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Arte: per volontà dell’uomo maschio, etero, europeo si è chiamata così – interviene Carolyn Christov-Bakargiev

Cosa resta alla fine di una mostra? Il libro d’arte, anche se «è difficile definirlo, senza sapere cos’è arte oggi». Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del museo di arte contemporanea del Castello di Rivoli

Ri-Vista – Dove finisce l’arte quando la mostra chiude? 

Le parole e i ragionamenti di Carolyn Christov-Bakargiev sono taglienti, oggetti magnetici pronti a catturare l’attenzione di addetti ai lavori e curiosi all’evento di Bookcity, organizzato da LeftLoft alla Triennale di Milano. «È difficile definire un libro d’arte senza sapere cos’è arte oggi», ha risposto a chi le chiedeva se la categoria del libro d’arte avesse ancora senso, nel contesto contemporaneo dominato dal digitale. Lanciando una provocazione, storicamente fondata: «Arte: per volontà dell’uomo maschio, etero, europeo si è chiamata così. È un settore che esiste da pochi secoli». L’incontro Ri-Vista – Dove finisce l’arte quando la mostra chiude? ha riunito in dialogo la critica d’arte e direttrice del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, insieme a Edoardo Bonaspetti, co-fondatore della casa editrice Lenz e Bruno Genovese, co-fondatore di Leftloft.

Carolyn Christov-Bakargiev: «Gli antichi greci non avevano una parola che si chiamava arte, esisteva techné – che vuol dire arte nel senso dell’artigianato. Non esisteva il concetto di arte attuale». Arte diventa allora creazione strumentale, che riflette i rapporti e le relazioni sociali, come nel caso della distinzione tra lavoro non produttivo (l’atelier) e lavoro produttivo (la fabbrica, i campi agricoli).

Arte: origine della parola 

«È un’idea che nasce con Winckelmann nel Settecento. La storia dell’arte nasce sulla base dell’estetica e sulla base di alcuni prodromi nel Cinquecento, in particolare Vasari. Prima di Leonardo nessuno firmava le opere. L’arte è un concetto proprio della modernità». Winckelmann, archeologo e studioso tedesco vissuto tra il 1717 e il 1768, è l’autore de La Storia dell’arte nell’antichità (Geschichte der Kunst des Alterthums), un saggio di storia dell’arte del 1763, che segna la nascita dell’omonima disciplina. Sulla sua opera di recensione di tutta la storia dell’arte antica, compresa quella degli Egiziani e degli Etruschi, si basano le successive categorie della materia.

E se l’arte fosse stata creata dalle donne? «Con i se non facciamo niente. Il sapere occidentale ontologicamente è un sapere maschile. Non so cosa avrebbe fatto una donna, non l’avrebbe mai inventata come categoria a parte perché nel femminismo non c’è la separazione tra le cose e non avrebbero mai separato il lavoro non produttivo dal lavoro produttivo. Una distinzione che è alla base della creazione del concetto di arte». 

L’organizzazione del lavoro di un artista procede per categorie, che non lo definiscono, perché si tratta di categorie del lavoro. Se un’artista utilizza la pittura si utilizzerà la tipologia di opera corrispondente, la pittura e così via. Sono infatti le opere create dall’artista ad appartenere a diverse categorie e non viceversa.

«Non ci sono categorie alle quali appartiene l’artista, che crea molte opere appartenenti a diverse categorie. Ogni artista fa un lavoro e si può vedere il suo lavoro suddiviso per tipologie di opera: pittoriche, sculture, installazioni. Quando si capisce la tipologia dell’opera si personalizza la categorizzazione di quel materiale e si arriva al cuore del senso di quell’artista». In questo le opere di un artista che crea sculture e quadri a olio appartengono rispettivamente sia alla categoria scultura sia alla pittura. 

Lampoon intervista Carolyn Christov-Bakargiev 

Carolyn Christov-Bakargiev racconta il suo modo di concepire una mostra, «il dibattito che c’è sempre stato è se bisogna raccontare molto o poco. Ci sono scuole di pensiero che dicono che non bisogna raccontare tanto, perché così il pubblico può scoprire da solo. Io tendo a raccontare molto, ma lo faccio in un wall text piccolo. Non vorrei che il pubblico fosse obbligato a leggere i generi a muro». 

