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Smart working e socialità: abitare dopo l’esperienza del lockdown

In Italia come nel resto d’Europa cresce il desiderio di case e uffici adatti alla post-pandemia. Intervengono i designer Claudia Campone e Giuseppe Arezzi

Roma, 28 febbraio 2021

È ciò che dimostrano i risultati della ricerca pubblicata da Arup, società di ingegneria internazionale: condotta su 5mila residenti a Milano, il 39% degli intervistati ha raccontato che dopo l’esperienza del primo lockdown ha compreso che la propria casa non risponde più alle necessità quotidiane e per questo considera di trasferirsi. Con percentuali simili lo stesso sondaggio realizzato a Berlino (30%), Madrid (37%) e Londra (41%) ha confermato la diffusione di questa opinione tra i residenti delle grandi città: le case non sono e non saranno più considerate esclusivamente ‘spazi dormitorio’.

Dall’inizio della pandemia si è assistito a una trasformazione di cucine, salotti e camere da letto: i luoghi in cui si assolvono le funzioni del mangiare, del riposarsi, del dormire, del vestirsi in luoghi d’incontro virtuale, si sono trasformati in uffici (smart working), scuole (e-learning), palestre, spazi di approvvigionamento attraverso gli acquisti (e-commerce). Luoghi da cui poter svolgere tour virtuali di musei lontani, partecipare a conventions ed eventi musicali. Una serie di attività che normalmente erano svolte all’esterno e che adesso sono state ricondotte agli spazi domestici, condivisi spesso con altre persone, ha fatto emergere un nuovo concetto di abitare e l’esigenza della collettività di aumentare il livello di qualità della vita.

Telelavoro e presenza in ufficio

Prima dell’emergenza coronavirus, la sostituzione del concetto di ‘presenza in sede’ per favorire il lavorare da remoto rappresentava un obiettivo secondario per molte attività italiane.Tuttavia la riduzione degli spostamenti da una zona all’altra della città e dei pendolarismi, ha accelerato un cambiamento filosofico della concezione del lavoro. Si prevede che anche dopo la fine della pandemia, una percentuale di attività adotterà permanentemente la modalità smart working per i propri dipendenti, in quanto il benessere derivato dal lavorare da casa non solo è capace di mantenere il talento e il rendimento ma anche di accrescerlo. 

Il progetto POSThome

In conseguenza alla necessità dell’individuo e della collettività di nuovi modelli dell’abitare nasce POSThome, un progetto residenziale per meeting e attività lavorative ideato da Claudia Campone, designer e fondatrice dello studio di progettazione ThirtyOne Design, realizzato in collaborazione con aziende selezionate del mondo del design. Situato al terzo piano di una palazzina anni Trenta in Via Teodosio 15 a Milano, questo spazio di circa cinquanta metri quadrati si delinea come la ‘casa del dopo’, un rifugio in cui i partner possono mettere in atto quanto appreso e vivere un’esperienza abitativa multifunzionale.

L’ambiente è caratterizzato da uno spazio centrale privo di partizioni, in cui le funzioni sono articolate da un volume centrale in legno: cucina, bagno, camera da letto e ufficio diventano connessi tra loro in maniera ibrida, gestibili in autonomia tramite tecnologie avanzate e devices innovativi. «L’esperienza del primo lockdown ha consentito di avviare gli studi e le ricerche necessarie alla sfida progettuale. Fin dall’inizio si è voluto rendere POSThome un modello realizzabile e declinabile a livello internazionale. A livello progettuale, il primo passo è stata l’introduzione nell’ambiente di uno spazio-filtro tra l’esterno e l’interno, un vestibolo con il doppio ruolo di sanificazione personale e di locker grazie al quale è possibile ricevere consegne tutelando gli spazi interni».

Si caratterizza dalla presenza di un lavabo e mensola in ceramica creata appositamente dal brand Azzurra e di AirDresserTM, un dispositivo a basso consumo di energia progettato da Samsung per l’eliminazione di batteri, acari e virus dai tessuti degli indumenti.

«È un concetto di spazio ibrido funzionale e massimizzato nella distribuzione, raccogliendo la lezione di maestri del passato come Le Corbusier, il quale nel 1928 progetta il primo lavello distaccato dalla zona bagno per Villa Savoye a Poissy in Francia e dal concetto di open-space che si è diffuso negli anni Ottanta». 

Il secondo passo è stata la decisione di rimuovere le partizioni che ingabbiavano la luce proveniente dalle tre finestre esistenti, al fine di lasciarla libera di inondare lo spazio

«Tramite la tecnologia Lutron di controllo e gestione della luce e lavorando con un sistema di pedane che assecondasse le diverse quote delle finestre, abbiamo dato massima priorità al percorso spontaneo che i raggi del sole, per loro natura mutevoli, tracciano all’interno dello spazio. La terza decisione è stata di gestire in maniera innovativa la funzionalità degli spazi, caratterizzandoli con colori dai toni differenti, ispirati al mondo naturale. Il fatto di avere degli spazi identificati per ogni singola attività, consente per esempio agli inquilini di lavorare sulla scrivania nella zona ‘work’, anziché sul tavolo della cucina e di leggere beneficiando della zona relax.

Separare le funzioni, uscire dalla trappola del multi-tasking, è quello che cerco di veicolare da progettista spaziale». Nella stessa direzione abbiamo avviato collaborazioni con artigiani del nostro territorio come Lanificio Leo e Benvenuto Mastri Vetrai: «gli ambienti sono privi di muratura, per cui il progetto POSThome può essere evoluto senza la necessità di ore di manodopera e produzione di polveri inquinanti. La scelta è stata una soluzione che promuovesse comportamenti sostenibili all’interno dello spazio». 

