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Frutta tropicale italiana, la scommessa della Puglia

Nel sud Italia le coltivazioni di frutta tropicale non sono più un esperimento: polo agro-industriale a Taranto, Masseria Fruttirossi ha puntato su melograne e avocado

Masseria Fruttirossi a Castellaneta, Taranto

Le strade pugliesi percorse per approdare al mare o in città, dal barese al Salento, sono dominate dagli ulivi. A ripetizione, gli alberi secolari sfuggono e tornano nel perimetro dell’occhio che guarda fuori dal finestrino. Negli ultimi anni, le campagne pugliesi sono cambiate, non solo a causa del batterio-killer xylella che ha ucciso e strappato al Salento milioni di alberi, per un’estensione di 100 mila ettari di terreni. Con investimenti, nella regione degli ulivi è arrivata anche la frutticoltura tropicale.

Nel 2020 l’azienda Masseria Fruttirossi, consorzio agricolo di Castellaneta, in provincia di Taranto, ha messo a dimora 32mila piante di avocado su circa 40 ettari di terreno. Si tratta di un progetto di filiera, che comprende i frutteti, al momento in prevalenza coltivazioni di melograni e avocado e lo stabilimento di conservazione e trasformazione. «Appena raccolto, il frutto è trasportato nello stabilimento per essere selezionato, brandizzato e spedito ai nostri clienti», spiega Dario De Lisi, responsabile commerciale dell’azienda che comprende anche il marchio di succhi biologici Lome Superfruit.   

L’importazione in Italia di frutta tropicale

La piantagione di avocado comprende varietà come Hass, Ettinger, Pinkerton, B.L. e Reed: «Quest’anno ci aspettiamo di raccogliere i primi frutti ma più a livello di assaggio che di commercializzazione. I dati di mercato evidenziano l’interesse dei consumatori verso la frutta esotica – l’avocado è quello più consumato. L’obiettivo della è produrre i ‘superfrutti’, che svolgono una doppia funzione: sono buoni da mangiare e apportano benefici alla salute di chi li consuma».

I dati Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo) confermano quanto affermato dal manager: negli ultimi 20anni, le importazioni dell’Italia di prodotti esotici sono cresciute di circa 10 volte, infatti tra il 2000 e il 2019 sono aumentate da 8 a 75mila tonnellate. Nello stesso periodo, la spesa per le importazioni è cresciuta di circa 14 volte, aumentando da 10 a 137milioni di euro. Le piante di avocado dell’azienda tarantina sono ancora troppo giovani per fare una previsione, afferma De Lisi: «Dovremmo produrre intorno ai 300 quintali per ettaro. Il primo raccolto utile per essere considerata come prima produzione si vedrà alla fine del terzo anno dalla piantumazione».

La coltivazione di avocado e mango

Avocado e mango sono piante originarie delle zone tropicali, in particolare del centro-America, nel mediterraneo sono state adottate negli ultimi decenni: «L’Italia nelle aree costiere ha le peculiarità per la coltura di questi frutti. Le performance produttive e di vendita, la richiesta di mercato per l’avocado, la ricerca delle aziende per uscire dalla stagnazione in cui molte colture si trovano, fanno sì che si sia acceso un ulteriore interesse per queste coltivazioni», spiega Luigi Catalano, presidente della sezione frutticoltura della Soi (Società ortofrutticola italiana). Le coltivazioni tropicali come il mango e l’avocado, soffrono i climi rigidi e freddi e richiedono caratteristiche pedoclimatiche (le condizioni del terreno influenzate dal contatto con l’aria, ndr): «L’agricoltura è evoluzione. In base alle attuali condizioni ambientali, in Italia non si può coltivare diffusamente. I terreni devono essere fertili, profondi, senza tanto scheletro (pietre e calcare), ben drenati e dotati di risorsa irrigua», afferma l’agronomo. 

Frutti tropicali prodotti in Italia

L’agricoltura tropicale sarà difficilmente la soluzione alla crisi agricola che dal 2013 ha azzerato la produzione olivicola in Salento. Ne è convinto anche De Lisi: «L’ulivo è una pianta mediterranea e cresce bene dalle nostre parti. Per quanto riguarda la frutta esotica bisogna usare degli accorgimenti, essere pronti a investire. Non c’è uno storico, si tratterebbe di essere pionieri. Nel Salento ci sono altri progetti in fieri, al momento come singola azienda abbiamo forse i campi di avocado più grandi d’Italia». Le superfici ‘tropicali’ coltivate in tutta Italia raggiungono i 500 ettari, le coltivazioni di avocado sono una realtà in Sicilia, soprattutto nelle province di Catania e Messina.

