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Lino e canapa contro le fibre sintetiche
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Lino e canapa, tra memoria storica e innovazione tecnica

Un ettaro di lino trattiene 3,7 tonnellate di CO2 l’anno, non consuma acqua e non produce scarto. La canapa come alternativa per materiali compositi, l’impegno del Linificio e Canapificio Nazionale

La canapa in Italia, dal dopoguerra in poi

Fino al secondo dopoguerra la canapa era una delle colture più presenti in Italia, così come quella del lino (nel nord Italia). Imprese come il Linificio e Canapificio Nazionale, fondato nel 1873 a Bergamo, sono nate e si sono sviluppate seguendo la ricchezza di queste fibre, specializzandosi nel raccolto e nella filatura. L’azienda bergamasca (ora parte del Gruppo Marzotto) contava venticinque stabilimenti in tutto il Paese, al momento, rimangono l’headquarter di Villa D’Almè e due filature all’estero, una in Lituania e una in Tunisia. La coltivazione delle fibre ha condizionato anche le persone e lo sviluppo del suo territorio. Dal 2017, il Linificio e Canapificio Nazionale, forte di un passato dedicato a lino e canapa e di una memoria storica tecnica sulla loro lavorazione, ha deciso di rilanciare le coltivazioni e puntare sulla naturale sostenibilità delle piante. Sempre intorno a Bergamo, dove tutto è iniziato.

Lino e canapa hanno seguito percorsi diversi in Europa

Il confronto con la Francia è d’obbligo, considerato che nello stesso periodo e come in Italia, i francesi coltivavano entrambe le fibre. Oggi però la Francia è leader mondiale nella coltivazione di lino e ha abbandonato la canapa, noi entrambi. «A oggi in Italia (ma anche in Europa) non esiste più una coltivazione industriale di canapa per utilizzo tessile, ci sono casi di coltivazione per il settore biomedicale, farmaceutico e alimentare, ma non per il tessile. Si sta cercando in qualche maniera di recuperare questa mancanza ma non è semplice, sia per le conoscenze sia per gli investimenti in ingresso che adesso sarebbe necessari (molto alti). Oggi la canapa è una fibra che non appartiene al nostro continente ma è in mano alla Cina in modo preponderante. In quest’ultimi anni sono partiti progetti finanziati dalla Comunità Europea e da privati, il desiderio è quello di riportare il know how canapiero dentro i nostri confini», spiega l’Ingegner Pierluigi Fusco Girard, amministratore delegato del Linificio e Canapificio Nazionale.

Un business, quello di lino e canapa, un tempo europeo e verticalizzato. «Trentacinque anni fa entrarono nel mercato player cinesi, acquistarono le fibre dal nord della Francia, la trasformarono in Cina e la riportarono in Europa sotto forma di filato (ad un terzo del prezzo a cui eravamo abituati) e con un filato di qualità inferiore. Così molte aziende hanno chiuso o hanno cercato di contenere i costi delocalizzando all’estero. Sono andate perse le competenze tecniche e il legame con il territorio», racconta Fusco Girard. Il Linificio e Canapificio Nazionale ha mantenuto la sede di Villa D’Almè, tenendo vivo il cuore della produzione e tutta la sua storia.

Lino e canapa contro le fibre sintetiche 

Poi sono arrivate le fibre sintetiche e il mondo ha scoperto il Nylon e il poliestere. «Il poliestere rappresenta per il trenta-quaranta percento il nostro abbigliamento e arredamento. Il prezzo è molto basso confrontato con le fibre naturali (in particolar modo la canapa costa tre-quattro volte tanto). Il mercato non era più disponibile a fornire quei prezzi e ha iniziato a pagare sempre meno il contadino. Quindi si è passati ad altre coltivazioni più tradizionali e stabili da un punto di vista remunerativo (come il grano e il riso)», prosegue Fusco Girard: «A questo va aggiunta la trasformazione della fibra in filato, un’operazione complessa e poco automatizzata, ancora affidata alle competenze della persona. Allontanando le competenze professionali, ci si allontana dalla qualità», sottolinea. Oggi il Linificio e Canapificio Nazionale realizza cinque milioni di kg di filato (tra lino e canapa) all’anno. Lo stabilimento di Villa D’Almè non è solo un centro produttivo ma un polo di ricerca, sviluppo e innovazione d’eccellenza. I macchinari necessari per la lavorazione delle fibre sono creati internamente in azienda.

Fibre di canapa e lino in Lombardia

Tre anni fa si realizza il desiderio di riportare le fibre di canapa e lino in Lombardia. In particolare, ad Astino, valle della biodiversità alle porte di Bergamo. Non è stata solamente un’operazione sperimentale ma una ripresa delle coltivazioni attiva, grazie alla partecipazione e all’ausilio di associazioni culturali, istituzioni e imprese del territorio. Per un totale di dodici ettari (tra lino e canapa). «Nasce come un momento di ritrovo, condivisione e crescita territoriale. È un rapporto circolare tra imprese e territorio e territorio-imprese per lo sviluppo di entrambe. La fibra ottenuta da questi primi raccolti – per quanto riguarda il lino – è stata utilizzata per essere filata a Villa D’Almè, per realizzare (insieme ad Albini e Martinelli Ginetto) camicie e tovaglie a km zero, made in Bergamo. Con parte della fibra, coltivata anche in Val Camonica e in Val Gandino (provincia di Brescia e Bergamo) sono stati realizzati teli e tessuti per gli studenti dell’Accademia Carrara. Diventeranno quadri. In pieno lockdown inoltre, è stato seminato il lino. Il sabato Santo, proprio nei giorni in cui l’Italia ripartiva, il campo è fiorito regalando suggestione». Quella stessa fibra diventerà filato e poi tessuto che verrà usato per replicare cento volte la Sacra Sindone, e che verrà consegnata alle cento chiese del mondo consacrate al volto di Cristo.