Una riflessione sul cambiamento degli spazi abitativi

Nel 2020 Giuseppe Arezzi e It’s Great Design presentano Tramoggia, una rivisitazione in chiave contemporanea della cassapanca tradizionale composta da quattro assi verticali in legno massello per la struttura, quattro pannelli in legno per le pareti, e un coperchio piatto, che poteva essere aperto grazie all’utilizzo di perni in metallo. A partire dallo studio delle caratteristiche del modello antico, Tramoggia è progettata con l’impiego di una lamiera di acciaio spessa 1,5 millimetri e si delinea per due aspetti innovativi: la sottigliezza e la forma piramidale a cui è ispirato il suo disegno, che le concede di slanciarsi in maniera lieve da terra.

Oltre a permettere di custodire al suo interno oggetti che altrimenti creerebbero disordine visivo negli ambienti domestici, Tramoggia diventa una mono o doppia seduta. «L’esperienza del Lockdown ha messo in dialogo gli spazi abitativi con gli utenti. Le abitazioni richiedono una maggior organizzazione da parte di noi progettisti che dobbiamo considerarle, parafrasando Umberto Eco, ‘opere aperte’, ossia spazi facilmente plasmabili, capaci di assecondare le libertà e le esigenze degli utenti che li vivono. Tramoggia nasce da queste riflessioni, che si sono concentrate sul concetto di multifunzionalità del mobile.

La cassapanca è l’antenato di tutti i mobili ‘a cassa’: il suo utilizzo risale ai tempi del Medioevo, epoca in cui le abitazioni non contenevano un numero elevato di accessori. Si avverte l’esigenza di progettarne uno dalle multiple funzioni: la cassapanca diventa contenitore per oggetti di valore, valigia per viaggiare, tavolo, sedia, o, se lunga abbastanza, letto per gli ospiti.

Si tratta di un concetto di funzionalità che deve farci riflettere su come oggi abitiamo la casa. Il mobile multifunzionale per la sua caratteristica di facilitare più di un’azione quotidiana incoraggia l’acquisto di un minor numero di mobili e dunque riduce l’ingombro dello spazio domestico, garantendoci maggior benessere»

Nonostante il suo valore funzionale, la cassapanca è scomparsa dalle abitazioni contemporanee

«Probabilmente per via dell’estetica legata alla cultura vernacolare», spiega Arezzi. La lavorazione di Tramoggia, affidata a un laboratorio artigianale, consiste in tre fasi: nel taglio a laser della lamiera di acciaio, nella saldatura e nella verniciatura in due tonalità, rossa e verde. «Il dialogo e lo scambio di esperienze che avviene tra designer e artigiani può dar vita, come in questo caso, a oggetti che necessitano di essere resi contemporanei, di ascoltare e rispondere alle esigenze dell’epoca che viviamo. Un obiettivo è quello di evolvere il progetto di Tramoggia con l’impiego di altri materiali, ad esempio fibre e plastiche di riciclo. Abbiamo il dovere di essere critici con noi stessi, favorendo una produzione lenta e consapevole piuttosto di una che asseconda la futilità degli oggetti. Dobbiamo interrogarci su problematiche dell’abitare evidenti anche nel pre-pandemia: di condurre produttori, artigiani, aziende a comportamenti etici».

Progetti e scenari futuri

Per un ripensamento efficace degli edifici di nuova realizzazione e dei quartieri, Stefano Recalcati, Associate Director di Arup Italia, propone di seguire tre punti: la creazione di aree interne ad uso comune per promuovere forme di coworking e svago; un riadattamento dei piani terra per l’incremento dei fronti attivi in cui inserire i servizi per la collettività; la promozione di eventi e spazi nelle comunità di quartiere per dar forma ad un maggiore senso di identità.

Progetti e idee che perseguono l’obiettivo di un netto miglioramento della vita lavorativa sono pensati e rivolti anche ai dipendenti che continueranno a lavorare nelle sedi. All’interno di un articolo pubblicato su Il Sole 24ORE l’architetto Giuseppe Tortato ha dichiarato che: «urge prevedere porzioni di verde nella progettazione di nuovi uffici e nella riqualificazione di quelli esistenti, gli spazi lavorativi devono essere il più possibile permeabili, gli ambienti in generale – dice – devono essere adattabili al cambiamento». 

Come conclude il Dossier di Green City Network: Città ed edifici sono sempre stati plasmati dalle malattie. Il colera influenzò la moderna rete stradale, la peste scoppiata in Cina nel 1855 cambiò il design di tutto, dai tubi di scarico alle soglie delle porte e l’estetica del modernismo è stata in parte il risultato della tubercolosi, con sanatori inondati di luce che ispirarono stanze dipinte di bianco e bagni igienici piastrellati. La forma ha sempre seguito la paura dell’infezione, tanto quanto la funzione. Una nuova trasformazione degli spazi vitali si intravede, nitida, all’orizzonte: sta a noi l’onere di trasformare la crisi in opportunità, per realizzare cose impensabili, in equilibrio con il ritmo della Terra e le sue leggi naturali.

Brenda Vaiani

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Via della Gatta 6 – 00186 Roma 
CF/PI: 1346841000

IT’S GREAT DESIGN, 
47 rue de Lancry,
75010 Paris 

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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