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ALLEVAMENTO INTENSIVO DI GALLINE IN LOMBARDIA
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Allevamenti intensivi in Italia, azoto nel terreno e antibiotici nell’acqua

Bisogna mangiare meno carne: tagliare del 70% il consumo per arrivare, nel 2050, a solo 16 chili di carne a testa – oggi in Unione europea ne consumiamo circa 85 kg

Allevamenti suini in Lombardia

Circa la metà del patrimonio suinicolo nazionale è allevato in Lombardia: 4,3 milioni di capi, in media un esemplare ogni due abitanti della regione, 180 suini per chilometro quadrato. Ai suini vanno sommati 25 milioni di avicoli e un milione e mezzo di bovini. Gli allevamenti sono diventati meno numerosi, ma più grandi (oltre i 500mila euro di Standard Output). Le ricerche tengono conto delle emissioni dirette prodotte dagli allevamenti, non di altri fattori – come l’impatto della produzione di mangimi e il trasporto degli stessi. La Lombardia, per la concentrazione di allevamenti intensivi sul territorio, ha un’impronta ecologica più elevata rispetto alla media nazionale: il settore zootecnico è responsabile del consumo del 140% delle risorse delle aree agricole. La superficie agricola della regione dovrebbe essere una volta e mezzo quella attuale per riuscire ad assorbire le emissioni dirette prodotte dagli allevamenti che si trovano sul territorio.

Danni degli allevamenti intensivi

L’impatto degli allevamenti intensivi sull’ambiente non si limita alle emissioni di gas serra: è responsabile anche della deforestazione, come spiega Federica Ferrario, Responsabile Campagna Agricoltura e Progetti Speciali di Greenpeace Italia: «L’80% della deforestazione di aree ricche di biodiversità avviene a causa della ricerca di spazi per nuovi pascoli o per la coltivazione di prodotti destinati alla mangimistica animale. In Europa i pascoli e i campi dedicati alla coltivazione di mangimi occupano circa il 70% dei terreni agricoli. Considerando solo i terreni arabili, la media europea è del 63%, quella italiana è del 58%». Terreni a cui vengono destinate risorse d’acqua, considerando che in Europa il più della metà del consumo totale di acqua dolce è impiegato nell’agricoltura, e che spesso vengono coltivati con pesticidi e altri prodotti chimici di sintesi. A livello globale il settore agroalimentare è responsabile di un quarto delle emissioni totali di gas serra. Un dato destinato a crescere: entro il 2050 potrebbe arrivare a superare il 50%, senza una inversione di rotta.

Enzo Mari, Diciotto, Il porcello, 1979
Enzo Mari, Diciotto, Il porcello, 1979

Polveri sottili da allevamenti intensivi

Gli allevamenti intensivi sono tra le cause della formazione di polveri sottili nell’aria. Secondo una ricerca svolta da Greenpeace in collaborazione con l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) gli allevamenti sono il secondo settore che produce più particolato (PM2,5) primario e secondario in Italia, sprigionandone il 16,6%, preceduto solo dal riscaldamento (36,9%). Riscaldamento e allevamenti da soli producono oltre la metà dello smog, più di quello prodotto dai trasporti stradali. È l’ammoniaca la responsabile delle polveri sottili prodotte dal settore zootecnico: «L’ammoniaca si genera dalle fermentazioni microbiche a carico dell’azoto presente nelle deiezioni (feci e urine) degli animali. In Lombardia, gli allevamenti sono responsabili dell’85% dell’ammoniaca emessa. Una volta immessa nell’atmosfera reagisce con le altre sostanze presenti e combinandosi ad esse porta alla formazione di polveri fini».

La gestione delle deiezioni. Oltre all’ammoniaca, esse contengono azoto e portano alla formazione di composti azotati (tra cui nitrati): i nitrati, però, se in eccessiva quantità costituiscono un rischio per la salute umana. Durante lo spandimento delle deiezioni, che in Italia è consentito tranne che nei mesi più freddi, il terreno dovrebbe assorbirle e dunque smaltirle. Tuttavia, quando la quantità di deiezioni è superiore alla capacità di assorbimento del terreno (come capita in Lombardia, in virtù dell’elevata concentrazione di capi), gli effluenti zootecnici possono trasformarsi in un pericolo per l’ambiente e per la salute. Proprio i nitrati, tra i composti azotati, poiché altamente solubili possono facilmente trasferirsi dal suolo alle risorse idriche superficiali e alle falde acquifere, contaminando le acque e costituendo un rischio per la salute umana.

La Politica Agricola Comune

In Lombardia, nel 2018, 168 comuni – la maggior parte dei quali situati nelle province di Bergamo, Brescia, Cremona, Mantova e Lodi – hanno superato i limiti legali di azoto per ettaro (dunque l’11% dei comuni totali), diventando così un rischio per l’ambiente e le persone. «Oggi le zone vengono classificate in due livelli: quelle vulnerabili ai nitrati e quelle non vulnerabili ai nitrati. Le prime hanno il limite di 170 chilogrammi di azoto per ettaro, le seconde di 340 chilogrammi per ettaro. Alcuni comuni lombardi sforano perfino i 340 kg/ettaro». A questi 168 comuni che nel 2018 è stato destinato il 45% dei fondi della Politica Agricola Comune (PAC) per la zootecnia lombarda: 120 milioni di euro.

L’impiego degli antibiotici nell’allevamento

In Italia, circa il 70% degli antibiotici prodotti sono utilizzati negli allevamenti e, sempre attraverso le deiezioni, finiscono per contaminare l’ambiente. Nel 2018 Greenpeace ha analizzato le acque di 29 fiumi e canali di irrigazione in tutta Europa, in aree che vedevano un’elevata concentrazione di allevamenti intensivi, rinvenendo in totale 104 pesticidi differenti e 21 farmaci veterinari, di cui 12 antibiotici. In Italia sono stati prelevati tre campioni, nelle tre province con maggior concentrazione di suini: Brescia, Mantova e Cremona. Nella Roggia Savarona, in provincia di Brescia, sono stati registrati i valori più alti: nel campione sono state rinvenute tracce di undici diversi tipi di farmaci, di cui sette erano antibiotici. La presenza così massiccia di antibiotici nell’ambiente è una delle cause dell’antibiotico-resistenza, ovvero la capacità di alcuni organismi di evolversi e resistere a un antibiotico: nel momento in cui un batterio sviluppa l’antibiotico-resistenza, le malattie dovute a questi batteri non si possono curare con l’antibiotico a cui essi sono resistenti.

In Europa si consumano circa 85 chilogrammi di carne pro capite; negli Stati Uniti questo dato tocca i 120 chilogrammi pro capite. In Italia si parla invece di 79/80 chili consumati per persona. Per rispettare l’accordo di Parigi sul clima – e dunque limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto all’epoca preindustriale, già nel 2030 dovremmo tagliare del 70% la produzione e il consumo di carne in Ue, in modo da arrivare a consumare, nel 2050, solo 16 chili di carne a testa come media a livello globale.

Dopo la Lombardia, seguono le altre regioni che fanno parte del bacino padano, in cui si concentrano gli allevamenti intensivi:
Veneto (64%)
Piemonte (56%)
Emilia-Romagna (44%)
Campania (52%) – zootecnia bufalina
Fonte: La sostenibilità della zootecnia italiana: un’analisi a scala regionale attraverso l’impronta ecologica di Silvio Franco, ottobre 2020, Rivista di Agraria.

Ilaria Aceto

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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