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Chicco Testa: ambientalismo come il buonismo, il rischio di ipocrisia collettiva

«Se mi oppongo a un inceneritore o un termovalorizzatore, ma poi, come fa Roma, invio ogni giorno i rifiuti al Nord con 170 camion che percorrono ciascuno un tragitto di 1200 chilometri, sto difendendo l’ambiente?»

Lampoon intervista Chicco Testa  

Chicco Testa si mostra scettico verso due star dell’ambientalismo: Greta Thunberg e Papa Francesco. «Diffido per esperienza di un’espressione come ‘sensibilizzare’», afferma. «Definirsi ambientalisti oggi ha poco senso: è come dire di essere buoni. L’ambientalismo non esiste: esistono diverse soluzioni ai problemi ambientali, alcune più costose, alcune più efficaci». L’eterodossia delle posizioni di Chicco Testa si era già manifestata nei libri Contro (la) natura, 2014 e Troppo facile dire no, 2017, in articoli e interventi televisivi. Ha pubblicato con Marsilio editore Elogio della crescita felice. Contro l’integralismo ecologico. Un estratto: Questo libro parla bene della plastica, dei grattacieli, degli Ogm, del 5G e del nucleare – ma è un libro a favore dell’ambiente.

«Il mio ambientalismo è un tentativo di conciliare un bene comune come l’ambiente con il progresso, la libertà delle persone e il problema della disuguaglianza sociale. L’ambientalista collettivo insegue soluzioni sbagliate – o controproducenti. Causa: l’emotivizzazione del dibattito, che andrebbe affrontato in modo razionale. La politica ambientale ha buone intenzioni, ma andrebbe giudicata dai risultati misurabili. Se mi oppongo a un inceneritore o un termovalorizzatore, ma poi, come fa Roma, invio ogni giorno i rifiuti al Nord con 170 camion che percorrono ciascuno un tragitto di 1200 chilometri, sto difendendo l’ambiente?».

L’ambientalismo di Chicco Testa

Questo l’errore di fondo che Chicco Testa individua nell’ambientalismo mainstream: «Non capire che i problemi ambientali si possono risolvere solo con la tecnologia, il progresso e l’economia di mercato. Questa cecità può avere conseguenze su società e ambiente. È necessario coniugare benessere e sostenibilità. Osserviamo la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti o il caso di Bolsonaro in Brasile: non sono al potere a causa della malvagità degli elettori, ma per una ripulsa verso le posizioni regressive del pensiero ambientalista. Sono viste come una minaccia per il proprio lavoro e per il benessere». La regressione economica può andare d’accordo con la tutela dell’ambiente solo a breve termine. Come disse Indira Ghandi nel 1972, la povertà è il primo nemico dell’ambiente. «Le recessioni creano disoccupazione, povertà, riducono la coesione sociale. Le preoccupazioni ambientali passano in secondo piano, a favore di quelle economiche. Lo abbiamo visto con la recessione del 2007-2013»

Ha salvato più balene il petrolio di Greenpeace: un detto che vuol provocare

L’olio di balena era il combustibile più usato per illuminare le città fino alla scoperta del petrolio. Scrive Testa che l’impatto che potrebbe avere un nuovo set di tecnologie – in particolare le tecnologie dell’informazione, le biotecnologie, le nanotecnologie e l’ingegneria genetica – potrebbe superare quello della ‘rivoluzione verde’ della seconda metà del secolo scorso. «La campagna contro la plastica è un esempio dell’emotivizzazione del dibattito. Il computer, i telefonini, gli occhiali da vista, i dispositivi sanitari – da quello domestico per misurare la pressione a quelli negli ospedali: tutto è fatto di plastica. Molta plastica è riciclabile al 100% e all’infinito. Che senso ha una campagna orizzontale contro tutta la plastica? Che senso avrebbe una tassa sulla plastica, se non rendere le politiche ambientali più invise?». Vale per la plastica, per gli inceneritori, il nucleare e gli Ogm. 

La sensibilizzazione sociale e politica, anche se mal direzionata, si traduce in scelte economiche e imprenditoriali.

