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Tra i cantanti rap più amati da Colombati Salmo. Playlist (LP) 2018 Lampoon
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Letteratura: affermare la propria unicità con le stesse parole che usiamo dal macellaio

Leonardo Colombati, fondatore con Emanuele Trevi della scuola Molly Bloom, racconta come devono essere gli scrittori: plagiatori, vanitosi e coraggiosi, senza dimenticare il galateo

Ulisse di James Joyce – il monologo di Molly Bloom

A chiudere l’Ulisse di James Joyce è il monologo di Molly Bloom con i suoi yesHe asked me would I yes to say yes my mountain flower and first I put my arms around him yes and drew him down to me so he could feel my breasts all perfume yes and his heart was going like mad and yes I said yes I will Yes. La moglie di Leopold Bloom è cantante lirica e moderna Penelope, che invece di attendere fedelmente il compagno lo tradisce con l’insegnante di musica. Molly Bloom è anche un’americana nata nel 1978 in Colorado, che si è allenata per anni per diventare sciatrice olimpica e si è infortunata alla vigilia delle Olimpiadi. Accusata di aver gestito un poker illegale a Los Angeles, questa Molly Bloom ha scritto il libro di memorie Molly’s Game, che ha ispirato l’omonimo film.

La fedele Penelope, la vitale moglie di Leopold Bloom, una sfortunata ex-sciatrice statunitense amante delle scommesse. Il premio Pulitzer Michael Cunningham cercherebbe specularità e note comuni nelle tre vicende, come ha fatto nel suo romanzo Le ore; lo scrittore Alberto Savinio indicherebbe le prove della forza delle omonimie nel condizionare i destini. 

La scuola di scrittura Molly Bloom

Essere scrittori significa imporre il proprio punto di vista, portare il lettore a guardare con la propria visione del mondo: per insegnare questo è nata la scuola di scrittura di Leonardo Colombati ed Emanuele Trevi, a Roma nel 2016 – si chiama Molly Bloom. La scuola è stata fondata in polemica con l’idea che si possano creare degli scrittori da zero.

«Quello che si può fare è dare strumenti a chiunque per praticare la scrittura per passione, un mezzo di autoconoscenza», racconta Leonardo Colombati, scrittore e tra i direttori della rivista letteraria Nuovi Argomenti. «Se tra i nostri studenti c’è o ci sarà un futuro Philip Roth buon per lui, ma scrivere non significa necessariamente essere Roth, o avere l’ansia o l’aspirazione di pubblicare. Scrivere è anzitutto uno ‘straordinario’ hobby. All’inizio diamo questa indicazione rilassante e liberatoria, cioè che non è necessario essere Kafka. Forse per questo, almeno una novantina di persone uscite dalla scuola poi ha pubblicato».

Tra le competenze per la scrittura che si possono insegnare, la principale è come si legge. «Uno scrittore deve essere innanzitutto un buon lettore e capire cosa può rubare e cosa no nei libri altrui. Tutti gli scrittori sono grandi plagiatori, l’importante è sapere dove e come plagiare: questa è una delle cose che si possono insegnare». Si può creare e allenare un gusto: «Non vero che la bellezza è un criterio soggettivo, in gran parte si fonda su criteri oggettivi. Il fatto che Anna Karenina e I fratelli Karamazov siano meglio di Agata Christie da un punto di vista letterario è oggettivo, non dipende dal gusto personale. Bisogna insegnare questo a chi scrive: saper riconoscere cos’è la bellezza e rubarla a quelli bravi». Gli scrittori a cui Leonardo Colombati crede di aver rubato di più sono cambiato negli anni. «All’inizio Jorge Luis Borges, ho avuto una sbornia per la letteratura sudamericana – Garcia Marquez e compagnia bella –, poi per una lunga fase pensavo di aver trovato il mio nella fiction postmoderna: Thomas Pynchon. Più vado avanti e più capisco che mi piacciono i classici: gli scrittori che leggo e rileggo, che mi danno maggior gioia, sono Tolstoj, Dickens, Proust, Flaubert. Tra i contemporanei Saul Bellow e Philip Roth»

