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La filiera dei rifiuti: come si articola, dalla raccolta alla discarica

Una bottiglia d’olio in un cassonetto della carta rende non riciclabile tutti i rifiuti. L’impegno di Sei Toscana per la sensibilizzazione e lo snellimento delle pratiche di raccolta 

Rifiuti urbani prodotti in Italia

Nel 2018 in Italia sono stati prodotti 30,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. Dieci anni prima erano 32,4. L’equivalente di 200 navi da crociera. Il sistema di gestione dei rifiuti richiama l’attenzione di media e cittadini solo quando qualcosa non funziona, come in occasione delle crisi in Campania: una situazione di emergenza ambientale e urbana iniziata nel 1994 e dichiarata conclusa solo nel 2012. Nel 2018 in Campania sono stati differenziati il 52,7% dei rifiuti urbani prodotti, più che in Liguria (49,7%). La media italiana di raccolta differenziata dei rifiuti urbani nel 2018 è stata del 58,1%. Maglia nera alla Sicilia, che ha differenziato solo il 29,5% dei suoi rifiuti urbani (dati Rapporto Ispra 2019). La gestione dei rifiuti urbani in Italia coinvolge 5mila enti locali, 95mila lavoratori diretti e oltre 700 aziende, per un fatturato di 13 miliardi di euro.

I report europei distinguono la percentuale di rifiuti riciclati, da quella di rifiuti termovalorizzati (riciclo energetico) e recuperati (in cui i rifiuti sono utilizzati per la bonifica in aree escavate o per interventi paesaggistici o costruttivi in sostituzione di altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati a tale scopo). L’Italia nel 2018 si classificava prima in Europa per riciclo dei rifiuti (79%) includendo sia i rifiuti urbani sia quelli speciali. Se si considera la percentuale totale di rifiuti recuperati, riciclati e termovalorizzati, il primato in Europa spetta alla Slovenia (con quasi il 50% dei rifiuti “recuperati”), seguita dalla Danimarca, con la maggiore percentuale nel Vecchio Continente di rifiuti termovalorizzati (18,9%), assieme alla Norvegia (25,7%) (dati Eurostat). 

La normativa italiana sulla gestione dei rifiuti

la normativa prevede che la gestione dei rifiuti sia organizzata per ambiti territoriali ottimali, i cosiddetti Ato, gestiti dagli Enti di Governo d’ambito (organismi individuati dalle Regioni a cui partecipano tutti i Comuni dell’area). L’ambito più grande d’Italia, per estensione e numero di comuni interessati, è quello del Sud della Toscana: nel 2013 è stato tra i primi a bandire una gara di affidamento del servizio dei rifiuti a un unico ente. Il bando è stato vinto da Sei Toscana, una società mista che ha unito molti dei gestori più piccoli che prima operavano sul territorio – privati o municipalizzati –, e nuovi soci industriali. La società si occupa di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani nelle province di Arezzo, Grosseto, Siena e parte della provincia di Livorno: un’area molto vasta e diversificata che si estende per 102mila chilometri quadrati, 104 comuni – dalla costa grossetana a Monte Amiata –, 898mila abitanti. L’azienda impiega 1080 persone e dispone di 705 mezzi.

La filiera dei rifiuti in Toscana

Non in tutti gli Ato italiani opera un unico gestore per la raccolta dei rifiuti, come accade nel Sud della Toscana. Come rileva il Greenbook steso dalla Fondazione Utilitatis, le gare per la concessione del servizio tra 2014 e 2019 sono state 1635, ma solo 10 hanno interessato interi ambiti territoriali ottimali: la maggior parte riguardava territori più piccoli, per l’85% singoli comuni. La Toscana è divisa in tre Ato: oltre a quello Sud, l’Ato Centro (Firenze, Prato, Pistoia), i cui rifiuti da tre anni sono raccolti da un ente unico, Alia; e l’Ato Costa, che continua a vedere una gestione dei rifiuti affidata a tante piccole aziende.

Questa polverizzazione nella gestione dei servizi di raccolta e avvio al recupero dei rifiuti complica la filiera e rende la gestione del ciclo – di per sé frammentario – discontinua e meno efficiente. Quando Sei Toscana ha iniziato a operare, nel 2014, la raccolta differenziata sul suo territorio riguardava il 37% dei rifiuti prodotti, oggi è al 50%. Nel 2018 Sei Toscana ha raccolto 528mila tonnellate di rifiuti, di cui 205mila tonnellate in modo differenziato.

Tipologie di raccolta differenziata

Tipologie di raccolta. La raccolta differenziata è svolta attraverso due sistemi principali: ritiro domiciliare (porta a porta) e raccolta tradizionale con contenitori stradali (a cassonetto). Il territorio gestito da Sei Toscana è talmente vasto e diversificato che non è possibile adottare un unico sistema di raccolta uguale per tutti. Il sistema di raccolta porta a porta è quello che garantisce la raccolta migliore, sia per quantità sia per qualità, perché permette un controllo più capillare, mentre un cassonetto dà maggiore adito a errati conferimenti. Tuttavia questo sistema è adatto solo a una certa morfologia territoriale, densità abitativa, contesto urbano. Sarebbe difficile immaginare un sistema di raccolta porta a porta in una grande città come Roma, per esempio. 

