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Lampoon, Museo Pasolini
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Pasolini scrive in una lingua che non è la sua: cambiare punto di vista, ancora – spiega Ascanio Celestini

L’uso del linguaggio nella poetica e nella prosa di Pasolini fa parte della sua ricerca della verità. «Pasolini è conosciuto come è conosciuto un autore sconosciuto», afferma Ascanio Celestini autore di Museo Pasolini

Lampoon intervista Ascanio Celestini, autore dell’opera teatrale Museo Pasolini

Vuei ti vistíssin/la seda e l’amòur,/vuei a è Domènia/domàn a si mòur – Oggi è domenica, domani si muore/Oggi mi vesto di seta e d’amore, è una poesia tratta da Le litanie del bel ragazzo, opera giovanile di Pier Paolo Pasolini e contenuta nella raccolta Poesie a Casarsa, pubblicata a spese della Libreria Antiquaria di Mario Landi nel 1942. 

«Già in quel momento Pasolini scrive in una lingua che non è la sua. Lui non è friulano, la madre non parla quel friulano. Lui impara una lingua ed è quello che fa con “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”, scrive in un romano parlato che non conosce», spiega Ascanio Celestini, autore dell’opera teatrale Museo Pasolini. Di Pasolini è stato detto tanto – molto rumore di fondo, mezze verità, cattive interpretazioni – e soprattutto nel centenario della sua nascita – Bologna, 5 marzo 1922 – si moltiplicano gli eventi che celebrano la sua opera, di vita e di arte. Nel personale pellegrinaggio nella memoria di PPP, la ricerca si è soffermata – una sera di febbraio a Milano – sullo spettacolo di Celestini, che ripercorre la vita del poeta. 

Ascanio Celestini spiega il percorso che ha portato allo spettacolo che celebra il museo immaginato di Pasolini. In particolare su una caratteristica che trascende e unisce ideologia, poetica e cinematografia: il linguaggio. «Pasolini parla la lingua degli altri – aderisce a un linguaggio che non è il suo. Pratica che ritrovo nel cinema di Vittorio De Seta o di Matteo Garrone, ma non così diffusa. Nella scrittura italiana sembra più diffusa una forma di racconto intimo, personale e familiare che Pasolini vuole evitare».

Pasolini è riuscito a tenere insieme i contadini della Calabria arcaica e Oriana Fallaci a Venezia

È un esercizio che poco ha a che fare con l’empatia e l’immedesimarsi, perché rappresenta una precisa ricerca scientifica, che somiglia più al lavoro dell’antropologo che al mestiere della poesia. Il passaggio da Poesie a Casarsa a Una vita violenta o Comizi d’amore è segnato dai sentimenti cauterizzati, perché lo richiede l’indagine sociale. Non è possibile immedesimarsi mai davvero con l’altro da sé.

Ecco come Pasolini è riuscito a tenere insieme, nello stesso documentario, i contadini della Calabria arcaica e Oriana Fallaci a Venezia. Un esercizio permeato dall’ideologia, fortissima e costituente in Pasolini, come spiega lo stesso Celestini: «Pasolini pensava che l’ideologia fosse molto importante, nel suo caso quella marxista. Si è sempre dichiarato comunista, il suo conflitto con il partito è stato legato ai primi libri: i critici del partito contestavano la sua visione del popolo, che doveva sempre essere esaltato». Il suo punto di vista mutevole, mai fissato dall’ideologia.

Ascanio Celestini – il cinema di Pasolini

Raccontare con una lingua diversa è un obiettivo che non è sconosciuto nemmeno agli scrittori contemporanei, se pensiamo ai libri di Jhumpa Lahiri, di madrelingua bengalese e poi inglese, che ha scritto libri in italiano imparando la lingua per nessuna ragione strumentale. Anche il cinema è una lingua che Pasolini non conosce prima di approcciarvisi: «disse che iniziò a fare cinema perché non voleva essere italiano e la lingua del cinema non è l’italiano», puntualizza Celestini. Pasolini cambia continuamente punto di vista. Si relaziona all’Italia in modo nuovo, ma non vuole farne parte.

È anche questo il valore di antropologico della sua ricerca, che lo porta a cercare di spiegare la complessità dell’Italia post-fascista, prendendone le distanze. «‘Con Poesie a Casarsa’, Pasolini si rende conto che quel testo non è accettabile per la letteratura del tempo, perché scritto in una lingua regionale. Il fascismo non voleva che si parlasse una lingua non italiana, scritte da persone non in linea con il regime. Non volendo scrive un libro che evidenzia un dissenso politico», spiega Celestini. 

Il linguaggio di Pasolini

Anche questo è un riflesso della scelta di campo del linguaggio che ha scelto, quello dell’altro da sé: «Cerca sempre di parlare la lingua dell’altro, partendo dal punto di vista di chi vive in subalternità», spiega Celestini. Un esercizio espresso nel testo che scrive per il Congresso dei radicali nel 1975, poco prima di essere ucciso, sulla spiaggia di Ostia: «le persone più adorabili sono quelle che non sanno di avere diritti e non li reclamano, altrettanto adorabili sono quelli che sanno di avere diritti ma non li reclamano. Poi c’è l’intellettuale, che deve far sapere a chi non ha diritti che ce li hanno». 

Alla base dello spettacolo Museo Pasolini c’è una definizione di Vincenzo Cerami, scrittore e sceneggiatore ma anche scolaro di Pasolini, quando si trasferì a Roma per insegnare nel 1950. «Se prendiamo tutte le opere di Pasolini, dalla prima poesia che scrisse a 7 anni fino a Salò, l’ultimo film e le mettiamo secondo cronologia otteniamo il profilo del nostro paese dal ventennio fino agli anni ‘70».

La vita del poeta si intreccia nella vita del Paese reale, Pasolini diventa protagonista e osservatore della povertà delle borgate, di storie fantasmagoriche e di intrighi reali. Tutto si unisce nella storia immaginata da Celestini, un museo ‘immateriale’, orale e un contraltare alla concezione tradizionale di luogo di memoria: «Io ho preso storie dalla sua vita e avvenimenti nei quali è incappato, le sue opere e le ho messe in relazione in quegli anni. È come se fosse un percorso in un museo, un percorso immateriale, una visita guidata all’interno di un museo, con gli oggetti esposti dal 1922 fino al 2 novembre 1975». 

Museo Pasolini

I musei generalmente hanno un luogo di riferimento. Quale sarebbe la casa della memoria di Pasolini? «Finora nessuno si è preso l’impegno di trovare un luogo che sia più pasoliniano di altri», dice Celestini. Un luogo di studio dell’opera pasoliniana è il Centro Studi di Casarsa, casa Colussi – dal cognome della madre di Pasolini.

«La casa materna di Pasolini ospita un luogo che organizza eventi e convegni, tutelando la memoria locale. Poteva esserci una casa museo, poteva essere la torre di Chia, o la casa a Ponte Mammolo a Roma – la borgata dove ha vissuto Pasolini e che adesso è in vendita all’asta. Non c’è un museo Pasolini perché non è conosciuto, conosco pochissime persone che hanno visto o letto qualcosa di suo. Pasolini viene citato a vanvera da quelli che pensano di aver compreso quello che Pasolini ha detto agli studenti del ’68, non era un ‘amico delle guardie’, diceva che la rivoluzione deve essere fatta con le classi subalterne. È conosciuto come è conosciuto un autore sconosciuto», scandisce Celestini.

Emanuela Colaci

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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