I brand investono nella sostenibilità, anche per rispondere alle aspettative del mercato. «Si pensi alle dichiarazioni di Eni e Enel, due aziende che conosco, di raggiungere zero emissioni: ciò porterebbe con sé la diminuzione dell’inquinamento atmosferico, il miglioramento dei cicli produttivi, minor consumo di risorse primarie. Le imprese stanno cercando di modificare i propri cicli produttivi, in direzione dell’economia circolare, per minimizzare il consumo delle risorse. Tempo e risorse sono i due problemi: per raggiungere un obiettivo che potremmo ottenere in un anno, a livello sociale ne impieghiamo dieci, spendendo dieci volte di più». 

L’esempio degli incentivi andati alle rinnovabili. «Oggi gioiamo per gli oltre 200 miliardi che arriveranno dall’Unione europea, ma ne abbiamo spesi più di 250 come incentivi alle rinnovabili. Dovremmo misurare l’efficacia delle politiche ambientali in termini di effettiva riduzione delle emissioni di CO2. Gli incentivi possono essere utili se costituiscono uno start up per un determinato settore. Le innovazioni tecnologiche devono camminare sulle proprie gambe: l’elettricità, Internet. Se una tecnologia ha bisogno di essere sostenuta per un lungo periodo vuol dire che qualcosa in essa non va, non ha capacità di penetrazione. Bisogna usare gli incentivi con cautela perché rischiano di falsare il mercato e lo sviluppo. Ora vengono utilizzati per sostenere la mobilità elettrica: sono utili per far partire il settore, che nel giro di qualche anno dovrà fare il suo salto di maturità. Poche settimane fa si è svolta un’asta per assegnare incentivi alle rinnovabili. Requisito: che i progetti fossero cantierabili, avessero cioè già ottenuto le autorizzazioni. A quell’asta sono stati assegnati soltanto un terzo degli incentivi disponibili, perché non vengono rilasciate autorizzazioni». La colpa non è solo della burocrazia. «Ovunque si voglia costruire un impianto sorge un comitato di cittadini che si oppone, a cui si accodano sindaci, a volte associazioni ambientaliste e spesso persino il Ministero dell’ambiente e dei beni culturali attraverso le Sovrintendenze. L’esempio di un ambientalismo irrazionale e demagogico è il fenomeno Nimby, dall’acronimo inglese Not in My Back Yard».

Chicco Testa è autore di Elogio della crescita felice. Contro l’integralismo ecologico 

Anche gli impianti per il trattamento dei rifiuti incontrano ostacoli locali. Il sentimento popolare, spesso riunito in comitati, si oppone alla costruzione di impianti di gestione dei rifiuti, anche nei casi di moderni termovalorizzatori che bruciano rifiuti per ricavare energia e calore, già presenti in tutti i paesi europei e nel Nord Italia, o impianti per il riciclaggio della frazione umida. La Direzione investigativa antimafia nel 2019 ha pubblicato uno studio sul tema mafia e rifiuti dove affermava che le organizzazioni criminali hanno gioco facile a causa del deficit di impianti per lo smaltimento dei rifiuti. «Il localismo e il comitatismo del no sono diventati un’emergenza nazionale che provoca danni all’economia e all’ambiente. Si rendono complici delle ecomafie», accusa Testa.

L’Italia attende 200 miliardi dall’Unione europea, molti dei quali dovrebbero essere investiti in progetti sostenibili e grandi opere. Molti citano il modello Genova – la ricostruzione del ponte Morandi in dieci mesi – come esempio di rapidità ed efficienza. Chicco Testa è perplesso: «Il ponte è stato fatto con soldi privati, in deroga a buona parte delle normative esistenti e godeva di un consenso popolare – chiunque si fosse opposto non avrebbe avuto sostegno popolare né attenzione dei media. Quante sono le opere che godono di queste condizioni in Italia? Nessuna. Spero che sull’ambientalismo regressivo e reazionario – quello che odia industria e tecnologia per i danni che la crescita economica ha prodotto sull’ambiente – prevalga un ambientalismo che riconosca nella tecnologia e nel progresso i propri alleati».

Chicco Testa

Chicco Testa negli anni Ottanta è stato segretario nazionale e presidente di Legambiente, che ha contribuito a fondare. Dal 1987 è stato deputato in quota Partito Comunista Italiano. In seguito ha coperto il ruolo di Presidente del consiglio di amministrazione di Enel e Managing Director di Rothschild Italia.

Nicola Baroni

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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