Sei Toscana, la raccolta differenziata

Anche la raccolta differenziata a cassonetto può essere migliorata in direzione di una maggiore responsabilizzazione degli utenti. Da due anni Sei Toscana investe in contenitori ad accesso controllato: oggi sono presenti in una trentina di comuni dei 104 di competenza. Ogni residente ha una tessera magnetica che deve far scorrere su un sensore del cassonetto per aprirlo. Attualmente la tassa sui rifiuti – Tari – viene calcolata unicamente in base alla metratura della casa e al numero di componenti familiari. Un sistema ad accesso controllato permette una maggiore tracciabilità e rende possibile una tassazione premiale, che faccia pagare meno tasse a chi differenzia di più. Per sviluppare questo sistema è necessaria la collaborazione dell’Ente di gestione territoriale e di Arera, nuovo ente nazionale di regolazione delle tariffe dei rifiuti.

Un sistema di raccolta a cassonetto ad accesso limitato senza un corrispettivo sistema di tassazione premiale, come accade oggi nell’area di competenza di Sei Toscana, è monco. Per non vanificare l’investimento tecnologico fatto dal gestore del servizio, l’amministrazione pubblica ora deve elaborare un sistema di tassazione puntuale. «La pandemia ha rallentato questo processo e le attivazioni su nuovi comuni ma contiamo di recuperare presto», spiega Leonardo Masi presidente di Sei Toscana. «la coscienza ambientale è cresciuta rispetto a quando siamo entrati in attività». In almeno 593 comuni d’Italia è già attivo un sistema di tassazione puntuale basato sul sistema porta a porta o tradizionale (in entrambi i casi attraverso dispositivi elettronici che calcolano quanto le singole utenze differenzino i propri rifiuti).

Come contribuire alla gestione dei rifiuti

Il ruolo del singolo. Società di raccolta e amministrazioni pubbliche si sforzano di chiedere ai cittadini precisione e attenzione quando gettano i rifiuti. Oltre ai sistemi di raccolta spesso sono necessari progetti di sensibilizzazione ambientale, nelle scuole e tra i cittadini, informazioni corrette e accessibili e molta assistenza, soprattutto nella fase iniziale e nei territori non abituati a fare la raccolta differenziata. L’ente a cui è affidata la raccolta, dopo aver raggruppato il rifiuto differenziato e riciclabile – carta, vetro, plastica, metallo – lo consegna a un impianto che lo prepara al riciclo. Ogni tipologia di rifiuto è presa in carico da un impianto diverso. Quando il camion della raccolta consegna il carico, l’impianto che si occupa di questa fase controlla la qualità del rifiuto.

Se un carico che avrebbe dovuto contenere soltanto carta contiene materiale di diverso tipo, l’impianto può rifiutare la consegna e in questo caso l’azienda di raccolta è obbligata a riprendersi il carico e trattarlo come indifferenziato, destinandolo quindi a una discarica o un termovalorizzatore. Nel caso in cui il carico non sia di buona qualità ma l’impianto decida di acquistarlo comunque, lo pagherà meno all’azienda di raccolta, perché un rifiuto “sporco”, cioè mal differenziato, vale meno rispetto a uno pulito. Un rifiuto ben differenziato, oltre a una risorsa ecologica è una risorsa economica. L’incuranza o disattenzione di pochi possono vanificare gli sforzi di molti. A volte basta un errato conferimento – per esempio una persona che butta una bottiglia d’olio mezza piena in un cassonetto della carta – per rendere tutto il rifiuto, altrimenti differenziato correttamente, non riciclabile.

Le discariche per il rifiuto indifferenziato

Il rifiuto indifferenziato, che pesa di più a livello ambientale ed economico e non può essere riciclato, ha due strade: diventare combustibile ed essere bruciato in un termovalorizzatore per produrre energia (anche questa è una forma di riciclo energetico) o andare in discarica. In entrambi i casi prima passa solitamente da un trattamento meccanico biologico intermedio che ne migliora la stabilità biologica, riducendone l’umidità e il volume, oppure ne incrementa il potere calorifico per rendere più efficiente il processo di combustione. Lo smaltimento in discarica nel 2018 ha interessato 6,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (nel 2014 erano 9,3), cioè il 22% dei rifiuti prodotti. La direttiva europea recepita dall’Italia quest’anno impone di ridurre l’uso della discarica al 10% entro il 2035. In Lombardia lo smaltimento in discarica nel 2018 era già a quota 4%, in Friuli Venezia Giulia al 7%.