Lampoon, 
Linificio e Canapificio Nazionale della Canonica a Casalecchio di Reno
Linificio e Canapificio Nazionale della Canonica a Casalecchio di Reno

Lino e canapa sono da sempre affiancate per le loro similitudini come fibre

Entrambe non necessitano di fertilizzanti e defoglianti per crescere. Durante la fase di formazione della fibra, si ha un processo di assorbimento di CO2 e un rilascio di ossigeno. Un ettaro di lino trattiene 3,7 tonnellate di CO2 l’anno. Rispetto al cotone, per esempio (che a parità di ettaro ha un maggiore assorbimento di CO2) il lino non consuma acqua, perché è una pianta che non ha bisogno di irrigazione. «Se oggi sostituissi centocinquanta mila ettari di coltivazioni di lino del nord della Francia con il cotone, avrei un consumo annuo di cento milioni di litri di acqua in più, tanto quanto l’uso che potrebbe farne una regione come la Calabria», spiega Fusco Girard. Nelle coltivazioni tradizionali di cotone, si usano pesticidi che vanno poi nelle falde acquifere.

La canapa e il lino inoltre, rigenerano i terreni in cui vengono coltivati (migliorando la produttività delle coltivazioni successive del trenta, quaranta percento), sono biodegradabili e bio-compostabili. «Di entrambe le fibre non si scarta nulla, tutto quello che non è utilizzato per il tessile viene utilizzato in altri settori come materia prima secondaria (dalla carta, all’edilizia, alle lettiere per cavalli). Io credo che lavorare queste fibre comporti un approccio virtuoso. È stato fatto uno studio: le imprese che in Europa sono specializzate nel lino usano almeno il cinquanta percento di energie di fonti rinnovabili. Noi in Lituania e Italia usiamo il cento percento di fonti rinnovabili, in Tunisia (dove si concentra la produzione di filato per l’arredamento) stiamo per implementare un cogeneratore». In azienda si utilizzano sia coloranti tradizionali che coloranti certificati GOTS. E in parallelo, esiste anche una linea di tinture naturali ma che – al momento – ha ancora un mercato ridotto.

Pierluigi Fusco Girard, amministratore delegato del Linificio e Canapificio Nazionale

La fibra di lino è acquistata dalla Cooperativa Agricola normanna Terre De Lin, cooperativa certificata per la sua attenzione alla sostenibilità e di altissima qualità. Il Linificio e Canapificio Nazionale fa parte di Masters Of Linen, club di aziende europee specializzate nella lavorazione del lino. Al momento della raccolta del lino, che viene fatta dopo circa quattro mesi dalla semina (di marzo-aprile), la fibra non è falciata ma estirpata per preservare la lunghezza delle fibre contenute nel fusto. Quello che è eliminato, in realtà è lasciato a deposito sul terreno, in andane (strati di lino in un metro di lunghezza). La pioggia e il mutarsi del clima da luglio a settembre, di concerto con i microorganismi batterici presenti nella pianta, fermentano e permettono una naturale separazione delle fibre dalla parte legnosa della pianta. Le fibre vengono così estratte e ripulite dalla parte legnosa ancora presente. La parte successiva, quella della stigliatura, è un processo completamente meccanico che permette di separare le fibre lunghe (il lungo tiglio) da quelle corte (le stoppe). Dopo questa fase, il lino arriverà in filatura.

La fibra estratta dalla coltivazione di canapa bergamasca invece, è stata messa a disposizione per uno studio di ricerca internazionale (tramite Horizon 2020) per essere utilizzata come alternativa sostenibile dei materiali compositi, ad esempio quelli realizzati in fibra di vetro (come gli interni delle cappelliere degli aerei). Anche per la fibra di lino si stanno proseguendo studi per creare soluzioni al settore del packaging alimentare, soprattutto per aiutare chi produce prodotti organici e poi è costretto ad utilizzare confezioni di materiali sintetici.

«Stiamo cercando di portare la sostenibilità ambientale e sociale anche oltre il tradizionale tessile, abbigliamento e arredamento. È importante puntare su settori che hanno dei problemi nello sviluppare soluzioni alternative e meno impattanti per l’ambiente, come quello dell’alimentare e dei materiali compositi, utilizzando la virtuosità di questi materiali e la nostra competenza». Una possibilità in più, quella di espandere lo spettro di alternative di utilizzo, per favorire la ripresa e la diffusione delle coltivazioni di lino e canapa di nuovo in Italia.

Linificio e Canapificio Nazionale

I Linificio e Canapificio Nazionale, forte di un passato dedicato a lino e canapa e di una memoria storica tecnica sulla loro lavorazione, ha deciso di rilanciare le coltivazioni e puntare sulla naturale sostenibilità delle piante. Sempre intorno a Bergamo, dove tutto è iniziato.

Mariavittoria Zaglio

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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