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Luca Nichetto: meno pezzi possibile, con più valore

«Sono cresciuto con il vetro. Ti costringe a prendere decisioni: basta un secondo in più perché la forma si disfaccia». Da Murano a Pechino a Stoccolma, nel segno del design – «Un divano, si desidera duri cinquant’anni, non sei mesi»

Lampoon intervista Luca Nichetto

Luca Nichetto ha inaugurato il suo studio a Stoccolma nel 2011: «Sono un italiano immigrato all’estero: nel momento in cui si arriva in un altro paese ci si adatta alla cultura del posto, ma alla fine si diventa più italiano di prima». Nato a Murano nel 1976, Nichetto ha lavorato a Milano, Napoli, Londra, Parigi e Pechino: «Ero art director per una startup nella capitale cinese quando ancora era una zona poco turistica. Non c’erano stranieri. Noi europei abbiamo un atteggiamento spesso arrogante nei confronti dell’Asia, il pensiero comune è: arrivo io e ti insegno come si fa un prodotto di qualità, perché voi non lo sapete fare. Quando ti trovi lì i parametri cambiano, perché non esiste un solo modo di fare le cose. Questa esperienza mi ha aiutato a essere più flessibile, a trovare un nuovo modo di approcciarmi al lavoro».

Oggi art director del brand di Robert Acouri La Manufacture, Nichetto ha iniziato nel 1999 disegnando prodotti in vetro di Murano per Salviati. «Sono nato e cresciuto con il vetro. Ho imparato a conoscere la trasformazione di un disegno in oggetto. Sei obbligato a stabilire una connessione con le persone che davanti a un forno a 1000 gradi provano a realizzare il tuo pezzo. Il vetro, materiale liquido che diventa solido, ti costringe a prendere decisioni: basta un secondo in più perché la forma si disfaccia. Il vetro è anche colore, craft, storia, legacy – valori che hanno influito sul mio modo di progettare».

La Manufacture – Robert Acouri e Luca Nichetto

La Manufacture è nato tre anni fa dall’incontro con Robert Acouri, grazie a un contatto che ai tempi era manager di Casamania, e che aveva collaborato con l’azienda francese Groupe Cider – ora madre di La Manufacture.

«Robert mi diede un brief per il disegno di sedie: inizialmente declinai. Mi chiese se fossi disposto a contribuire nella creazione dell’azienda. Accettai, a delle condizioni: buttare via tutto quello che era stato fatto fino a quel momento e ripartire da zero. Robert ha sempre amato questa idea di unire il design alla moda – spesso è un connubio fatto dalle maison di moda ma al contrario, nella. cosmesi, commerciale. La sezione moda doveva entrare a far parte de La Manufacture tre anni dopo il lancio del progetto, ma poi c’è stata l’occasione di prendere una boutique a Parigi: il team si è allargato, abbiamo imparato a strutturarci, a prendere tempo e a far funzionare design e fashion insieme».

La boutique ha una superficie di 250 metri quadrati e l’allestimento è stato curato da Nichetto. «Il mondo del design in Francia non ha una via di mezzo: ci sono piccoli editori o grandi maison. A livello di posizionamento, l’idea era quella di chiudere un buco che nessuno ha mai coperto: la sfida di Parigi è stata di integrare un’azienda francese, con un team di designer internazionali, e manifattura made in Italy». Non solo capi e prodotti, anche gli allestimenti e i mobili sono realizzati in Italia. «Piastrelle fatte a mano, pavimento in cemento, carta da parati artigianale. L’aspetto industriale si trova nei profili di alluminio che creano una divisione tra le vetrine e l’interno del negozio: un processo prevalentemente industriale, questo, ma se trattato con manualità diventa un’estensione del craftmanship».

La prima linea per La Manufacture di Luca Nichetto

A marzo 2021 La Manufacture ha presentato la prima linea di abbigliamento disegnata da Luca Nichetto. Si tratta di 23 pezzi tra capispalla, felpe, t-shirt, pantaloni e accessori, in una collezione genderless e no season.