Laddove esiste un ciclo integrato dei rifiuti grazie a un parco impiantistico sviluppato, è ridotto l’utilizzo della discarica, scrive l’Ispra nel suo rapporto. Le regioni che non riescono a chiudere il ciclo dei rifiuti sul territorio regionale sono obbligate a fare maggiore ricorso alle discariche: in Sicilia il 69% del totale dei rifiuti urbani prodotti è smaltito in discarica. Numeri elevati anche in Lazio (12%) e Campania: entrambe non soltanto fanno largo ricorso alle discariche, ma spediscono fuori regione rifiuti destinate ad altre discariche, con l’effetto che il Molise smaltisce nelle proprie discariche più rifiuti di quelli che produce (102%). (dati rapporto Ispra 2019)

Le piante che si nutrono di percolato

Sei Toscana, nell’ambito del contratto di rete Aires e con il supporto scientifico dell’incubatore Pnat dell’Università di Firenze, fondato dal neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, è coinvolta nel progetto Beyond the landfill 4.0. L’obiettivo è studiare come le piante – in particolare faggi e salici – possano depurare il percolato di discarica, attraverso impianti di fitorimedio. Il percolato è uno dei residui liquidi più difficili da depurare sia per il carico inquinante che per la sua variabilità nel tempo: trae origine dall’infiltrazione d’acqua nella massa dei rifiuti o dalla loro decomposizione in discarica. Attualmente la sua depurazione avviene prevalentemente all’esterno delle discariche, che lo inviano attraverso autocisterne agli impianti autorizzati al trattamento, con costi economici e ambientali elevati.

La sperimentazione è iniziata nel 2017 alla discarica di Terranuova Bracciolini e ora continua alla discarica chiusa di Cornia, nel comune di Castelnuovo Berardenga (Siena). I primi risultati sono stati pubblicati sul numero di Gennaio 2021 del Journal of Environmental Management. A fine novembre la sperimentazione sarà oggetto di una verifica del Ministero per lo sviluppo economico. Nel frattempo stanno arrivando richieste da diversi Comuni per sperimentare questa soluzione anche in altre discariche chiuse. Una volta accertata l’efficacia del metodo sarà possibile formulare un brevetto e applicarlo a livello industriale.

Gli impianti di consegna dei rifiuti

L’azienda che gestisce la raccolta dei rifiuti li consegna agli impianti di trattamento e valorizzazione – gestiti da altre società, municipalizzate o miste –, che li trattano per poi avviarli agli impianti di riciclo vero e proprio. Ogni tipo di rifiuto differenziato – carta, vetro, organico, multimateriale (plastica e tetrapak) – è portato in un luogo diverso. Nel 2018 in Italia sono stati raccolti 3,4 milioni di tonnellate di carta, 7 di frazione organica, 2,1 di vetro, 2,3 di plastica. (Ispra 2019)

Autosufficienza impiantistica per i rifiuti

Nel caso del Sud della Toscana, la carta può essere indirizzata a diversi impianti sparsi nel territorio aretino, grossetano e senese (da Massa Marittima a Asciano, passando da Terranuova Bracciolini), a seconda di dove viene raccolta e da qui poi portata in larga parte alle cartiere in Lucchesia, che producono carta e cartone riciclati, o immessa nel mercato delle materie prime seconde. La frazione umida viene inviata all’impianto delle Strillaie a Grosseto, all’impianto di TB a Terranuova Bracciolini o all’impianto delle Cortine ad Asciano: questi producono biogas o compost. La plastica e il vetro sono prevalentemente portati all’impianto di Revet a Pontedera: oltre a trattarli (sminuzzamento e tritatura) questo impianto si occupa anche parzialmente della fase successiva, cioè di dar vita a nuovi prodotti (come seggiolini per gli stadi o componentistica dei motorini).

Inoltre sono presenti due termovalorizzatori (Poggibonsi e Arezzo) e tre discariche (Civitella Paganico in provincia di Grosseto, Poggio alla Billa a Abbadia San Salvatore, in provincia di Siena e Terranuova Braccioli in provincia di Arezzo) per l’indifferenziato. L’ambito territoriale del Sud della Toscana è autosufficiente a livello impiantistico. I rifiuti raccolti in quest’area sono gestiti interamente sul territorio. Questo non accade in molte altre zone d’Italia, per esempio nell’ambito territoriale della Toscana centrale, che non ha impianti sufficienti per gestire tutti i rifiuti che raccoglie ed è costretta a portarli negli impianti dei territori confinanti o fuori regione, con relativo aggravio di costi, trasporti e inquinamento.

Sei Toscana

A giugno, dopo anni di battaglie legali e opposizioni di alcuni comitati di cittadini, è stato bloccata la costruzione di un termovalorizzatore a Sesto Fiorentino. Basta osservare la distribuzione dei termovalorizzatori italiani – 38 in totale, di cui 26 al Nord (13 in Lombardia e 8 in Emilia-Romagna) – per capire quali sono gli altri territori non autosufficienti. I rifiuti urbani inceneriti ammontavano, nel 2018, a 5,6 milioni di tonnellate.

Nicola Baroni

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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