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Plastiche biodegradabili e compostabili
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I sottoprodotti agricoli diventano filamenti per la stampa 3D

Studiando la canapa Giovanni Milazzo ha intuito le potenzialità degli scarti dell’agroindustria – Kanesis è una start-up specializzata in biocompositi termoplastici ecosostenibili

Plastiche biodegradabili e compostabili

«Le plastiche biodegradabili non esistono. Forse qualcuno mi denuncerà – potrei anche sbagliarmi». È categorico Giovanni Milazzo, ingegnere dei materiali siciliano mentre parla dei suoi prodotti. Insieme al socio Antonio Caruso, nel 2014 ha avviato in Sicilia Kanesis, progetto che trasforma diverse tipologie di sottoprodotti agricoli – come semi, potature e bucce – in filamenti plastici ecofriendly per la stampa 3D. Il nome nasce dalla fusione tra il termine greco kinesis (movimento) e canapa, la coltivazione che ha dato il via all’avventura imprenditoriale. Sviluppa materiali sostenibili dagli scarti. Fa da ombrello alle diverse attività in cui si è ramificata la start-up: Ecompound, la parte che fa ricerca e crea i granuli termpolastici; Ecofilament, quella dedicata ai filamenti e alle produzioni per i settori design, automotive, fashion, giocattoli e biomedicale; infine Hemprintend, il negozio degli oggetti creati internamente.

A guidare l’attività del ricercatore 29enne, un obiettivo: aggiustare quello che definisce «un mondo a rotoli», in cui molte persone sono convinte di avere tra le mani oggetti in plastica biodegradabile, qualcosa che riesce a smaterializzarsi se abbandonato nella natura. «Zero è impossibile», insiste Milazzo, che oggi porta avanti da solo questa realtà. «Quelle che esistono sono bioplastiche compostabili. Significa che possono degradare, ma solo in determinati siti di compostaggio, a determinate pressioni, temperature e umidità». I filamenti di Kanesis rientrano in questa categoria per la presenza del Pla, l’acido polilattico, materiale già utilizzato nei materiali per la stampa 3D derivante dalla trasformazione degli zuccheri di prodotti naturali come mais, barbabietola e canna da zucchero. Quelli messi a punto da Kanesis non sono biopolimeri, ma «biocompositi costituiti da un biopolimero», il Pla appunto, «e una sostanza organica», specifica Milazzo. Anche questi prodotti, una volta giunti alla fine del ciclo di vita, devono arrivare in un impianto industriale. Si può parlare di un materiale più virtuoso rispetto alle alternative esistenti sul mercato. Analizzando e testando le caratteristiche chimiche delle biomasse ricavate da alcuni rifiuti agricoli, Milazzo ha capito che c’erano i margini per creare qualcosa che non contenesse sostanze petrolchimiche, sfruttate normalmente dall’industria per facilitare le lavorazioni e ottenere risultati. 

Il legno di canapa

Per capire meglio il percorso fatto, occorre fare un passo indietro. In particolare, alle ricerche di Milazzo confluite nel suo brevetto internazionale, concesso nel 2019, incentrato sul processo di creazione di materiali che combinino almeno una resina termoplastica con canapuli derivanti da canapa e/o lino. Il punto di partenza è stato il confronto tra la classica segatura di legno, quella della fibra corta della canapa (proveniente dallo stelo) e la polvere della parte interna dello stelo, il canapulo, conosciuto anche come ‘legno di canapa’. «In letteratura esistevano otto documenti che parlavano dell’utilizzo della canapa nelle materie plastiche. Tutti parlavano di fibra di canapa», il rivestimento del gambo, molto usato in settori come la bioedilizia. «Io, invece, mi sono focalizzato sul canapulo. Seppur vicine a livello di genesi e di posizione fisica, chimicamente sono molto diverse. Questa differenza va impattare sulle applicazioni finali del materiale»