«L’obiettivo era quello di dare un’identità anche alla moda e non solo al design, per avere una connessione con il target dei prodotti de La Manufacture. La manifestazione del no gender e no season nella collezione deriva da un pensiero nato già da tempo, da prima della pandemia – io arrivo dal prodotto: non lo vivo con stagionalità, ma ragiono in termini longevità. Si tratta di una collezione fatta di pezzi con una individualità: ero contrario al lookbook, perché un lookbook non rappresenta la quotidianità. Quando si arreda una casa la scelta vira sul pezzo vintage, poi su quello artigianale, insieme a quello meno caro e a un pezzo di Cassina. Così ci si crea il proprio mondo, ed è la stessa cosa che accade quando ci vestiamo».

Creare una collezione unisex permette anche di ridurre gli sprechi e i consumi di campionari. «Meno pezzi possibile, con più valore. Con il genderless non si rischia la sovrapproduzione di capi che funzionano solo per un genere e non per l’altro. La società è cambiata, c’è più equilibrio rispetto a prima. Vivo a Stoccolma, un paese in cui le questioni di genere sono più bilanciate rispetto al sud Europa: questo ha influito sulla mia visione. Ho cominciato a lavorare in Scandinavia tredici anni fa e nel 2008 si parlava già  di carbon footprint, di cromo esavalente, di situazioni che io non avevo mai  sentito nominare in Italia. Ho capito che quando lavori con aziende di questo tipo, non torni più indietro».

La Manufacture a Edit Napoli 2021

«Il 90% dei tessuti arriva dall’Italia, mentre il restante 10% è prodotto in Giappone: abbiamo utilizzato jersey giapponese per i capispalla». La Manufacture è stata selezionata per EDIT Napoli. «Conoscevo Domitilla Dardi, che è una delle fondatrici di EDIT insieme a Emilia Petruccelli. Emilia e Domitilla sono state capaci di captare le nuove esigenze legate al design editoriale, e soprattutto a realizzare l’idea di portarle a Napoli, città di cultura e contraddizioni, contaminata: ha una cultura centenaria del fatto a mano, dell’arte applicata».

I pezzi sono stati esposti al Teatro San Carlo: «Sono vent’anni che faccio questo lavoro e che partecipo alle design week di tutto il mondo: vedere questa scala più umana, in un contesto come quello di Napoli, ci ha fatto bene. La realtà è che nel mondo del design, e soprattutto della creatività in generale, il place to be è sempre e per forza Milano–è vero anche che Milano secondo me non sarà mai più la Milano del 2019 – ma è ora di imparare a essere un po’ meno Milanocentrici».

«Dobbiamo salvare il pianeta: il problema è che ciò che ora demonizziamo ci ha dato per tanto tempo ricchezza. In realtà il design non è mai stato paragonabile come consumo a quello della moda. Quando si disegna un divano, si desidera che questo divano venga usato per cinquant’anni, non per sei mesi. Non è come una maglietta. Nel 2008 lavoravo per un’azienda svedese all’avanguardia dal punto di vista della circolarità e della riciclabilità dei prodotti: con gli scarti dei tessuti dell’imbottitura che producevano, creavano pannelli per gli imballaggi. Ho creato dei pannelli fonoassorbenti utilizzando gli scarti del materiale. Il concetto funzionava, ma l’azienda non produceva abbastanza immondizia per sostenere la produzione del mio prodotto, quindi dovevamo comprare gli scarti di tessuti da terzi. Il prodotto non era più sostenibile».

Luca Nichetto 

Luca Nichetto nasce a Venezia nel 1976, dove studia all’Istituto d’Arte. Si laurea in Disegno Industriale presso lo IUAV, Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Nel 1999 comincia l’attività professionale disegnando i suoi primi prodotti in vetro di Murano per Salviati. Nello stesso anno prende il via il sodalizio con Foscarini per la quale, oltre a firmare alcuni progetti, assume il ruolo di consulente per la ricerca di nuovi materiali e sviluppo prodotto (2001-2003). Nel 2006 fonda a Porto Marghera, vicino a Venezia, lo studio Nichetto&Partners, che si occupa di Industrial Design e Design Consultant e nel 2011 decide di avviare una nuova attività professionale a Stoccolma, in Svezia.

Francesca Fontanesi

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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