La Puglia è la seconda regione per ettari coltivati, circa 150, Calabria, Sardegna e Lazio le prossime candidate per nuove piantumazioni. «I frutti tropicali in Italia non sono una novità, se pensiamo alle piante di avocado che hanno più di 50 anni in Sicilia, in provincia di Acireale», spiega Catalano. La Sicilia ha le condizioni ideali per la produzione di frutta tropicale, sia perché gli agrumeti, oggi poco diffusi sul territorio regionale, ne avevano già appurato il clima favorevole sia per la qualità del terreno. Il mango è coltivato prevalentemente in serra perché è ancora più sensibile dell’avocado al freddo e alla mancanza di alte temperature. 

Centro euro mediterraneo per i cambiamenti climatici

Secondo i dati pubblicati dal Centro euro mediterraneo per i cambiamenti climatici, diversi modelli climatici prevedono un aumento della temperatura fino a 2°C in Italia, nel periodo 2021-2050, rispetto allo stesso periodo del 1981-2010. Nello scenario peggiore l’aumento della temperatura potrà raggiungere i 5 gradi in estate. I cambiamenti climatici non si limitano solo all’aumento delle temperature, per l’agricoltura sarà una sfida adattare i cicli produttivi a nuovi eventi, osservabili anche in Puglia: «si passa da periodi di siccità fino a eventi climatici molto invasivi come le piogge torrenziali, magari unite anche a grandinate oppure a trombe d’aria. L’unico modo per far fronte a questi eventi è quello di proteggersi e fare ulteriori investimenti attraverso la realizzazione di impianti anti-grandine», spiega De Lisi.

Il clima pugliese è adatto alle coltivazioni tropicali? «L’avocado vuole un clima temperato. Nel sud Italia ci sono le condizioni ma occorre un impianto anti brina. Entra in funzione nel momento in cui ci sono giornate con temperature particolarmente rigide. In Puglia non avviene così spesso ma i cambiamenti climatici ci hanno abituato ad alti e bassi frequenti. Quando la temperatura si avvicina intorno allo zero, l’impianto protegge la pianta dalle gelature», spiega il manager tarantino. Questi accorgimenti sono costati circa 600mila euro. Un investimento che pone l’accento sulla programmazione di mercato dell’azienda: «È un investimento che si fa una volta insieme all’impianto. Considerando che un impianto di avocado dura circa 20 anni questi costi sono spalmati sul lungo periodo». 

Stagionalità del melograno

Il core business di Masseria Fruttirossi resta il melograneto. Si estende per oltre 200 ettari, con 170 mila alberi e una produzione annuale stimata in 25 milioni di frutti. «Abbiamo deciso di estenderne la stagionalità del melograno e renderlo disponibile per più mesi possibili sul mercato italiano. Quindi siamo intervenuti in due modi, da un lato utilizzando varietà precoci, riusciamo a rendere disponibile il frutto già dalla prima settimana di settembre. Poi attraverso celle frigorifere di conservazione, attraverso la varietà Wonderful, che raccogliamo a ottobre, riusciamo ad arrivare anche a marzo e aprile dell’anno successivo». L’introduzione delle coltivazioni di melograno è stata una novità per il paesaggio pugliese. Anche altre aziende del territorio hanno investito in questo frutto, come la società Cairo & Doutcher a Copertino, in provincia di Lecce. Oltre al melograno e diverse varietà di mango e di avocado, l’azienda produce anche bacche di Goji, mele Odem e Finger lime.

Polo agroindustriale a Taranto

L’azienda tarantina ha creato un polo agro-industriale: «La scelta è ricaduta sulla melagrana perché sebbene sia un frutto antichissimo, non era utilizzato su larga scala. Era una pianta usata più a livello ornamentale che per la produzione agricola. La melagrana si presta anche ad altri utilizzi, non solo come frutto trasformato. Per questa caratteristica è stata scelta come frutto principale con il quale sviluppare un progetto di filiera, che prevede la trasformazione e la commercializzazione».

Nel ciclo produttivo, l’azienda ha inserito anche la gestione interna del ciclo dei rifiuti. Tutto ciò che deriva dall’estrazione del succo di melagrana, dalla polpa dopo la pressatura ma anche la buccia, è riutilizzato. «Questo materiale di scarto è trasformato in risorsa attraverso un impianto di lombricoltura per cui questi residui vegetali vengono mangiati dai lombrichi che attraverso la digestione producono un humus. Attraverso questa procedura possiamo essere definiti a rifiuto 0, perché la pianta è come se tornasse a nutrirsi di se stessa», afferma De Lisi.

Masseria Fruttirossi

Fondata nel 2016, con un investimento iniziale di 50 milioni di euro. L’azienda è costituita da due soci, Davide de Lisi e Bruno Bolfo, entrambi imprenditori dal mondo della siderurgia. «Il progetto può essere visto come un esempio di riconversione dal punto di vista dell’economia e del territorio. La zona di Taranto e la sua provincia ha un’attività economica monoculturale, legata alla grande industria. Si parla spesso di riconversione, questo investimento vuole restituire alla terra la sua vera vocazione che è quella di produrre cibo».

Emanuela Colaci

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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