Due numeri elencati dall’ingegnere lo fanno capire: la segatura di legno presenta una percentuale di allungamento prima della rottura (caratteristica valutata con la prova di trazione sul provino nel settore delle scienze dei materiali ndr) dell’1,7 percento, il canapulo arriva al 3,7 percento. Un dato in controtendenza rispetto a quanto si conosceva: «Ho imparato che qualunque polvere si aggiunga ai materiali termoplastici, essi peggiorano le loro proprietà meccaniche. Nel mio processo produttivo non l’ho rilevato. Probabilmente perché queste definizioni sono un po’ obsolete e nessuno aveva mai provato a combinare questi sottoprodotti agricoli con le plastiche per verificare i legami chimici». Nonostante l’assenza di zuccheri e grassi, «se unisco il trenta percento di canapulo alla plastica non diventa più fragile come dovrebbe»

Wood plastic composites

Milazzo rivendica questa scoperta e ne esalta il potenziale. Uno dei mercati che intende aggredire è quello dei Wpc (Wood plastic composites), i materiali che mescolano legno e plastica. Gli arredamenti da giardino, che devono resistere all’usura della pioggia, ne sono esempio. «Quasi la totalità delle segature di legno contengono lignina, dal settanta all’ottantacinque percento. Questa sostanza si comporta come un inerte, cioè crea dei microvuoti nelle materie plastiche. È come se ci fossero un sacco di puntini che non creano nessun legame chimico. Ne consegue che il materiale ha una fragilità molto più elevata e arriva a rottura a sforzi inferiori. In questo modo, non puoi avere proprietà meccaniche, ma solo materiali da design».

Stampa 3d e agricoltura

Dopo questo primo passo, si è fatto una domanda: «perché non utilizzare i sottoprodotti dell’agroindustria al posto della lignina?». È da qui che è iniziato il percorso di analisi di altre polveri ottenute da sottoprodotti agroindustriali: oltre alla canapa, sono stati trasformati in filamenti anche pomodori, semi di melograno, potatura di arancio e carrubo. Altri test sono stati condotti su gusci d’uovo, fondi di caffè e scarti di erbe aromatiche. In futuro, potrebbero vedere la luce filamenti gli scarti degli aranci e dei limoni. Per usare il gergo della stampa 3D, quelli creati sono filler, additivi aggiunti al Pla in dosi che variano dal dieci al venti percento per conferirgli caratteristiche migliorative. I filamenti si ottengono sfruttando il processo tradizionale del settore. «È uguale a quello degli spaghetti. Hai una lunga trafila, uno stantuffo che spinge e fa uscire il filamento. Un laser stabilisce il suo diametro finale. La differenza è che usiamo le mescole già pronte dei nostri Ecompound».  

Di solito, gli additivi sono di derivazione petrolchimica. «Tutti i materiali che hanno proprietà plastiche, siano essi biobased o di derivazione sintetica, ne contengono. Sono per lo più stirenici. Si tratta di coloranti, fluidificanti, elasticizzanti, stabilizzanti chimici. Sono tutti utilizzati per lavorare meglio il materiale o per aver un colore più preciso o per elevare determinate proprietà. Ma se troviamo questa percentuale non si può più parlare di bioplastiche. Anzi, hanno una componente importante di un prodotto molto tossico».  Un problema che impatta sull’ambiente ancora più delle stesse plastiche secondo l’ingegnere siciliano. «Gli additivi sono molto più inquinanti, perché si separano più facilmente. Significa che sono rilasciati nell’acqua se il materiale finisce negli oceani o fiume. Ma gli basta anche assumere dell’energia sotto forma di calore e luce per liberare qualcosina»