Scuola di scrittura, cosa si impara

Tra gli altri insegnamenti della scuola di scrittura: «Spesso l’inquinamento della memoria con l’immaginazione, l’impossibilità di rievocare un evento del passato per come realmente è stato, è visto come una tragedia nella vita quotidiana. Questo è una risorsa per uno scrittore, non un handicap: egli può usare l’immaginazione per tappare buchi, cambiare il passato e dargli un ordine diverso. Anche per questa ragione la scrittura fa bene rispetto agli eventi traumatici della propria vita: permette di dare loro un ordine diverso, rinarrarli». Oltre al corso di scrittura creativa, diretto da Alessandro Piperno, dal 2021 partiranno diversi corsi in altrettanti dipartimenti diretti da diverse personalità del settore: il corso di scrittura per la musica diretto da Pierluigi De Palma, scrittura per cinema teatro e tv diretto da Saverio Costanzo e per i media diretto da Pierluigi Battista. 

Sulle terze pagine dei giornali si discute spesso della qualità dello storytelling delle serie tv, confrontato con quello della narrativa contemporanea. «Sono un fan delle serie tv, ma la differenza tra serie tv o cinema e letteratura credo non stia tanto nella qualità. La letteratura è l’arte che richiede il maggior sforzo da parte di chi ne usufruisce. Guardare una serie tv o un film è un esercizio passivo: tu hai tutto davanti e ti godi lo spettacolo. Leggere un libro comporta il patto non scritto tra scrittore e lettore sulla base della loro immaginazione. Quando Flaubert ci descrive Emma Bovary lo fa con tre o quattro rapidi tratti. Il resto dell’identikit lo deve immaginare e costruire il lettore: questo è uno sforzo di immaginazione attiva e è il motivo per cui la lettura è gratificante ma stancante. Quando siamo stanchi preferiamo vedere un film».

Leonardo Colombati e la letteratura

Il primo libro di letteratura che Colombati ha letto è stato Tom Jones, Settecento inglese. «È il libro che per me rappresenta la letteratura e mi ha insegnato il piacere della lettura e il sogno della scrittura. Siamo all’inizio della storia del romanzo, e Henry Fielding aveva libertà, poteva permettersi cose che lette ora sembrano azzardi postmodernisti, perché il romanzo era una forma non ancora codificata. Oggi sembra più difficile scrivere un romanzo in modo diverso, tutto è già stato fatto. Tuttavia – anche rispetto a quindici anni fa, quando ho esordito io – mi sembra che oggi gli scrittori siano un po’ meno coraggiosi. Con libri coraggiosi non intendo belli: si può anche fallire miseramente per eccesso di coraggio, ma osare, sfidare le regole comuni e cercare di portare avanti il discorso in modo fresco e sorprendente tiene viva la letteratura». Tra i giovani autori più interessanti Colombati indica Giordano Meacci e Veronica Raimo.

L’aspirazione della scuola, soprattutto dall’anno prossimo, è l’interdisciplinarietà. Nel 2011 Colombati ha scritto una storia e antologia della canzone popolare e d’autore italiana: La canzone italiana 1861-2011. Storie e testi. «Le influenze di musica e cinema su di me sono state pari a quelle letterarie. Il coraggio che spesso manca nella letteratura contemporanea italiana, da qualche anno a questa parte c’è nella musica. La scena trap e rap ha avuto il merito di fare tabula rasa di tutto quel pop melenso italiano da classifica che ormai non si ascolta più. I testi rap e trap di oggi sono più interessanti e curati di quelli pop». Tra i cantanti rap più amati da Colombati ci sono Gemitaiz e Salmo. «Quando guarderemo indietro credo che racconteremo questi anni musicali come quello che nel 1958 successe con Nel blu dipinto di blu di Modugno, che in un colpo spazzò via tutti i vari Nilla Pizzi e Gino Latilla».

Nel libro Bruce Springsteen. Come un killer sotto il sole. Il grande romanzo americano (1972-2007), Colombati ha raccolto e tradotto testi scelti del ‘Boss’. «Un mio vecchio progetto era fare lo stesso con i testi del rap americano, che descrivono un’America mai raccontata né dal cinema né dalla letteratura». Anche la musica rap e trap italiana racconta luoghi e quartieri raramente calpestati da altre arti: «Non è solo imitazione del modello americano. Gli autori italiani non hanno solo copiato ma anche fatto propri quei codici: quando ascolto la musica trap italiana non immagino Detroit ma Rozzano o la periferia romana».

