuoio Taiga per contenere una ventina di iPod. 

Matteo Mammoli

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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