Fiore di canapa italiano

Con gli scarti agricoli, questo pericolo è eliminato. I fiori di canapa, spiega l’ingegnere siciliano, hanno basse percentuali di lignina «che non serve a niente, ma alte dosi di lipidi. I cannabinoidi sono grassi. Questo conferisce proprietà nuove, completamente innovative al materiale finale. È come se si usasse un additivo emulsionante derivante dal petrolio per l’elasticità. Con il fiore di canapa, la percentuale di allungamento prima della rottura si alza dal tre percento del Pla di amido di mais al nove percento finale». Un altro test è stato condotto sulla carruba: «Il frutto contiene zuccheri, grassi e proteine. Utilizzando lo scarto di farina di carrube di un produttore di alimenti zootecnici, siamo riusciti a portare la percentuale di allungamento fino al trenta percento. Questo significa che lo zucchero ha agito chimicamente». La polvere di melograno, invece, «ha una finitura bella esteticamente. Io non uso colori. Vorrei che si capisse che i colori li ha inventati la natura, il nostro ruolo è riportare i colori della natura nella nostra quotidianità. I colori che vediamo nelle plastiche sono sintetici e inventati dall’uomo»

Kanesis, canapa e bioplastica

Kanesis riesce a rinunciare agli ingredienti sintetici nocivi, ottenendo caratteristiche pari o superiori ai materiali plastici in commercio, seguendo un modello di economia circolare che contrasta il problema dei rifiuti agroindustriali. Sono circa trenta miliardi di tonnellate annue a livello mondiale, ricorda Milazzo. La start-up ha creato una rete di fornitori, tra agricoltori e aziende di trasformazione, ai quali riconosce un contributo economico per la materia prima, tra i venti centesimi e i due euro al chilo, calcolato in base «alla quantità, alla tipologia, dal colore, da quanto mi piace e da quanto voglio premiare l’agricoltore», spiega Milazzo. «Per me ha un costo più alto rispetto ai prezzi di mercato. Considerando che il prodotto finito ha un margine più alto, me lo posso permettere. Così si restituisce a monte della filiera una parte del valore». Una filiera che può essere lunga: «I semi di melograno ci arrivano dopo quattro passaggi. C’è l’azienda che coltiva i frutti, quella che li compra per produrre succhi, una terza che prende gli scarti e li spreme per fare prodotti cosmetici e nutraceutici, un’altra che li usa per fare l’olio. E alla fine mi arriva la polvere». Quasi tutti gli scarti trasformati sono a chilometro zero: «Il canapulo proviene dalla Puglia, il pomodoro da Vittoria, i melograni da Nissemi. Per gli agrumi ci rivolgiamo a una grossa azienda di succhi di Caltagirone, mentre le erbe aromatiche arrivano da un produttore di oli essenziali in provincia di Catania. Il caffè, invece, lo riceviamo dalla toscana Funghi Espresso»

Con queste nuove bioplastiche, la start-up produce packaging per aziende della cosmesi e per le erboristerie, prodotti per ristoranti, oggetti per l’ufficio e gadget per le agenzie di comunicazione. Grazie a dieci stampanti piccole e a due stampanti grandi riesce a garantire tra i mille e i due mila pezzi al mese per azienda. «Facciamo produzioni per gli Stati Uniti, il Sudamerica, l’Europa dell’Est e l’Oriente. Da un anno e mezzo abbiamo iniziato a lavorare in maniera più importante anche in Italia, dove le cose funzionavano un po’ meno perché avevamo uno stile di comunicazione poco efficace». Kanesis sta crescendo e le cose cambieranno anche su questo fronte. Nei prossimi mesi saranno online i nuovi siti legati ai tre marchi. In più, ci sarà il passaggio in una nuova sede. Qui Milazzo proverà a indagare ancora più in profondità il mondo dei sottoprodotti agricoli. 

Kanesis – Mica s.rl

una start-up siciliana fondata nel 2014 da Giovanni Milazzo e Antonio Caruso specializzata nella produzione di biocompositi termoplastici per il settore della stampa 3D attraverso il riutilizzo di scarti delle filiere agricole per la creazione di nuovi prodotti ecosostenibili.

Marco Rizza

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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