Scrittrici italiane contemporanee

Un recente tweet dell’editore Alessandro Laterza ha scatenato le polemiche: Essere scrittori è altro dal saper scrivere bene: è avere uno ‘stile’, un proprio uso del lessico, sintassi, figure retoriche, ecc.. Trama, personaggi, soggetto sono marginali. Cerco lumi sulle scrittrici italiane contemporanee. Per mia lacuna mi fermo a Ginzburg e Morante. Molte scrittrici si sono offese.

Pochi hanno notato la prima parte del messaggio, più interessante della seconda: l’idea che per essere scrittori basti uno stile e che trama, personaggi e soggetto siano marginali. Colombati ne approfitta per rispolverare un’idea ricorrente tra i docenti della scuola: un corso di galateo per scrittori (ed editori). «Allo scrittore di professione serve un codice di comportamento: understatement, mai prendersi troppo sul serio, non cedere alla vanità, non parlare male pubblicamente dei colleghi, non lamentarsi troppo. Il campionario che trasgredisce queste regole è un museo degli orrori. Infine, non bisogna parlare dei propri personaggi alle presentazioni pubbliche dei libri come fossero parenti o persone reali. ‘Stella crede’: Stella è solo un insieme di vocali e consonanti. Forse Tolstoj poteva dire ‘Anna’, tu no».

Stile, trama personaggi secondo Leonardo Colombati

«Bisogna sempre presupporre una voce che parla. La voce è lo scrittore: un insieme di stile, ritmo e visione mondo. La trama nove volte su dieci si dimentica, a contare sono i personaggi, cioè golem creati dall’autore che riversa in quelle teste finte i propri pensieri, le proprie visioni del mondo. Spesso chi si accinge alla scrittura tenta di diversificare voci e stili in uno stesso romanzo a seconda di chi parla o pensa: sbagliato. Al contrario del cinema, dove ogni personaggio ha la sua voce, in letteratura la lingua del personaggio è un incrocio tra la sua e quella dell’autore: c’è sempre qualcosa che media, dietro la voce dei personaggi senti la voce di chi racconta la storia».

Come deve essere uno scrittore

«Uno scrittore è bravo se ti fa vedere una cosa che hai sempre visto da un’angolazione diversa. Philip Roth ed Emmanuel Carrère osservano il nostro stesso mondo ma ce lo fanno vedere con un piccolo scarto: quello scarto è la letteratura. Scrivere è un supremo esercizio di vanità, nella scrittura letteraria la cosa veramente importante è l’affermazione di sé. Lo scrittore scrive per dire ‘eccomi, io sono unico, la mia visione è diversa da tutte le altre’. La letteratura per proclamare questa unicità usa la cosa più comune del mondo, cioè il linguaggio, la stessa lingua che usiamo per andare a ordinare due etti di macinato dal macellaio. Rembrandt con gli stesi pennelli e colori con cui dipingeva i suoi quadri non ritinteggiava le pareti di casa. Allo scrittore si chiede di fare questo: usare la cosa più universale del mondo per affermare la sua unicità: è questo equilibrio a decidere la partita». Il lettore gode del piacere opposto e complementare: entrando nel punto di vista dell’autore esce dal proprio. «Quando leggiamo è come se il nostro cervello si scindesse: una parte segue la storia, sospende l’incredulità, l’altra metà commenta, valuta, si annoia, si eccita».

Piuttosto che i manuali di scrittura, meglio leggere ciò che i grandi autori hanno scritto della propria e altrui scrittura. «Alcuni autori – per me Milan Kundera con i suoi I testamenti traditi – funzionano meglio come saggisti che come romanzieri». Tra i libri di saggistica letteraria consigliati da Colombati ci sono quelli del poeta russo Joseph Brodsky, di John Updike, di Borges e George Steiner. Il più bel romanzo italiano degli ultimi sessant’anni per Colombati è Ferito a morte di Raffaele La Capria. Imprescindibile Carlo Emilio Gadda. Tra gli autori da rileggere Mario Soldati («per un po’ è stato molto pop, poi accantonato a causa della sua interdisciplinarità») e Cristina Campo, da riscoprire Mario Pomilio («con Il quinto Evangelio anticipò Il nome della rosa e il postmoderno all’italiana»).

Leonardo Colombati

Nato nel 1970 a Roma, ha esordito nel 2005, con Perceber. Romanzo eroicomico (Sironi editore, poi Fandango), caso letterario che divise la critica, è tra i direttori della rivista Nuovi Argomenti. L’ultima sua opera è Estate (Mondadori).

Nicola Baroni

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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