Il significante – il libro o il catalogo di una mostra – «racconta una ricerca, un modo di accedere all’artista in senso complessivo. Una via per entrare nell’opera». I libri sono oggetti, categorie in mutazione, di pari passo con i cambiamenti della tecnica. «Il digitale distrugge la differenza tra verbale e scritto. Stiamo diventando una società sincretica», afferma Christov-Bakargiev. In particolare, anche la categoria dei libri d’arte, «che resta di nicchia», è influenzata dall’onda lunga dell’evoluzione dell’oggetto-feticcio. 

Avere un libro che parla di una mostra – possederlo – oggi equivale al libro d’artista, una produzione fuori dalla mostra, spesso in edizione limitata, che non riflette l’esposizione ma aggiunge contenuto, assumendo il carattere di nota a margine. «Con i libri di artista, prodotti in edizione limitata, siamo in un’epoca concettuale. Se devo categorizzare, esiste oggi il fenomeno dei notebooks, ovvero feticizzare gli appunti manuali», spiega la critica d’arte. 

«Il libro d’arte come lo concepiamo oggi è fatto di illustrazioni, disegni, testo. Il catalogo come documentazione si è perso. Il libro come oggetto di un’altra dimensione, quella in cui gli artisti sono stati invitati a selezionare oggetti, parole che fanno parte e hanno costituito la mostra». Una dimensione ignota al visitatore, quella della preparazione, delle bozze e dei pensieri d’artista dissolti nell’opera finale, esposta e visibile. I diari, gli schizzi, gli errori e i pensieri in libertà si trasformano allora in oggetti da collezionare, per portare a casa una parte supplementare di quello che si è visto, condensato e ordinato nel libro – non solo d’arte – ma anche d’artista.

La prima applicazione dell’editoria al mondo dell’arte è il catalogo, che sopravvive nonostante la concorrenza delle nuove produzioni editoriali d’artista: «Il catalogo di una mostra era la memoria di un’esposizione. Il primo catalogo d’arte era una lista di quattro pagine di dipinti e sculture. La lista è diventata poi explanation. Oggi il libro come categoria resta immutato», afferma Edoardo Bonaspetti. «Perché il libro è più stabile», gli fa eco Christov-Bakargiev. «Come sarà l’editoria dell’arte nel futuro?», chiedono dal pubblico. 

«Sono interessata alla questione degli NFT (non fungible token). È un momento di svolta non per la questione virtuale e reale ma per il cambiamento economico ed ecologico. Fra dieci anni ci sarà il problema di avere certificati per tutto e anche capire la loro sostenibilità ecologica». Il dibattito si chiude con due certezze: il libro è una categoria che non scomparirà dal mondo dell’arte, soprattutto in un mondo ibrido come quello creato dal digitale. Gli NFT possono trasformare un dipinto, una scultura, un video in file multimediale non ripetibile. Una sorta di certificato in grado di stabilire ‘pezzi unici’, «un’economia che sarà utile nel momento in cui le cryptocurrency saranno abilitate pienamente dalle banche». L’arte digitale può essere definita arte? «È un settore che si è avvicinato al mondo dell’arte, come ha fatto il mondo dei graffiti», afferma Christov-Bakargiev.

The end matters è la frase che Christov-Bakargiev utilizza per indicare ‘gli apparati’, le parole che vogliono dire ‘le materie della fine del libro, «però si può dire con un gioco di parole ‘la fine conta’ e anche ‘la fine del libro conta’».

Carolyn Christov-Bakargiev e Leftloft

Il primo incontro tra Carolyn Christov-Bakargiev e Leftloft risale al 2004 in occasione della mostra antologica dedicata a Franz Kline curata da Carolyn al Castello di Rivoli sotto la direzione di Ida Gianelli; e per la quale Leftloft realizza il catalogo e la comunicazione della mostra. Nel 2012, dopo aver vinto una gara internazionale per l’identità e la comunicazione di dOCUMENTA (13) realizzano insieme l’immagine, i cataloghi e i 110 notebooks di una delle più importanti manifestazioni internazionali d’arte contemporanea europee. La collaborazione prosegue alla 14ma Biennale di Istanbul nel 2015 e riapproda a Torino per dare vita a diversi progetti editoriali all’immagine e alla comunicazione delle mostre e a progetti digitali per il Castello di Rivoli e per la GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea.

Emanuela Colaci

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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